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IVAN E AMBRA, I GEMELLI

Pensavamo che anche la stagione di "nonni di neonati" volgesse al termine. Sono arrivati Ivan e Ambra a dirci che non è ancora quel tempo. La vita continua a riservarci nuove ed esaltanti sorprese.

I gemelli: mancavano ed eccoli qua!

Intanto chiariamo: Ivan è scritto prima di Ambra perché per primo è nato lui, anche se solo per qualche minuto. Ambra viene prima per raffinatezza, capacità di piangere con pudore e discrezione, occhi bassi come si conviene a una fanciulla di altri tempi, resistenza ai vizietti e signorilità nei lineamenti (chissà a chi assomiglierà!). Ivan è più incontrollabile, esterna sentimenti e bisogni senza troppi problemi, dei due è il maggiore e si vede da come organizza la sua presenza nel mondo. Dicono che  somigli a sua mamma. Per restare nell'ambito degli stereotipi, Ambra si lamenta quando qualcosa non va, quando qualche dolorino interviene a turbare la sua beatitudine di neonata che deve crescere e basta. Ivan non rispetta granché i tempi artificiali della vita, vuole mangiare quando ha fame, rutta senza troppa signorilità e non disdegna il classico capriccio gratuito, giusto per far vedere chi comanda. 

Tutti e due sanno di avere una grande fortuna: la sorella maggiore Cloe, quasi 13 anni di saggezza, simpatia, intelligenza e maturità. Si occupa di loro quando può, ma soprattutto si pre/occupa che crescano bene. Ancora di più lo farà quando Ivan e Ambra cominceranno ad affacciarsi al mondo delle relazioni umane, dell'esperienza e della socialità. Si intuisce che non vede l'ora di spiegare alle due creaturine come va il mondo. Aspetta il momento e poi comincerà. Cercano di aiutarla i due cuginetti (ramo paterno) Maria e Pietro, anche loro ansiosi di metterci le mani su per educarli al mondo nel migliore modo possibile. I due cuginetti del ramo materno, Lisa e Mattia, sembrano ansiosi di fare altrettanto. Dunque Ivan e Ambra possono stare tranquilli, al loro futuro bambinesco c'è chi ci pensa.

Anche loro, come i cuginetti, sono nati in una stagione confusa e crudele. Non sono solo le guerre, quelle esprimono su scala grande i contrasti e i conflitti che scoppiano in ogni momento fra le persone. Sembra che in questi tempi strani l'unica attività che ci resta sia quella di schierarci in fazioni, di scagliarci l'uno contro l'altro come cani rabbiosi. Col contraltare dell'opportunismo a go go, della recita sempre e comunque, della ricerca della soddisfazione immediata a qualunque costo, dell'invidia e delle volontà di sopraffazione del più debole. Una grande confusione, di quelle che lasciano presagire l'avvicinarsi di sconquassi tipici delle fasi di cambio di civiltà.

Ivan e Ambra faranno in tempo a patire di tutto questo, ma probabilmente - è il nonno, ottimista inguaribile, che parla - saranno anche i testimonials di un nuovo mondo: quello della collaborazione, delle comprensione, dell'amore, dell'empatia e della competitività solo con se stessi. Bisogna crescerli con questa idea ben chiara in testa, come tutti i bambini che aspettano di essere parte di un mondo migliore di questo. Già si intuisce dal loro debutto che sono tenaci, tranquilli e determinati, pronti a gioire della cura dei genitori e dell'attenzione che hanno nei loro confronti. Non potranno che continuare così, per essere parte del mondo che verrà.

Per intanto, le nonne aiutano e  percorrono la città con il bipasseggino e loro sopra che se la dormono. I nonni aspettano che crescano ancora un po' per introdurli ai piaceri della vita sociale. I genitori si affannano a gestirli al meglio (con due non è proprio una passeggiata), smentendo uno per uno i buoni propositi pre-nascita (li lascio piangere se sono solo capricci, non mi lascio mica commuovere...). Loro mangiano, dormono, fanno la cacca e testimoniano la loro presenza con determinata volontà di crescere bene e in pace.

Mariano

ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2022


Qui tutti i video della campagna elettorale

https://www.youtube.com/playlist?list=PLYTAL-zzLLxuaZviuQ5K14mQTdg9zw2Vx

UN FUTURO PER GRUGLIASCO

L’aria che si respira da qualche tempo in città somiglia davvero troppo a quella che si respirava trent’anni fa. Allora si capiva che gli eredi del PCI, soprattutto il PDS, erano giunti al capolinea di una fase. Un po’ per le vicende nazionali, molto perché quel partito era stato occupato da una cordata organizzata da un ex-sindaco, nominato dal partito in organi superiori, che aveva progressivamente “fatto fuori” tutti i non conformi e ridotto all’obbedienza coloro che ancora ambivano a ruoli politici in città. Si erano adeguati perfino i partiti satelliti, anche loro alle prese non più con dibattiti e confronti di carattere politico, ma con contese fra cordate più piccole aventi come unico oggetto la conquista di qualche posizione di potere o la conservazione di quelle già in essere.

Di fare piazza pulita se ne occupò, purtroppo, la magistratura. La politica cittadina non ce l’aveva fatta, nonostante gruppi cospicui di cittadini – anche del PDS - ci avessero provato a costruire un’offerta politica di sinistra, lontana mille miglia dalla politica del pissi pissi e degli accordi interpersonali che tenevano in piedi le mafiette che si erano ahimè sostituite alle dinamiche della politica militante. Grugliasco finì su tutti i giornali per gli arresti di suoi amministratori, carriere politiche e vite personali di uomini e donne rispettabili finirono nella polvere, vittime e autori di una degenerazione che aveva capovolto i valori fondanti di qualunque impegno sociale e politico.

Così proprio quella “riserva” che aveva provato a sconfiggere le cattive pratiche con la proposta politica, e aveva perso, diventò il fulcro intorno al quale ricostruire una città in ginocchio. Nella riserva, seppure con posizioni secondarie, si trovavano anche i due sindaci che hanno governato Grugliasco al termine dei mandati del sottoscritto, cioè dal 2002 al 2022. Spiace anche per questo che siano diventati l’emblema di un potere che si costituisce non già per cambiare le cose, per migliorare l’offerta di servizi, per costruire occasioni, per dare voce e fiato a ciò che innova e rilancia la città, ma per preservare se stesso e basta. Un potere funzionale, ben che vada, alle carriere personali, che si fonda sull’arroganza, sulla prevaricazione, sul soffocamento di tutto ciò che si muove senza controllo e che può generare ricambio e novità. Un potere gestito con tracotanza anche nel sottomettere la vivacità della buona politica alle forche caudine della sottomissione e del conformismo. Un potere che nomina a mezzo stampa il delfino a succedergli, indipendentemente da chi è e che cosa sa fare.

E così, a chi ha prima segnalato e poi denunciato il rischio di appalti milionari con un solo concorrente, fatti e rifatti poi assegnati senza battere ciglio, si è risposto classificando l’allarme come figlio di personalismi, e risolvendo la necessità di legalità sostanziale con il bollino giusto, quello di Avviso Pubblico.

A chi ricordava che gli amministratori pubblici devono dare il buon esempio nel rispetto delle regole e degli obblighi di qualunque cittadino comune, perfino di più proprio in quanto personaggi pubblici, si è risposto con la favoletta degli “attacchi personali”, forse confondendo vizi privati con pubbliche virtù e accreditando l’idea dell’onnipotenza di chi è eletto a governare temporaneamente una città.

A chi segnalava la trasformazione di una società interamente del Comune in “Mangiatoia”, utile strumento per incoraggiare clientele e operazioni che diversamente non sarebbero state possibili si è risposto con un’alzata di spalle e qualche minaccia a chi osava chiedere spiegazioni. Lo stesso per tante vicende poco edificanti che hanno condito questi vent’anni di amministrazione sempre più immobile. “Amici” da piazzare e aiutare (non si sa mai), “nemici” intorno ai quali cercare di fare il vuoto in ogni modo. Alla maniera dei mafiosi.

Ogni passaggio ha costituito uno strappo al già fragile tessuto democratico della città, accreditando l’idea che comportamenti, decisioni e stili pubblici siano l’espressione di una normalità che invece è tale solo in una città anestetizzata.

La Grugliasco di oggi è difficile da riconoscere, a cominciare dal suo tessuto associativo, per arrivare all’attenzione verso i servizi e le persone. La pandemia ha parzialmente “coperto” questo tornare a essere un ”oscuro paesone di periferia” (Bossi 1993) - dove hai sempre l’impressione che le decisioni vengano prese altrove e da qualcun altro -, ma ne ha solo rallentato l’esplosione.

Ecco, nella nostra carenza di anticorpi (coraggio, disinteresse, lungimiranza, umiltà) siamo diventati un posto come tanti altri in un paese dove proprio la mancanza di quegli anticorpi produce un declino inarrestabile perfino quando ci sono i soldi per fare le cose, perché nessuno sa qual è la direzione e, anche quando c’è, hai l’impressione che venga definita altrove e da qualcun altro di diverso dagli eletti.

I due ultimi sindaci - che come ricordavo provenivano il primo dalle seconde fila di un’esperienza che aveva tutt’altro segno  - ricordano troppo da vicino trasmigrazioni recenti e conversioni sulla via di Grugliasco (e anche di Roma) finalizzate a garantirsi un lavoro, prebende e una carriera sempre più incentrata sulla cordata con i cui partecipanti cercano di costruire le condizioni per ruotare negli incarichi, ciascuno garantito dall’asservimento degli altri.

Così il paese non va avanti, così non va avanti neanche la nostra città, la cui storia contiene vicende che dovrebbero aver insegnato – anche alle forze politiche – che la corsa al ribasso a un certo punto finisce. Se non la fai finire tu, sarà qualcos’altro che provvederà. Città perfino più rosse della nostra sono finite in mano alla destra, i cittadini l’hanno individuata come unica residua possibilità di liberazione. E non sono i richiami all’antifascismo a rendere accettabili comportamenti e politiche insostenibili.

Le elezioni di primavera possono essere l’occasione per costruire un’inversione di rotta. Esigiamo competenza, trasparenza, democrazia, rispetto, così ri/facciamo grande la città. Ancora più che in passato, il futuro di Grugliasco dipende anche dalla nostra capacità di fare le scelte giuste.

Grugliasco, 18 febbraio 2022

Mariano Turigliatto

scarica qui la lettera firmata

16/12/21. LA SCOMPARSA DELLA NOTIZIA

A 7 anni di distanza dall'ultimo sciopero generale- proclamato allora contro il Jobs Act renziano - CGIL e UIL proclamano un nuovo sciopero generale nel momento più difficile della loro storia recente e  a grosso rischio di impopolarità. Chi legge ha già avuto modo di formarsi un'opinione sulla fondatezza delle rivendicazioni sindacali, sulle ragioni dell'una o dell'altra parte, dunque non serve qui recuperarle. Lo stesso per quanto riguarda il teatrino confindustriale, quello dei singoli partiti, alcuni più lanciati, altri quasi timorosi, altri ancora insopportabili: niente di nuovo solo l'ennesima constatazione dell'irrilevanza della cultura politica in organizzazioni che si montano e smontano per ottenere il consenso. A qualunque costo, a qualunque condizione e con qualunque mezzo.

Infatti i partiti di oggi sono finiti, non sono più in grado (nessuno, purtroppo) di concorrere a disegnare il futuri/i futuri possibili di questo paese, ascoltando, studiano, elaborando, discutendo, proponendo, cambianti idea, insomma sviluppando tutte quelle attività che sono affidate a chi concorre a costruire la classe dirigente di un paese. Oltre che finti (anche per questo i cambi di casacca non fanno più notizia), sono proprio finiti.

Qualcosa del genere sta succedendo nel mondo dell'informazione, a cominciare dai giornali. Proprio la copertura dello sciopero generale del 16 dicembre ne è la riprova. I grandi giornali hanno teso a non dare la notizia, a nasconderla quando proprio non potevano farne a meno, a riportare con dovizia di particolari tutte le giaculatorie di chi spiegava che i sindacati erano irresponsabili e che solo la CISL era buona. Neanche La Stampa dell'epoca d'oro della FIAT trattava così le notizie: le aggiustava, ma serviva i suoi lettori che compravano il giornale per informarsi. 

Risultato: lo sciopero generale si è svolto, pare anche con un certo successo, il paese l'ha sopportato bene e ha perfino salutato con una certa simpatia i cortei affollati da lavoratori poco contenti di aver perso la giornata di lavoro, ma ancora più scontenti dal vedersi prima penalizzati dal governo e poi sfanculati dalla Confindustria e dai suoi organi di informazione e trasmissione. La copertura informativa lì hanno garantita giornali più di nicchia che hanno provato a fare il loro mestiere.

Quando una notizia è tale deve essere data e bene. Quando un giornale smette di dare le notizia che non piacciono agli editori o alla redazione diventa un bollettino. Bisogna smettere di comprarlo. A quanto pare i lettori dei grandi ex giornali hanno da tempo cominciato a farlo, li salvano ancora i sussidi pubblici. Prima o poi sarebbe tempo di cominciare a staccare anche questa spina, è evidente che il sostegno pubblico alla libertà di stampa, che stava alla base del sistema dei sussidi,  non c'entra più niente con tutto questo.

Mariano

"DI PAURE E DI SPERANZA", UN LIBRO DA LEGGERE

"Se una cosa nella mia vita ho finalmente appreso è che per vivere bene occorre una buona dose di benevolenza neo confronti di se stessi e di tutti, a anche di pazienza [...]", siamo alle ultime pagine di un libro intenso, profondo e affascinante nella suo raccontare di una disgrazia, del percorso che innesca e della sue conseguenze sulla vita dell'autore di di quelli che gli vogliono bene. 

Diario tra salute e malattia, così il sottotitolo del libro di Luigi Giario che ci accompagna lungo il percorso di una malattia grave che arriva a cambiare il corso della sua vita. Ogni tappa, ogni successo e ogni fallimento costituiscono lo spunti per operare bilanci e interpretazioni non tanto della malattia quando dell'atteggiamento che l'autore - e noi con lui - ha sviluppato nei confronti della vita, principalmente attraverso le sue "assenze", come marito, padre, forse come amico amante e chissà cos'altro ancora. Il bilancio delle assenze finisce per diventare la base di una consapevolezza diversa, più intima e poco colpevole non perché assolutoria, ma in quanto umana.

Così il rosario di visite, esami medici, diagnosi, interventi, cadute e riprese, finisce per essere la scansione pratica di una stagione della vita che si chiude a favore di un'altra che si sta aprendo: quella della riflessione sugli affetti, sull'evoluzione personale, sulla fugacità delle passioni e sulla superficialità delle vanità che tanto assorbono energie e tempo per gran parte della nostra esistenza. Noi lettori seguiamo Luigi nel percorso che la vita gli ha riservato, nelle relaziono con i suoi famigliari, amici, compagni di lavoro e di sventura. Lo accompagniamo ansiosi nella ricerca di cure e soluzioni al suo carcinoma, ci preoccupiamo per le sue difficoltà nelle nuove relazioni generate dalla comparsa della malattia, vorremmo tanto sostituirci a lui quando lo sentiamo particolarmente giù o quando si abbandona all'affanno e all'angoscia perché non sa decidersi nella scelta della metodologia della cura fra le varie opzioni che gli vengono presentate.

Intanto Luigi cresce, cambia e riflette con un'intensità prima sconosciuta, impara ad applicare anche alla malattia la sua capacità di leggere le cose sotto diversi punti di vista, problematizzando la realtà fino a smontarla in parti microscopiche dove cercare - lui è profondamente credente - il disegno superiore, la traccia di Dio. Il tutto con uno stile e un lessico assolutamente coerente al contenuto, anzi capace di nobilitarlo fino a farne la sostanza del libro. Interessanti e pertinenti gli Intervalli metaforici di Rosalba Grimod che, invece di spezzare la narrazione, ne esaltano la profondità alleggerendone gli aspetti più intimamente drammatici.

Insomma un libro da leggere assolutamente, dentro c'è "il coraggio di abbandonarsi dolcemente all'esperienza condivisa". 

Mariano Turigliatto