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I BAMBINI DI SALVINI

Agghiacciante è la protervia del Ministro degli Interni, ma ancora più quella degli infanti che ne celebrano le gesta e ne seguono le evoluzioni.
Salvini tratta la platea elettorale - definire diversamente noi, il popolo bue, sarebbe davvero un azzardo e un lusso che non possiamo più permetterci - come una scolaresca di bambini della scuola materna, rincretiniti fin dalla più tenera età dalle colpevoli premure della loro famiglia, allargata o ristretta fa lo stesso.
Uno dei pargoli - potrebbe essere chiunque di noi - cade e si sbuccia un ginocchio. Salvineggiando, due le reazioni possibili.

25 APRILE, ANTIFASCISMO E APATIA GIOVANILE: DIAMO I NUMERI?

Una volta l'anno si ricomincia con la tiritera sui giovani che non sanno la Storia, che sono apatici e che la scuola non tratta gli avvenimento che stanno alla base dell'Italia repubblicana. Nessuno è senza colpa, ma fare qualche calcolo aiuta magari a capire il fenomeno

1) Nel 1970 avevo 16 anni. La prima guerra mondiale era finita da 52 anni e i miei parenti più anziani me ne parlavano parecchio. Per me era preistoria, una volta l'anno con la scuola alla commemorazione, una svelta rilettura ai nomi dei caduti sulla lapide commemorativa alla ricerca dei parenti, il sindaco che dice cose che non capisci e il parroco che spruzza recitando giaculatorie in latino. Poca empatia con il Piave, che mormorava calmo e placido, la patria e tutto il seguito.
2) Sempre nel 1970 - avevo ancora 16 anni -  la seconda guerra mondiale era finita da 25. Mio padre me ne parlava  le rare volte che mi convinceva ad andare a pesca con lui, aveva 15 anni quando i partigiani avevano vinto e lui li aveva aiutati facendo qualche monelleria di cui un po' si vergognava. Mia nonna, con la quale avevo trascorso una buona parte della mia infanzia, raccontava della sua attività di giovane supporter partigiana, delle incursioni della X Mas nella nostra vallata, dei rastrellamenti. Mentre mi portava a funghi, mi indicava anche i rifugi dei partigiani, i luoghi dove alcuni di loro erano stati catturati e trucidati. Poi mi diceva delle famiglie "di città" che lei e suo fratello portavano in Francia attraverso il colle della Ballotta e delle tante avventure di quei giorni. La lotta partigiana per me era cosa viva, ne vedevo le tracce, anche nelle scelte politiche dei miei famigliari, ne leggevo le storie nei paesaggi, ne intuivo le disillusioni e le promesse non mantenute.

ALLA FINE DELL'ESTATE...

Eventi che hanno riempito le pagine dei giornali di luglio e agosto, non in ordine cronologico:
1. Tormenti del PD, in tutte le salse e a tutte le latitudini. Conflitti, renzate, distinguo, comparsate e puntualizzazioni. Se larga parte della politica italiana non fosse quel partito ci sarebbe da ridere. E c'è ancora chi si chiede le ragioni del declino del paese. Poi ti arriva "Libero" con lo scoop secondo il quale il PD fa firmare un contratto ai nominati nei consigli di amministrazione: si impegnano a versare al partito la tangente personale. Se non lo fanno, via.  E' la meritocrazia, bellezza.
2. Cinquestellismo con scappellamento a destra. Più o meno la stessa cosa del PD con l'aggravante di essere nuovi, un'autentica speranza dell'Italia. Autoreferenziali, ondivaghi, preoccupanti. Come si fa a dissipare un consenso esagerato in pochi mesi. Siamo sicuri che la gestione Casaleggio jr non abbia bisogno di una bella revisione, magari corroborata da un ritorno di Grillo?
3. Incendi: appiccati dunque dolosi, dovuti alla siccità, all'incuria dei boschi, alla Madia che ha accorpato la Forestale ai Carabinieri  eccetera. Gli incendi continuano anche adesso, ma non ne parla più nessuno perché le paginate sono dedicate a...

A TE, CANE DA GUARDIA DEL CAPO

Di fronte ai gusti dell'ignoranza, della pavidità e del conformismo, non bisogna arrendersi. Si può contribuire a costruire un mondo di liberi perfino quando tutti vanno a servizio dal potente di turno. 
La poesia la dedico a tutti quelli che aspirano ad avere un padrone, perfino ai giovanotti con poca dignità e senza pudore. Con la segreta speranza che li invogli a scoprire il piacere del pensiero libero e dell'azione disinteressata...

“Ho sentito che non volete imparare niente. 
Deduco: siete milionari. Il vostro futuro è assicurato – esso è 
Davanti a voi in piena luce. I vostri genitori 
Hanno fatto sì che i vostri piedi 
Non urtino nessuna pietra. Allora non devi 
Imparare niente. Così come sei 
Puoi rimanere. 

L'INVIDIA

Brutto sentimento, specie quando le cose non vanno poi così bene e appare naturale cominciare a guardarsi intorno per sminuire quelli a cui va meglio che a noi. Con effetti disgustosi e tossici

"Hai visto quella? Non le daresti un centesimo eppure ha fatto carriera. Chissà a quanti l'ha data! Io, che non sono una zoccola, sono ancora qui ad arrancare e a sperare in un contratto a tempo indeterminato...". "Ma no, guarda che è davvero brava. Un tantino legnosetta e sempre molto precisina: sarà per quello che tutti i pazienti chiedono di lei... Sai, arrivano qui in condizioni tali che non stanno mica a guardare se una è simpatica o no. Disperati come sono, cercano quella che pensano essere più brava..."
"Quello fa il santarellino, tutto dalla parte della legalità e del merito, ma se solo sapessi che cosa ha combinato e che individuo turpe esso sia..". "Ma davvero, non l'avrei mai detto. Fammi qualche esempio, spiegami, perché sono molto sorpresa". "Ah, ma allora stai dalla sua parte!"
Questi e altri esempi di conversazioni che si colgono nelle sedi in cui si può ancora origliare rendono bene l'idea di un paese che, non sapendo più cosa fare per contrastare l'immiserimento, convoglia le sue energie residue nell'invidiare il prossimo. Più vai giù, più vorresti portarci quelli che, a tuo dire, stanno meglio di te. Così non rifletti mai sinceramente sulle cause del tuo sprofondare e sulle misure che potresti provare ad adottare per fermare la discesa e, magari, invertire la direzione.

LA PENSIONE

In casa cominciano ad abusare di me, come si fa con chi "già che sei in pensione...". Gli amici mi coinvolgono in imprese mirabolanti, adesso posso. Poi ci sono i politici locali...
Quando due sconosciuti si incontrano - per casualità, per interesse reciproco o perché dovranno fare qualcosa insieme - la prima informazione che si scambiano è il nome, a volte anche il cognome. Di solito seguono l'origine o l'abitazione, poi l'occupazione, il lavoro che fanno. Prima dell'età e di di tutte le altre informazioni importanti sul piano personale e su quello sociale. Il lavoro che fai ti definisce assai più compiutamente di altri aspetti della tua persona: racconta la tua storia, le tue passioni, le tue aspettative e la tua proiezione in mezzo agli altri individui con cui ti incontri/scontri da quando sei al mondo. Dice quali esperienze ti hanno arricchito, come hai trascorso gran parte del tuo tempo, che cosa sei diventato nel corso degli anni. Sovente basta l'annuncio della tua occupazione a trasmettere i sentimenti che, dentro e fuori da te, la accompagnano nella vita di tutti i giorni.
Andare in pensione significa perdere tutto questo: non è avere improvvisamente più tempo e correre perciò il rischio di lasciarsi andare all'anarchia di una vita senza orari. Non è nemmeno lo scoprire all'improvviso quante energie e quanta cura il lavoro richiedeva, anche oltre l'orario delle prestazioni quotidiane. E' piuttosto perdere un ruolo che hai indossato per così tanto tempo che è diventato il tratto caratteristico del tuo essere...
Specie se, come è capitato a me, hai fatto un lavoro bellissimo e... ancora lo faresti, se solo il nostro mondo fosse organizzato in modo più umano. In pensione dal primo settembre di quest'anno, non credo che sprofonderò della depressione o che vivrò la perdita dell'identità professionale come se fosse quella di un'arto, soprattutto perché so che ne coltiverò altre che erano rimaste in secondo piano e qualcuna di nuova riuscirò perfino ad inventarmela.
Ho cominciato a lavorare stabilmente a scuola il 1 aprile del 1973 (prima avevo lavorato qualche mese come precario e in fabbrica, durante le superiori) e non ho più smesso, se non nei cinque anni in cui sono stato in aspettativa come consigliere regionale. Dunque 43 anni e qualche mese, parecchio. Così tanto da veder cambiare tutto e niente insieme: quante similitudini fa la società spezzettata di oggi e quella problematica delle ondate migratorie interne dei primi anni '70! Il degrado di alcune famiglie (e dei bambini), frutto di ignoranza e di indigenza impastati insieme, lo si ritrova anche oggi sotto spoglie diverse, ma sostanzialmente con gli stessi effetti di straniamento e di esclusione sociale. L'eterno conflitto fra l'individualismo sfrenato dei diritti senza doveri e la voglia di costruire progetti e lavorare per speranze comuni ha accompagnato tutti questi anni; fra alti e bassi si ha spesso l'impressione di tornare daccapo, sommersi dai cafoni e dagli opportunismi, come se non avessimo imparato niente dalla Storia e dalle storie. Pronti a ripetere gli stessi errori e a coltivare le stesse speranze, come se fossimo in un loop che ripropone la stessa sequenza, ininterrottamente e per sempre.
Il tempo è passato, non solo sono diventato "vecchio e saggio" (!), ma mi ritrovo più ricco delle tante esperienze e delle tante relazioni, pieno e forte di una consapevolezza che, sono sicuro, non riuscirò a trasmettere se non in minima parte. Curioso come una scimmia, ancora di più di quanto non lo sia stato in gioventù, e armato di quella incoscienza che attribuiamo a stagioni della vita, ma che in realtà sono più delle persone che delle età.
Finora ho avuto un culo pazzesco: ho lavorato in ambienti che mi hanno gratificato, con persone che mi hanno voluto bene e a cui ne voglio molto anche io. Migliaia (ebbene sì!) di studenti dei quali conservo storie e ricordi unici, generosi donatori di saggezza e di freschezza da cui ho sempre attinto senza risparmiare. Altrettanti colleghi che hanno contribuito a rendere piacevole, istruttiva a gratificante la lunga permanenza a scuola. Di loro sento già la mancanza, non con nostalgia, ma con la pienezza d'animo di un'esperienza bella e compiuta.
Il bello della pensione è che riesci finalmente a trovare il tempo per scrivere un post come questo. Ma anche che puoi lavorare per smettere di "essere in pensione" prima che il richiamo dei cantieri abbia il sopravvento su di te.
Mariano

IL TRAMONTO DEL BICCHIERE

Mangiare la marmellata a cucchiaiate facendo bene attenzione a che lungo il bordo rimanesse compatta, lo stesso con la nutella...
... ma la trasgressione più hard della mia giovinezza era di sicuro bere direttamente alla bottiglia: una cosa che non si poteva proprio fare e a cui, come altre pratiche intime, ci si abbandonava per svacco, disperazione, abiezione. Avvicinarsi al frigo di soppiatto, controllare con una panoramica che nessuno vedesse e poi... un sorso direttamente alla bottiglia. Aranciata, latte, acqua, non importa, richiudere la bottiglia e rimetterla al suo posto, che nessuno se ne accorga!
Immaginarsi quindi la meraviglia quando questo gesto l'abbiamo visto compiere nei telefilm americani senza che nessuno si scandalizzasse: adolescenti che inforcano il bottiglione in plastica da cinque litri di latte e ci bevono direttamente senza usare il bicchiere, uomini stanchi dopo una giornata di lavoro che aprono la birra e se la scolano dalla lattina senza mediazione alcuna. Farmers abbronzati e impolverati che sbevazzano da enormi trogoli senza porsi il problema di cosa ciascuno lascia in eredità a quelli che berranno dopo. Tutta roba che cominciò a mettere in dubbio le nostre usanze secolari. Fino a quel momento solo Coppi e Bartali avevano potuto bere dalla bottiglietta: i ciclisti erano gli unici a portarsene una dietro e a non usare il bicchiere, vista l'indisponibilità delle mani, diversamente impegnate. Adesso quelle bottigliette termiche sono il must di ogni ecologista che non vuole sprecare plastica.
Proprio l'invasione dei telefilm cominciò anche da noi ad accreditare l'idea che il bicchiere fosse una delle tante mollezze europee da superare il prima possibile a favore della rude immediatezza utilitaristica americana. Via il calice, solo alle feste importanti, via anche il semplice bicchiere in vetro e ora... via anche quello di plastica. Si beve direttamente alla bottiglia e nessuno ha nulla da ridire.

INDIZI CHE INQUIETANO

Quando i tempi si fanno cupi, gli individui mediocri che sono rimasti nelle fogne fino a quel momento, se ne escono a conquistarsi il momento di gloria. E non finisce mai bene

Ce lo insegna la Storia - e quella più recente non si è limitata ad insegnarcelo, ce lo ha invano ripetuto un'infinità di volte - che a ogni difficoltà, politica sociale economica, la paura trionfa e con lei il bisogno di sicurezza, di ordine, di ciò che può garantire un po' di tranquillità. Se si deve, in nome di tutto questo, rinunciare a un po' dei nostri diritti di cittadini... pazienza! Li ritroveremo quando tutto sarà tornato normale.
Invece non li troviamo più: loro non esistono una volta per tutte, sono il prodotto di dialettiche, lotte e equilibri fra i diversi interessi di una società che va avanti, non aspetta proprio nessuno. Nel'ambito dell'analisi politica e sociale molti indizi non fanno una prova, tuttavia inquietano e gettano allarme perché l'oggi è tutto troppo uguale a un passato che tutti diciamo di non voler ritrovare e che, invece, sembra proprio tornare a farsi presente e, magari, futuro. Ecco qualche indizio:

GIOCHIAMO AL DOTTORE?

Il gioco rivela davvero e più di ogni altra attività i cambiamenti epocali che stanno trasformando il nostro mondo: quello "alto" e quello con cui facciamo i conti ogni giorno, qui a casa nostra
"Dai nonni, giochiamo al dottore?" ci fa la nostra nipotina quasi cinquenne sul finire della giornata. Vado a prendere lo stetoscopio e gli altri strumenti di plastica nella sua stanza e dico a mia moglie di fare lei la paziente, così io potrò essere l'infermiere. Ma non serve...
La nostra nipotina non degna di uno sguardo gli strumenti del mestiere, vuole una scrivania e dei pezzi di carta: ci ordina di farli a pezzi regolari e di passarle le penne perché vuole scriverci su qualcosa. Intanto sistema per bene il suo tavolinetto (ora scrivania professionale) mettendo in ordine cancelleria e foglietti. Il tavolo lo sistema in modo che il paziente stia il più possibile lontano da lei.
Il gioco può cominciare e consiste in questo: la nonna, che fa la paziente, entra dalla dottoressa, si siede sulle sedia davanti alla scrivania e il medico in erba la interroga. Nessun contatto fisico, neanche per sbaglio, nessun intervento con l'ausilio degli strumenti che le abbiamo regalato per Natale, solo l'interrogatorio che permette la diagnosi attraverso il racconto dei sintomi operato dalla paziente. Alla fine la dottoressa prescrive la cura scarabocchiando sui fogliettini (ecco a cosa servivano!) e congeda la paziente.

UN AMICO SBAGLIATO

Un amico racconta su fb di un conoscente che lo ha apostrofato perché "amico dell'amico sbagliato". Continua così: "Bene, da allora sono sempre più orgoglioso di essere amico dell'amico sbagliato". Seguono commenti, forse parlano di me
La barbarie che oramai attraversa anche i rapporti interpersonali non risparmia neppure quei legami informali, senza implicazioni di prestigio o di potere, giusto cordiali... un tempo si sarebbero detti "fra conoscenti". La politichetta locale (e anche quella nazionale) si nutre proprio di questa degradazione, fatta di minacce, pettegolezzi mischiati a vittimismo, allusioni offensive e azioni consumate nell'ombra. Tutto come se si potesse ridurre una vita, tante vite, a uno schema molto simile a quella del villaggio dell'ottocento, dove pratiche mafiose, intimidazioni e sottomissione stabilivano l'esatta collocazione di ogni individuo nella piccola società del luogo e del tempo.
Non è così solo nella politica, la barbarie ha contagiato oramai tutti i luoghi della socialità: dal lavoro agli amici del bar... giù giù fino al circolo sportivo o all'associazione di volontariato. Il pettegolare intorno agli altri è diventato acido, corrosivo, offensivo anche per chi lo fa, doloroso per chi lo subisce, insomma è il mondo che si è bullizzato.
Non dovrebbe sorprendere più di tanto che siano proprio quelli che hanno responsabilità collettive ad alimentare questa modalità di rapporti, forse convinti di poter primeggiare ulteriormente in una microsocietà dive tutti cercano di azzannarsi e, così facendo, si lasciano passare sulla testa travi spaventose.
Che la spiegazione sia questa o un'altra poco cambia per il clima complessivo sempre più truce, alla volte perfino al di sopra di ciò che si riterrebbe sopportabile.
In questo brodo sguazzano gli stronzi, quelli che - insensibili - approfittano di una condizione di sofferenza generale per imporre i loro interessi, per scandire le loro inutili e vane giaculatorie, per rimandare ancora una volta la resa dei conti. Che cosa volete che sia per questa gente l'amicizia? Ovviamente quella della malavita organizzata, dove il termine connota la totale subordinazione al capo, ai suoi voleri e alle sue decisioni, in cambio di tranquillità economica e di un ruolo sociale che altrimenti non si potrebbe avere. Anche quassù nel Nord la politica, l'economia, le relazioni industriali e quelle sindacali, quelle associative hanno il linguaggio e le forme della Mafia: il modello funziona, è abbastanza naturale e non è difficile da imparare e gestire. Molto meglio che sforzarsi di affermare la civiltà e l'igiene delle relazioni in un mondo che non ne vuole proprio...
Ho avuto anche io tanti "amici sbagliati": molti mi hanno dato tantissimo, tutti mi hanno insegnato parecchio, qualcuno ha anche fatto una brutta fine. Sono stati il condimento della mia esistenza e ancora lo sono perché non ho smesso di cercare, a volte insieme con loro.
Mi rendo conto che essermi amico è a volte faticoso e poco popolare, per questo sono grato a chi mi corrisponde in amicizia e affetto. Sono anche orgoglioso di avere tanti amici e di non averli persi quando il mio ruolo pubblico e la mia popolarità sono calati. Vorrei esserci di più per loro, ecco un buon proposito per il nuovo anno.
Mariano

UN MESE DI "BUONA SCUOLA"

Era giusto un mese fa quando le scuole riaprivano dopo le vacanze estive e la "buona scuola" cominciava a dispiegare i suoi benefici effetti nei meandri dell'istituzione. Un bilancio molto parziale...
Cominciamo dagli insegnanti e dal personale  d'ordine (in burocratese si chiamano ATA). Quest'anno, all'apertura delle ostilità, nella mia scuola di insegnanti ne mancavano davvero pochi (circa 5/6 su 112), pochi meno dell'anno scorso. Sono aumentati quelli di ruolo per via delle immissioni di personale che è stato precario talmente a lungo che ancora non si capacita di non esserlo più. Dato che si trattava di "vecchie lenze da graduatoria", lavoravano già tutti da tempo. Solo con meno garanzie e tranquillità... e questo non è poco. Purtroppo, date le modalità con cui sono state realizzate le immissioni in ruolo, parecchi di loro non resteranno nella a scuola dove sono perché cercheranno di avvicinarsi a casa. La continuità didattica va a farsi benedire, ma va anche detto che almeno un po' di stabilizzazione si realizza: in una scuola è molto importante che ci sia un nucleo di insegnanti e bidelle "storico" perché diviene il depositario dell'identità e della cultura di quella scuola. Garantisce anche ai nuovi arrivati il necessario accompagnamento e ambientamento.
Organico aggiuntivo, ovvero aumento del numero dei docenti per attività di sostituzione degli assenti e per aprire la scuola al pomeriggio con attività di sostegno, approfondimento e individualizzazione dell'insegnamento.

I BAGNI DELLA SCUOLA

Fin dal primo giorno ribadisci che in bagno si va durante gli intervalli e che, durante le lezioni, deve davvero trattarsi di un'emergenza. Qualunque sia l'età ci provano e, a volte, ti sorprendono così.
Mancano poche decine di minuti alla fine dell'ora di lezione, poi potranno usufruire di un intervallo sufficientemente lungo da poterci andare in bagno, volendo anche al bar per una bibita e un panino. Lo stesso, però, almeno uno di loro mette su un faccino sofferente, alza la mano e fa:
"Prof, devo proprio andare in bagno. Lo so che non si deve, ma mi scappa e oltretutto non sto molto bene di stomaco". I vicini di banco sottolineano questa seconda informazione con gesti eloquenti, così devi rapidamente decidere se comportarti in modo inflessibile (come da regolamento) o cercare al fondo della tua anima un po' di indulgenza. Nel primo caso sai che ti capiterà che se la faccia davvero addosso e  ti toccherà vedertela con madri pietose che ti guarderanno come un criminale e ti minacceranno di ogni cosa, incluso denunciarti. Nel secondo hai il ragionevole dubbio che ti stia prendendo in giro, solo che non puoi provarlo e ad esserne sicuro, poi! Così lo fai uscire e te ne vergogni, sei senza carattere...
Lo incontreranno i tuoi colleghi mentre vaga nei corridoi per far passare il tempo, ingannando l'attesa un po' discosto dalla porta dell'aula per evitare che tu lo veda. Così lo crederai ancora chiuso nel bagno fatiscente e puzzolente a soffrire le pene dell'inferno che ti ha lasciato intravedere prima.

SMARTPHONE

Senza che quasi ce ne accorgessimo, il nostro mondo sta cambiando alla velocità della luce, anzi della connessione. E qui cominciano i guai…
Essere connessi
Angolo di una strada, spogliatoio di una palestra, corridoio di una scuola, bagni di un ufficio, mamme e papà ai giardini o dal pediatra con i figli: dappertutto c’è qualcuno con uno smartphone in mano che, incurante del contorno, osserva il video e diteggia la tastiera virtuale come se fosse una questione di vita o di morte.
Fino a non molto tempo fa era parte della gestualità rituale delle nostre latitudini, in occasione di pubbliche adunanza (riunioni, feste, incontri di varia natura), tirare fuori il pacchetto di sigarette e l’accendino. Si mettevano bene in vista sul tavolo o sul punto di appoggio più prossimo così, oltre a consumare le cicche, si adoperavano anche per giocherellarci nei momenti di noia o di tensione frenata. Chi non fumava già allora rimediava con bloc notes e biro, di solito utilizzati per farci dei ghirigori e disegnini accompagnando il fluire dell’evento. Sigarette e accendino quasi sparite e chi ancora fuma sta bene attento a tenere nascosto in tasca gli oggetti del vizio; biro e bloc notes hanno lasciato il posto a tablet e supertelefoni su cui si possono annotare le cose che servono.
Solo che nessuno lo fa mai: tirando fuori il tablet, la prima cosa che normalmente si fa è guardare se c’è nuova posta, magari approfittando per eliminare la valanga di email inutili che riceviamo e  mandiamo ogni giorno. Poi si passa a facebook e twitter (magari qualche nostro “amico” ha scritto qualcosa di fondamentale che dobbiamo assolutamente condividere), infine al cazzeggio informatico su instagram e simili.

GLI ULTRAS DEL NULLA

Movimenti di protesta che si fanno soffiare le manifestazioni da incappucciati organizzati, perbenismo a pene mani e una spaventosa incapacità a garantire la sicurezza della gente…
Rompi e disfa, che ti passa!
Mesi e mesi di propaganda televisiva per inculcarci per bene l’idea che i barconi di migranti (quelli che riescono ad arrivare sulle nostre coste, per gli altri una lacrimuccia e via) rappresentano un grave pericolo e  una minaccia alla sicurezza delle nostre vite. Un pomeriggio di violenza a Milano distrugge tutto il formidabile lavorio fin qui svolto.
Eh già, cari miei, le minacce alla nostra sicurezza ce le abbiamo in casa. Li abbiamo allevati noi, li intratteniamo a scuola, li foraggiamo con paghette multiple, ci illudiamo di controllarli con i telefonini sempre più costosi di cui li dotiamo, li giustifichiamo perché quello che fanno “sono solo ragazzate” (leggi). I nostri bravi ragazzi possono scegliere fra l’intruppamento in una qualche fazione degli ultras al seguito delle squadre di calcio o, da almeno qualche lustro, possono comperarsi la divisa d’ordinanza e trasformarsi in black block. Da ultras del calcio potranno devastare le zone nei pressi dello stadio, sfondare reti di separazione una volta dentro, svaligiare autogrill quando seguono la squadra in trasferta… oppure tutte e tre le cose insieme, magari arricchite da aggressioni singole, partecipazione a squadracce per punire il nemico e via immaginando.
Da black block potranno scegliere la manifestazione giusta, infilarvicisi (magari contando anche sulla possibilità che qualche altro manifestante li protegga, li assecondi e magari li segua pure)...

POI RECUPERO…

Mesi e mesi di insufficienze, di interrogazioni saltate, di assenze strategiche, di scopiazzamenti l’ora prima per quella dopo…
Il mantra dello studente
… e ogni volta che veniva colto in castagna rispondeve a se stesso e agli altri con un bel “POI RECUPERO”. Solo che evitava di precisare quando mai sarebbe arrivato questo POI e, per conseguenza, come avrebbe fatto a recuperare gli arretrati che nel frattempo si andavano accumulando.
Prima di Natale, tirando le somme in vista della fine del primo quadrimestre - ultimo sforzo nei primi giorni di gennaio, al rientro dalle vacanze e giusto prima dello scrutinio di metà anno –, il/la giovane immaginava lunghe studiate invernali fra un ingozzo e l’altro, una festa e un viaggetto, una cena coi parenti e la messa di mezzanotte. Così, al ritorno a scuola avrebbe stracciato quei queruli insegnanti con sufficienze a go go. Quasi per nessuno è andata così: nelle vacanze di Natale hanno fatto lo stesso di prima, i libri sono rimasti ad ammuffire, gli insegnanti al ritorno sono rimasti queruli e allo scrutinio hanno caricato di insufficienze i poveri malcapitati.

UN UOMO ALLA FINESTRA

A distrarsi basta davvero poco. E se la distrazione non fosse altro che vedere la vita da un altro punto di vista?
Dilemma didattico
Tu sei lì che spieghi la questione di Fiume dopo la Grande Guerra e il ruolo di D’Annunzio nella faccenda. Condisci la tua spiegazione con qualche immagine sulla LIM e aneddoti che servirebbero a tenere vivo l’interesse, ma vedi che lo stesso cominciano a scambiarsi lievi gomitate e a guardarsi l’un l’altro ammiccando  a non capisci bene cosa. Lasci perdere e alzi di una tacca il volume della voce, nel tentativo di recuperare un po’ di attenzione, fissi i più distratti direttamente negli occhi. Cercano di sfuggire al tuo sguardo rapace, ma li rincorri e li riprendi, costringendoli a non cedere, a tenere gli occhi ben fissi nei tuoi e le orecchie tese a quello che stai spiegando. Presto ti rendi conto che sono troppi quelli che devi tenere sott’occhio e lasci perdere.
Che cos’avete mai da borbottare? Possibile che abbiate la capacità di attenzione di una diatomea? Avete un modo di fare umiliante e anche un po’ offensivo: ce la metto davvero tutta per rendere semplici e interessanti le cose di cui vi parlo. Ma voi…"", sbotti fra l’indignato e il rassegnato. Non sei di primo pelo, sei docente di mondo e sai che le cose vanno così. Solo che ti dispiace sempre constatarlo di persona.
No, prof, non è lei la causa. E’ che c’è lui, alla finestra”, risponde il rappresentante degli studenti, quello incaricato, con voto plebiscitario una volta l’anno, di parlare con i professori e di riassumere le onde celebrali dei compagni, così flebili da non essere avvertibili con mezzi normali.

SIMPLICIO

Che ci fa un giocatore della Roma nell’opera fondamentale di Galileo? Soprattutto, è davvero così bravo come dicono?
Le beffe del sincretismo
Studente emozionato per l'interrogazione, ma determinato nelle risposte e nell'affrontare le domande a trabocchetto del professore: si è preparato bene, dal Barocco e Galileo passando per Shakespeare. La morte di Amleto la sa a menadito, anche sul monologo (To be or not to be…) c'è: pensa di presentarlo in inglese, così fa ancora più bella figura. Tutto sta procedendo al meglio, quando...
I personaggi del Dialogo di Galileo sono tre: Sagredo, nobile veneziano che fa da arbitro, Salviati e … Simplissio”. Dice proprio così: Simplissio, trasformando la c finale di Simplicio in una esse morbida alla brasiliana. L'ha sentito dire dai commentatori sportivi della tivù, loro se ne intendono di stranieri e di quegli strani nomi che portano.
Il professore lo guarda con occhio perplesso, lo interrompe e gli chiede di ripetere il nome del terzo protagonista di un'opera fondamentale nella divulgazione scientifica, oltre che capace di far sentire a Galileo il calore delle fiamme dell'Inquisizione. Lo sventurato, già sulle sue, lo guarda come se gli avesse chiesto il portafoglio e gli dice seccato:
Simplisssio...”, con la c ancora trasformata in una esse interminabile.

VIETATO FUMARE O VIETATO VIETARE?

Un esempio pratico di come l’eccesso di divieti finisca per incoraggiare la sistematica violazione delle regole
Intervallo con segugio
Era il lontano 2003  e finalmente venne introdotto il divieto di fumo in tutti i locali pubblici. Nei locali scolastici il fumo era già stato messo al bando dal 95, ma dalla Legge Sirchia in poi le norme sono divenute ancora più stringenti. Le istituzioni pubbliche fino ad allora “negligenti” vennero invitate perentoriamente a mettersi a posto, anche affiggendo cartelli con ben evidenti le sanzioni per i fumatori colti in flagrante e i nominativi dei responsabili interni che avrebbero dovuto farla rispettare. Per ammorbidire il divieto la legge candeggiava l’istituzione di appositi locali areati dove i fumatori potessero coltivare il vizio senza ammorbare gli altri (poi eliminati). In tutti i casi, al massimo i viziosi potevano accomodarsi fuori e consumare la sigaretta all’aria aperta, rispettando il divieto e i non-fumatori.
Non sono un bello spettacolo quei capannelli fumanti che si formano in cortile durante l’intervallo deve aver pensato l’anno scorso la ministra Lorenzinbisogna eliminarli proibendo il fumo a scuola anche negli spazi esterni. Così anche la tentazione della prima sigaretta per i più piccoli viene eliminata: non fuma più nessuno”. Ecco pronta la Circolare attuativa che lo stabilisce, senza alcuna indicazione di come fare concretamente per evitare che il divieto venga impunemente violato.

CERVELLI MISCONOSCIUTI A MEDIE E ALTE PRESSIONI

In un pezzo sull’ Huffington Post ho raccontato una storia di cervelli e di occasioni mancate. Lo pubblico anche qua, se vi piace… 
Bellezze da scoprire
Non ci sono solo giovani cervelli costretti a emigrare per far valere speranze e capacità, di cervelli di eccellenza l'Italia ne produce anche di più stagionati, ma ugualmente misconosciuti e pochissimo "profeti in patria". A fine 2012 la casa editrice statunitense Springer - specializzata in pubblicazioni scientifiche ed economiche - ha rilasciato un volume dal titolo scoraggiante Modern Gas-Based Temperature and Pressure Measurements che già allieta le fatiche in quell'ambito di un bel po' di studenti in Fisica (e non solo) delle università americane e anche di quelle del resto del mondo. Gli autori sono italianissimi: Franco Pavese e Gianfranco Molinar Min Beciet, torinesi di settant'anni ciascuno circa, tra le massime autorità mondiali nel campo della misurazione delle medie e alte pressioni. Materiali superduri ottenuti esercitando alte pressioni su elementi e composti, capaci di offrire delle performances oggi solo immaginabili a fatica. Studi sul carbonio che, in particolari condizioni di pressione e in ambiente adatto, si trasforma in durissimo diamante.
Esperimenti sulla compressione di molecole di Co2 per ricavarne sottilissime pellicole che già si affacciano al mercato dei nuovi superconduttori, perfino promettenti nella progettazione dei microchips di domani. Macchine per taglio a getto d'acqua. Studi su materiali e componenti necessari in oceanografia. Sono solo alcuni dei campi in cui gli studi sulla misurazione delle medie e alte pressioni si rivelano decisivi.
Venendo alla nostra realtà di comuni mortali, la fisica delle medie e alte pressioni sta rivoluzionando le tecniche di conservazione degli alimenti, sostituendo la pastorizzazione con trattamenti a pressione che conservano meglio le caratteristiche organolettiche degli alimenti. Insomma una disciplina con alte valenze economiche e produttive, generatrice di tecnologie all'avanguardia e capaci di stimolare innovazione e sviluppo nella ricerca applicata. È una disciplina che annovera nel mondo davvero pochissimi specialisti e ancora meno teorici. Le università e i centri di ricerca pubblici che se ne occupano sono ancora meno: è così densa di implicazioni economiche che le grandi aziende preferiscono sviluppare nei loro laboratori le ricerche nel settore, sempre a caccia di nuovi materiali e tecnologie per competere nel mercato globale.
La funzione della ricerca pubblica l'hanno ben chiara gli statunitensi e gli altri europei, neanche i turchi ci scherzano su e investono parecchio anche loro. Per questo Gianfranco Molinar Min Beciet, direttore dell'Istituto di metrologia del Cnr "G. Colonnetti" di Torino fino a 12 anni fa, ha lavorato una vita con statunitensi, indiani, sudamericani e australiani al perfezionamento di programmi di misurazione della alte e medie pressioni. Ha fatto valere le intelligenze del nostro paese, molte le ha formate e lanciate. Adesso ogni tanto se ne va in Turchia a costruire "da pensionato" con le università del luogo quello che l'Italia ha smantellato. Insieme con l 'amico e collega Franco Pavese pubblica negli Usa le conclusioni di una ricerca che non finisce mai e che laggiù trova la considerazione che merita. Otto anni fa è andato in pensione, nel frattempo l'Istituto di metrologia "Colonnetti" è uscito dal Cnr ed è stato fuso con l'Istituto "G. Ferraris" per dar vita all'Inrim (Istituto nazionale di ricerca metrologica), pesantemente colpito dalle varie spending review che hanno impedito ogni sostituzione del personale con le conseguenze che si possono immaginare... Gianfranco Molinar conosce bene anche la pressione (altissima) che il nord del mondo esercita sulle zone più povere del pianeta. Per questo ogni anno va in Burkina: porta macchine, denaro raccolto, speranze e e progetti alla cooperativa locale di produttrici di burro di karitè.

Mariano

PS Se volete leggerlo sull'Huffington Post, lo trovate qui



LA SCUOLITE

In tempi di “annuncite” e di altre patologie che segnalano la trasformazione della realtà in virtualità, anche la scuola…
La bua dello studente
Non stavo bene”, ti dice lo studente assenteista con l’occhio finto-spento a cercare di supportare il concetto che ha appena espresso.
Stava talmente male che si sta già ingozzando di pizza sintetica e coca-cola, eppure non sono ancora le nove del mattino.
Eh, prof, non posso mica parlare con lei di queste cose da donne”, allude la fanciulla che ha il ciclo tre o quattro volte al mese, così regolare che spacca il secondo. E giustifica l’uscita anticipata per forti dolori, proprio come quel suo compagno che, in odore di interrogazione, ha preferito stare male dalle 9 alle 10, guarire alle 11,30 e poi riammalarsi verso le 13, in tempo per schivare l’ultima ora, quella fatale.
Il virus della scuolite gira come un pazzo per le scuole, colpisce quelli predisposti, dal sistema immunitario indebolito da pomeriggi a giocare col pc o a trastullarsi in altri modi che è meglio solo evocare. O anche solo acciaccati dall’inattività forzata, o ancora dagli sforzi per sfuggire ai redde rationem della vita, perfino intaccati nel profondo dall’ansia di non farcela a schivare gli assalti degli adulti vogliosi di prestazioni secondo le loro aspettative esagerate, genitori o insegnanti che siano.
Di qui la scuolite, che si manifesta in varie forme e con sintomi non sempre identici.