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GIOCHIAMO AL DOTTORE?

Il gioco rivela davvero e più di ogni altra attività i cambiamenti epocali che stanno trasformando il nostro mondo: quello "alto" e quello con cui facciamo i conti ogni giorno, qui a casa nostra
"Dai nonni, giochiamo al dottore?" ci fa la nostra nipotina quasi cinquenne sul finire della giornata. Vado a prendere lo stetoscopio e gli altri strumenti di plastica nella sua stanza e dico a mia moglie di fare lei la paziente, così io potrò essere l'infermiere. Ma non serve...
La nostra nipotina non degna di uno sguardo gli strumenti del mestiere, vuole una scrivania e dei pezzi di carta: ci ordina di farli a pezzi regolari e di passarle le penne perché vuole scriverci su qualcosa. Intanto sistema per bene il suo tavolinetto (ora scrivania professionale) mettendo in ordine cancelleria e foglietti. Il tavolo lo sistema in modo che il paziente stia il più possibile lontano da lei.
Il gioco può cominciare e consiste in questo: la nonna, che fa la paziente, entra dalla dottoressa, si siede sulle sedia davanti alla scrivania e il medico in erba la interroga. Nessun contatto fisico, neanche per sbaglio, nessun intervento con l'ausilio degli strumenti che le abbiamo regalato per Natale, solo l'interrogatorio che permette la diagnosi attraverso il racconto dei sintomi operato dalla paziente. Alla fine la dottoressa prescrive la cura scarabocchiando sui fogliettini (ecco a cosa servivano!) e congeda la paziente.

UN AMICO SBAGLIATO

Un amico racconta su fb di un conoscente che lo ha apostrofato perché "amico dell'amico sbagliato". Continua così: "Bene, da allora sono sempre più orgoglioso di essere amico dell'amico sbagliato". Seguono commenti, forse parlano di me
La barbarie che oramai attraversa anche i rapporti interpersonali non risparmia neppure quei legami informali, senza implicazioni di prestigio o di potere, giusto cordiali... un tempo si sarebbero detti "fra conoscenti". La politichetta locale (e anche quella nazionale) si nutre proprio di questa degradazione, fatta di minacce, pettegolezzi mischiati a vittimismo, allusioni offensive e azioni consumate nell'ombra. Tutto come se si potesse ridurre una vita, tante vite, a uno schema molto simile a quella del villaggio dell'ottocento, dove pratiche mafiose, intimidazioni e sottomissione stabilivano l'esatta collocazione di ogni individuo nella piccola società del luogo e del tempo.
Non è così solo nella politica, la barbarie ha contagiato oramai tutti i luoghi della socialità: dal lavoro agli amici del bar... giù giù fino al circolo sportivo o all'associazione di volontariato. Il pettegolare intorno agli altri è diventato acido, corrosivo, offensivo anche per chi lo fa, doloroso per chi lo subisce, insomma è il mondo che si è bullizzato.
Non dovrebbe sorprendere più di tanto che siano proprio quelli che hanno responsabilità collettive ad alimentare questa modalità di rapporti, forse convinti di poter primeggiare ulteriormente in una microsocietà dive tutti cercano di azzannarsi e, così facendo, si lasciano passare sulla testa travi spaventose.
Che la spiegazione sia questa o un'altra poco cambia per il clima complessivo sempre più truce, alla volte perfino al di sopra di ciò che si riterrebbe sopportabile.
In questo brodo sguazzano gli stronzi, quelli che - insensibili - approfittano di una condizione di sofferenza generale per imporre i loro interessi, per scandire le loro inutili e vane giaculatorie, per rimandare ancora una volta la resa dei conti. Che cosa volete che sia per questa gente l'amicizia? Ovviamente quella della malavita organizzata, dove il termine connota la totale subordinazione al capo, ai suoi voleri e alle sue decisioni, in cambio di tranquillità economica e di un ruolo sociale che altrimenti non si potrebbe avere. Anche quassù nel Nord la politica, l'economia, le relazioni industriali e quelle sindacali, quelle associative hanno il linguaggio e le forme della Mafia: il modello funziona, è abbastanza naturale e non è difficile da imparare e gestire. Molto meglio che sforzarsi di affermare la civiltà e l'igiene delle relazioni in un mondo che non ne vuole proprio...
Ho avuto anche io tanti "amici sbagliati": molti mi hanno dato tantissimo, tutti mi hanno insegnato parecchio, qualcuno ha anche fatto una brutta fine. Sono stati il condimento della mia esistenza e ancora lo sono perché non ho smesso di cercare, a volte insieme con loro.
Mi rendo conto che essermi amico è a volte faticoso e poco popolare, per questo sono grato a chi mi corrisponde in amicizia e affetto. Sono anche orgoglioso di avere tanti amici e di non averli persi quando il mio ruolo pubblico e la mia popolarità sono calati. Vorrei esserci di più per loro, ecco un buon proposito per il nuovo anno.
Mariano