La stanchezza da quarantena comincia a farsi sentire, alla fine sono quasi quattro settimane di reclusione totale, di passeggiatine furtive condite da sensi di colpa (era proprio necessario andare a comprare prima il giornale, poi tornare a uscire per il pane e di nuovo per la spazzatura?) e di riorganizzazione dell'informatica di casa. I freni inibitori stanno lentamente cedendo, così come i sani principi di cui andare fieri: figli e nipoti davanti alla tele non stop, giusto una pausa per guardare sul tablet i video che ha postato la maestra per poi fare i compiti fra maledizioni e sceneggiate che neanche a Napoli. Resa totale a cibarie, movimenti fisico, civiltà nelle relazioni eccetera.
Perde colpi la speranza che l'epidemia passi, placando la sua furia per permetterci di fare la conta dei morti, delle responsabilità e degli insegnamenti. Lentamente si è fatta strada la constatazione che le cose non vanno affatto meglio, nel mentre l'eccezionalità facilita l'emersione del meglio e del peggio in tutti noi e nella società, sembra che elimini i filtri che attutiscono la nostra percezione della realtà e degli eventi. Il meglio continua a essere in secondo piano, il peggio esplode in tuta la sua virulenza. E fa paura, a volte schifo.