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LEGALITA’ E CINISMO di F. Maletti

Dopo ogni terremoto, frana o alluvione, arriva sempre la ricostruzione
Gli ostacoli al progresso

Alcuni giorni fa, all’interno di un supermercato, ho incontrato un amico che non vedevo da tempo. Il mio amico, infatti, era da pochi giorni tornato dalla Sardegna: poco prima che l’alluvione facesse quegli sconquassi dei quali giornali e tv hanno dato ampio risalto. Per dovere di completezza preciso che questo mio amico anni fa ha comprato una casa in Sardegna (intestandola subito al figlio per non pagare le tasse come seconda casa: così come in queste circostanze fanno un po’ tutti, me compreso, quando possono). Così che, da allora, essendo contemporaneamente andato in pensione, ogni anno nel periodo che va da fine maggio ai primi di novembre, là va a risiedere insieme alla moglie. Da maligno quale sono (ma credo di essere in buona compagnia) ritengo che il suo passato lavorativo da idraulico...

CIUCCI CHE SPRECANO

L’incompetenza e l’ignoranza sono spesso più pericolose delle differenze di punti di vista. Specie se accompagnate dalla prosopopea. Da tempo la mia non è più una città che guarda avanti…
Smart city? Ma per piacere…
Una dozzina di anni fa l’amministrazione comunale della mia città decise di realizzare una rete di teleriscaldamento, allora era il modo migliore per ridurre le emissioni e fornire calore a costi accettabili, peraltro integrabile con le fonti rinnovabili che si stavano timidamente affacciando al mercato.
Invece di fare come gli attuali, gli amministratori del tempo chiesero aiuto a chi ne sapeva più di loro, poi bandirono una gara pubblica per cercare un partner privato con cui realizzare il progetto. Accanto ai tubi del teleriscaldamento – già che si sarebbero rotte le strade per farli passare – impose contrattualmente anche la posa di cavidotti per farci transitare cavi telefonici e cavi in fibra ottica.
Si stava avvicinando il boom di internet e dei servizi on demand, dalle televisioni digitali al telelavoro; i social network ancora esistevano solo nelle università americane, ma già si preconizzava la loro esplosione con l’aumento dell’accessibilità alla rete.
Il cambiamento era nell’aria e l’amministrazione si poneva il problema di come servire le abitazioni e gli edifici pubblici con una rete efficiente di cavi in fibra ottica, così da vendere il servizio a tutte le società fornitrici di servizi remoti.
Ben prima che salisse alla ribalta il tema dei beni comuni,  si voleva fare di Grugliasco una città all’avanguardia anche nel definire, una volta per tutte, che le varie Telecom, Fastweb eccetera non possono rompere in continuazione le strade e passarci con le loro infrastrutture, come se fossero cosa loro. Le strade e le piazze sono dei cittadini, chi vuole utilizzarle per sviluppare economia deve pagare il canone (proprio come facciamo tutti noi quando vogliamo usufruire di qualcuno dei servizi che loro offrono, è il mercato bellezza!). E il Comune valorizzò le infrastrutture pubbliche attribuendo loro un valore che è il 51% del capitale conferito nell’azienda del teleriscaldamento.
Così si prendevano due piccioni con una fava: fornire ai cittadini servizi evoluti a minor costo di quello “di mercato” e valorizzare economicamente gli spazi pubblici, impedendone la sistematica distruzione. Vuoi posare cavi nel sottosuolo attraverso i quali far arrivare il tuo servizio? Non rompi la strada, passi nel cavidotto del Comune e paghi il canone. Facile no?
Sono passati undici anni da allora, qualcuno di meno da quando la rete del teleriscaldamento è stata completata. A Grugliasco di cavidotti ce n’è per 30 km, tutti realizzati come da contratto; la rete passa in ogni angolo della città, tranne che in due borgate lontane dal centro. Ci si potrebbe attendere una popolazione straservita di ogni ben di Dio in quanto a servizi informatici… invece niente!

Ieri sera, durante una riunione in Comune ho chiesto all’assessore preposto, si chiama Turco, che cosa avessero fatto per valorizzare economicamente e strategicamente quella rete, viste le note difficoltà economiche dei comuni e la fame di connettività ad alta velocità e dei servizi collegati.
Ha sgranato i suoi occhioni da cerbiatto e mi ha risposto che nei tubi passa il collegamento fra il palazzo del Comune e i Vigili (km 1,3 su Google Maps)… e basta. Visto che appariva in difficoltà, è intervenuto quell’altro fenomeno del sindaco che, quando non fa il portaborse in Regione come secondo lavoro,  parla come se fosse in Comune da un anno e non da 13 (cioè da quando partì il progetto). Ha detto le stesse cose confermando che l’amministrazione non ha mai fatto gare e bandi per offrire questo servizio, dando la chiara impressione di non sapere forse neanche da dove si comincia.
La cosa più simpatica è che, di fronte a una mia richiesta di precisazione, ha ribadito che l’unico uso dei cavidotti è quel collegamento Comune-Vigili di cui sopra. Solo che non è vero: un piccolo tratto della rete è impegnato a collegare la Facoltà di Agraria con l’ ITIS “Majorana” di via Baracca che, infatti, usufruisce di un collegamento ad alta velocità. Ignora l’assessore, ignora il sindaco, una bella coppia. Spettacolo usuale dei consiglieri di maggioranza: muovevano la testa come i cagnolini sul cruscotto quando il loro assessore prima e il loro sindaco poi, si giustificavano con le solite palle. Se ve li siete persi, non preoccupatevi: insulteranno come al solito sui social networks, magari senza neanche rendersi conto che, con una politica meno ignorante, la loro città potrebbe essere padrona del suo destino e delle sue infrastrutture.

Difficile quantificare il danno economico e produttivo per la città, non ne sono capace. So, però, che basta aprire una qualunque rivista di economia per leggere che quel poco che si muove nel mondo della produzione oggi ha bisogno di infrastrutture informatiche, di servizi che possano supportare la trasmissione di contenuti a una velocità accettabile. Grugliasco avrebbe potuto fornirla a larga parte delle famiglie e della attività produttive attraverso la sua rete di teleriscaldamento, quando la concorrenza praticamente non esisteva.
Con amministratori del genere, perché stupirsi se l’Università ha cambiato i suoi piani e se a questa città non resta che sperare nell’inceneritore? Ma li votano lo stesso, anche perché possano titillare le tastiere dei loro cellulari come studentelli in crisi da Facebook, tanto sono già saputi: sono la maggioranza, no?

Mariano

SE IL CORAGGIO “PROCURA” GUAI di I. Bellotti

Un ramo “collaterale” della grande inchiesta sull’ILVA di Taranto mette in evidenza problemi e questioni che riguardano il rapporto fra i politici eletti e  dipendenti degli enti che governano. Un tema ben presente anche qui da noi… Un pezzo davvero interessante e anticipatore di novità!
Collaborazione o collaborazionismo?
La vicenda dell’arresto del presidente e dell’assessore della Provincia di Taranto, avvenuti il 15 maggio nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente svenduto”, aprono uno spiraglio su un problema spinoso e diffusissimo nei rapporti tra politica e gestione organizzativa all’interno della pubblica amministrazione. Da tempo cerco di sensibilizzare sul tema tutta l’opinione pubblica con cui - nel mio piccolo – riesco a venire in contatto tramite i miei scritti e la mia attività sindacale (leggi 1) (leggi 2) (leggi 3) e questo improvviso balzo agli onori della grande cronaca torna particolarmente utile allo scopo.
I fatti li conosciamo: Gianni Florido (presidente), Michele Conserva (ex assessore), Girolamo Archinà (funzionario) e Vincenzo Specchia (ex direttore generale), sono stati arrestati.
Le ipotesi di reato contestate dalla procura ionica vanno dalla concussione per induzione alla tentata concussione per costrizione.
«I quattro, secondo le accuse, avrebbero esercitato direttamente o indirettamente, pressioni sui dirigenti dell’amministrazione provinciale perché si adeguassero ad “assumere un atteggiamento di generale favore nei confronti dell’Ilva”. Nell’ordinanza firmata dal gip Patrizia Todisco, gli investigatori documentano le pressioni nei confronti dell’ex dirigente del settore ecologia Luigi Romandini “colpevole” di aver negato le autorizzazioni in materia ambientale allo stabilimento e finito così al centro di “pressioni reiterate nel tempo accompagnate da minacce di licenziamento, dall’invito a presentare le dimissioni, da minacce di trasferimento ad altro incarico” e infine anche di “pretestuose riorganizzazioni dell’ufficio” che in realtà avevano come unico scopo quello di “influire sui poteri del dirigente”. L’obiettivo era di costringere Romandini a firmare “a vista” tutte le richieste formulate dall’azienda anche facendo a meno di “un esame approfondito delle pratiche”. In particolare il presidente Florido e l’ex assessore Conserva avrebbero caldeggiato la concessione dell’autorizzazione richiesta dall’Ilva per l’uso della discarica di rifiuti speciali nella “Cava Mater Gratiae”. Un via libera che avrebbe permesso all’azienda di smaltire i rifiuti prodotti nel ciclo di lavorazione ottenendo così un significativo vantaggio economico.» (Il Fatto quotidiano).
Nonostante la chiarezza delle azioni criminose ipotizzate dalla procura, necessitano a mio avviso alcune considerazioni. La prima – pleonastica – è che, inspiegabilmente, continuiamo ad aspettarci che amministrazioni di centro sinistra (Gianni Florido è presidente della provincia al suo secondo mandato e presidente del Partito democratico di Taranto) mostrino sensibilità più “accentuate”, non solo verso la tutela ambientale ma anche nei confronti dei diritti dei lavoratori. Ma questo è una questione che si è praticamente risolta con il “Governo Unico” attualmente alla guida del Paese.
Un plauso va sicuramente al coraggioso dirigente che si è recato dall’Autorità Giudiziaria a denunciare le vessazioni (un consiglio per tutti i dipendenti pubblici: quando vi trovate a subire comportamenti analoghi, non cadete nella trappola dell’autocommiserazione ma documentate e denunciate i fatti: cercare di convincervi o costringervi a soprassedere sui vostri doveri è un reato!), così come è apprezzabile l’intervento del p.m. Todisco, che ha raccolto la denuncia e ha pazientemente tessuto un’indagine che punta dritto al nodo di uno dei problemi più spinosi e più taciuti nella pubblica amministrazione.
L’ipotesi di reato più interessante, a mio avviso, è costituita da quelle “pretestuose riorganizzazioni dell’ufficio” che in realtà avevano come unico scopo quello di “influire sui poteri del dirigente”. Interessante perché costituisce un po’ una sfida per la procura. Le riorganizzazioni, infatti, non sono disposte formalmente dai politici ma dai dirigenti o dai loro facenti funzione (le Posizioni Organizzative, ad esempio). Risulta quindi difficile dimostrare che chi ha firmato gli ordini di servizio “riorganizzativi” sia stato indotto dal politico di turno.
Ciò significa che, dimostrata la “tendenziosità” della riorganizzazione (in questo e in altri casi a detrimento del dirigente o di altro dipendente), i primi ad andarci di mezzo saranno coloro che quegli atti hanno firmato e non i politici. Il fatto che si sia quindi arrivati all’arresto dei politici significa che chi ha firmato ha deciso di denunciare i suoi “suggeritori”. Ben fatto.
In tutta questa vicenda, però, mancano alcuni attori. I sindacati, ad esempio. Pronti a difendere “il lavoro”, schierandosi con buona parte della politica contro le sentenze di sequestro dell’azienda, ma disinteressandosi completamente dell’esecrabile e pericolosa pratica di commistione tra politica e buon andamento della pubblica amministrazione.
Così come nulla si dice su coloro che, pur non figurando nella vicenda, hanno sicuramente contribuito a “coprirla” con il loro silenzio. Ad esempio, tutti i consiglieri provinciali di maggioranza che, grazie alla loro vicinanza con i vertici dell’amministrazione, non potevano non essere a conoscenza di simili manovre. Queste sono cose che non si tengono nascoste, sono i segreti di Pulcinella. E del resto, ora che sono venuti alla luce, non risulta che qualcuno di loro si sia schierato a favore dei lavoratori vessati. Quindi, per me sono tutti complici.
Un’ultima considerazione. Non pensino, i cittadini, che queste vicende siano circoscritte ai soli diretti interessati. Ogni volta che un dipendente pubblico omette di fare il proprio dovere, o compie un’azione dettata non dalla legge ma dal “consiglio” di un politico, reca un danno enorme al servizio pubblico e, di riflesso, a ciascuno di noi. E se la politica cerca di costringerlo a tenere comportamenti omissivi o di favore, vista la debolezza della difesa sindacale, dovremmo essere proprio noi cittadini a difendere l’opera del funzionario. Per il bene di tutti.
Italo Bellotti
RSU del Comune di Grugliasco












INCENERITORE: PRONTI…VIA!

Partita la fase di rodaggio dell’inceneritore del Gerbido. La temperatura si alza e anche i cittadini più distratti cominciano a provare una certa inquietudine… Meno le autorità pubbliche.
In che mani
Il 24 aprile su NORDOVEST finalmente un articolo sincero e puntuale che per primo, rispetto ai più diffusi e  blasonati quotidiani torinesi, spiega alcuni retroscena di questo impianto (leggi). Apprendiamo che il Comitato di Controllo è presieduto da una consigliera provinciale che non ne ha titolo, che essa è del tutto convinta che la presidenza sia una questione sua, quasi uno scranno dove si siederà per sempre.
Anche lei è sicura di aver fatto bene a far partire l’inceneritore senza comunicarlo ai cittadini: si sa che sono deficienti e non vanno spaventati.

Impariamo che le ceneri saranno smaltite dalla Servizi Industriali - quella impresa che in tutti gli accordi di programma fin qui sottoscritti dovrebbe essere spostata altrove da dove si trova (a ridosso del Centro Agro Alimentare!) – e tante altre notizie che forse non tutti sanno. Se poi ci mettiamo anche le vicende che travagliano IREN, proprietaria dell’80% dell’impianto, c’è davvero da essere preoccupati.

Ve ne consiglio la lettura anche per un altro motivo: basta leggere le dichiarazioni della presidente Faienza per comprendere la qualità dei politici che si occupano di questo impianto con tutti gli addentellati e le conseguenze. Da farsi venire i brividi e da indurre in agitazione perfino il più tenace sostenitore degli inceneritori.

Suo marito, il sindaco di Grugliasco, va lamentandosi ai attacchi alla sua signora, come se non fosse anche lei un personaggio pubblico, perciò soggetto a critiche e attacchi connessi col suo ruolo. Insomma, sempre la stesa storia.

Mariano

IL BRANCO

Come la rinuncia all’autonomia in cambio di benefit trasformi le persone in caricature tragiche. Una storiella per cominciare bene l’anno.
Andare “a servizio”
Dicembre appena trascorso, drammatica e intensa seduta del Consiglio comunale della mia città sul tema rifiuti e inceneritore, prossimo a entrare in funzione. Contrariamente al solito, la sala è stracolma di cittadini venuti a sentire, chiamati dai consiglieri di opposizione che sono stati promotori della convocazione della seduta. Si dibatte se permettere a qualche rappresentante del comitati di intervenire per consegnare ufficialmente ai consiglieri le tante firme a una petizione che chiede un modo diverso di trattare e smaltire i rifiuti, raccolte fra la popolazione della città. La maggioranza - (PD, Moderati, IdV, UDC), sindaco in testa - non vuole perché “dicono sempre le solite cose che già sappiamo”, l’opposizione (Lista civica Grugliasco Democratica, Ecologisti e M5S, PdL tace) chiede uno spazio di mezz’ora per interventi del pubblico. Schermaglie, si vota fra i rumors del pubblico, vince la maggioranza.

Il sindaco – facente funzioni di capobranco – si accorge della gaffe di fronte ai cittadini e rimedia proponendo che l’intervento esterno, prima negato, sia ora consentito, ma a una sola persona in rappresentanza di tutti. Cosa che avviene, per un totale di 27 minuti (cioè la mezzora chiesta dalle opposizioni, che nei fatti ottengono quello che avevano chiesto). Il branco si accorge della gaffe, del cedimento del sindaco, sembra disorientato, smentito dal capo che, fino a qualche minuto prima, aveva aizzato i suoi membri contro tutto e tutti, ponendo come condizione fondamentale della loro sopravvivenza l' essere coesi nel respingere tutto quello che venisse dall'opposizione o dai cittadini presenti.

Ma il branco si riprende in fretta dallo smarrimento, ha altre missioni per cui è stato programmato dal capobranco; infatti, come annota una delle cittadine presenti, ogni volte che il sindaco capobranco esce dall’aula, i banchi della maggioranza sembrano ondeggiare per l’incertezza e il disorientamento. Il membro del branco ha sempre bisogno di essere in contatto col capo, a vista, a olfatto, fa lo stesso, basta che il contatto non si interrompa. Il capo se ne accorge e si dispone a rimanere sempre in vista così da tranquillizzare i suoi.
E così si arriva al ridicolo. L’opposizione (senza dirlo) aveva presentato alla discussione due documenti: uno di questi era stato approvato dal Consiglio comunale un anno fa. Molti dei consiglieri di maggioranza (e il Sindaco) erano presenti e avevano votato favorevolmente. Solo che evidentemente non l’avevano letto, oppure non avevano letto la sua riscrittura un anno dopo, convinti che tutto andasse respinto facendo barriera col corpo e con la mente a ogni sollecitazione che mettesse in discussione l’autorità del capobranco.
Così, uomini adulti, gente di mondo, persone che sanno vivere e sanno guardare le cose con distacco e laicità hanno finito per votare contro un documento che prima avevano approvato. Qualcuno di loro l'ha fatto a testa bassa e in evidente stato di difficoltà, ma questo rende ancora più triste l'intera faccenda.

Poco male”, potreste dure voi lettori abituati oramai a vederne di tutti i colori. Solo che i documenti non erano proprio carta straccia: fissavano obbiettivi e modalità in relazione alle politiche di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Indicavano criteri per limitare l’esplosione dei costi che i cittadini sopportano e definivano una via per evitare che lo scempio dell’ambiente e della salute continuasse con l’allegra incoscienza con cui è avvenuto finora.

A votazione conclusa, il capogruppo della lista civica l’ha fatto notare. Il pubblico ha rumoreggiato, dai banchi gli sguardi sono andati al capobranco. Seduto al suo posto, col ghigno di quando è in imbarazzo, li ha rassicurati. Si sono comportati bene, possono stare tranquilli: il capo penserà a loro con riconoscenza e gratitudine.

Mariano

LE CACCHE DEI CANI E L’AUTORITA’

Trascrivo una e-mail che ho ricevuto – ovviamente emendata da tutti gli elementi che potrebbero portare al riconoscimento di chi me l’ha mandata, visto il clima di “democrazia mafiosa” che si respira nella mia città - e la risposta che ho dato alla mittente. Segno dei tempi: tolleranza zero verso i possessori dei cani,  verso i furbetti la tolleranza si alza. Come? Riducendo gli organici degli addetti al controllo dei finti poveri e le dichiarazioni false. Capito?
L’astuzia del sindaco, il cittadino ingannato e l’educazione civica
Gentile Turigliatto,

Le scrivo per rappresentare la voce di alcune persone anziane che non hanno modo di contattarla  perché non dispongono né di un pc né sanno utilizzarlo. Io mi chiamo NB e abito a Torino ma sono solita a "frequentare" Grugliasco in quanto ci abita la mia nonnina di ormai 80 anni.
Le scrivo in quanto voglio esprimere a nome di tante persone il rammarico per quanto sta succedendo a Grugliasco in questi giorni.
Pare che il sindaco Montà abbia deciso di utilizzare la tolleranza zero con i possessori di cani. Tutti i giorni, mi riferiscono, i vigili di Grugliasco stanno facendo multe ai possessori di cani che trovano senza guinzaglio e poco importa se la bestiolina è alta poco più di 10 cm o se il cane anche se grosso è anziano, e ancora più triste, poco importa se la persona è in cassa integrazione prende 700, 00 euro al mese e non ce la fa.

SCIATT’ITALIA: NON E' DI MIA COMPETENZA

La vita quotidiana di questi giorni è segnata da intoppi e incazzature superiori a quelle di tempi meno critici. Aumenta il menefreghismo o diminuisce la nostra capacità di sopportazione?

Una firma sbagliata sulla pratica, una svista dell’impiegato o una sua sottovalutazione, e il circuito infernale si blocca: il malcapitato deve ricominciare, girare da un posto all’altro, produrre nuova carta che richiede nuove code e nuove istanze.
Così i tempi della risposta si dilatano, la quantità di interventi si moltiplica, ognuno deve dire la sua e giustificare la sua posizione nella struttura burocratica, il cittadino si fa sempre più piccolo e indifeso.
Nessuna paura, lo stesso cittadino inerme, una volta passato dall’altra parte della barricata, si comporterà nello stesso modo, trasformandosi in uno sciatto vessatore e consumatore del tempo e dei nervi altrui. Questo nella burocrazia pubblica, ma nel privato non è mica diverso, non lo è nemmeno nei rapporti più circoscritti e intimi: di fronte a una richiesta di assumersi una piccola responsabilità, di fare semplicemente il proprio dovere…. un bel chissenefrega e via verso nuove manifestazioni di un un individualismo distruttivo e ottuso.

Di fronte al tuo chissenefrega, come pensi che reagirà il tuo interlocutore? Nello stesso modo, ma non te ne importa. Se avrò bisogno di qualcosa cercherò una raccomandazione o un favorino di qualcuno che conosco o che potrebbe domani avere bisogno di me. Così l’Italia va in rovina e gli stessi menefreghisti deplorano questa china discendente attribuendone la colpa agli altri.
Così, se sul tuo posto di lavoro qualcuno si prende la responsabilità di farlo al meglio, tu ti coalizzerai con gli altri dipendenti per fargli terra bruciata intorno: guai far vedere al dirigente (o al padrone) che, a parità di orario, si possono fare più cose e perfino senza ammazzarsi, meglio osservare il degrado del nostro orgoglio professionale dalla sedia dove il nostro culo deplora coi colleghi lo scadere della qualità italiana.

E poi, chissenefrega se quel poveraccio è costretto a correre come una scheggia anche per fare il tuo di lavoro: lui non è garantito, lavora per una cooperativa e forse non è nemmeno del tutto in regola. Dunque deve trottare e fare anche quello che potresti e dovresti fare tu, mentre le tazzine del caffè del bar si raffreddano a sentire la cagate politiche che spari senza sosta.

Chissenefrega se potresti tirare via quelle erbacce davanti all’ingresso mentre spieghi ai tuoi colleghi che bisognerebbe proprio farlo, se non ti chiedi mai che cosa potresti fare per migliorare le tue prestazioni, la salute della tua azienda e la vivibilità del luogo di lavoro.

Chissenefrega se il tuo modo di scegliere in politica produce guasti che pagherai anche tu, ci sarà sempre qualcuno sotto di te a cui dare la colpa, qualche precario o co.co.co. da far aspettare ore mentre tu sorbisci caffè alla macchinetta cianciando di giustizia sociale e di rinascita dell’Italia.

Qualche vittima da sfruttare per farle fare quello che potresti tranquillamente fare tu, se solo non avessi perso l’ambizione di essere una persona rotonda invece della figurina piatta che sei, quella con cui la casta gioca a completare un album che non finisce mai.

Ma chissenefrega!

Mariano

TAV-ANANDO

Un post di Franco Maletti, mi ha stimolato a riprendere la questione, provando (proprio come lui) a proporre un punto di vista “normale”, come un un forestiero che cercasse di capirne le ragioni e i modi per uscirne. Il post di Franco è "No-tavando sulla spiaggia di Rimini con un  tedesco". Leggetelo, è davvero interessante!
La mistificazione del treno
Io sono favorevole al treno, molto. Mi piace anche che vada veloce, che arrivi in orario e che sia confortevole. Se poi costasse anche un po’ meno di quelli di oggi, lo prenderei ancora più volentieri e sarei ancora più favorevole a investimenti pubblici per costruire nuove linee e ammodernare quelle esistenti. Credo di esprimere con queste banalissime parole un’idea comune a NO TAV e SI TAV, anche di quelli fra loro che viaggiano in auto invece che in treno.
Poi credo che sia evidente a tutti che la Torino-Modane è una linea che ha bisogno di interventi decisi per essere efficiente e tornare a riprendere almeno il flusso di convogli che aveva nel passato recente e che oggi non ha più, non certo per colpa dei NO TAV, ma perché sono cambiati i flussi del traffico merci. Eseguire opere di ammodernamento e ristrutturazione richiede investimenti, sacrifici delle popolazioni interessate, tempi certi, poca malavita e tanta volontà di arrivare bene e in fretta alla fine dell’opera. Dunque, secondo lo schema classificatorio tanto in uso quassù, dovrei essere SI TAV?
Di comitati che osteggiano questa o quella opera pubblica, che fanno presente che i costi e i ricavi non sempre sono quelli dichiarati, che da noi le strade e le ferrovie costano cinque volte di più che nel resto d’Europa perché bisogna pagare corruzione e malavita, che il paesaggio deve essere tutelato perché è la ricchezza di oggi e di domani… ce ne sono dovunque. Alcuni sono ragionevolmente disponibili a mediare e a cercare la soluzione giusta e condivisa, altri sono più radicali e interpretano i giusti temi per i quali combattono come barriere invalicabili, totem inviolabili a cui i favorevoli all’opera oppongono totem esattamente contrari. Nello stesso modo e con le stesse parole. Alla fine, le opere importanti però si sono fatte… perfino quella variante di valico fra Firenze e Bologna che tanto contrappose il Ministro Di Pietro agli ambientalisti locali, che oggi scoprono di aver avuto ragione quando oramai il disastro è fatto. Perché, allora, la TAV non va avanti?
Perché è un’opera che doveva essere cofinanziata dal pubblico e dal privato e oggi di privati che pagano non ce n’è nemmeno uno: hanno capito prima di tutti che si trattava di un’opera troppo costosa, impossibile rientrare con gli investimenti.
Perché è forte l’impressione che chi se ne occupa non sappia di cosa parla: ancora di recente Monti spiegava i vantaggi nella diminuzione dei tempi di percorrenza lasciando intendere che si parlava di treni passeggeri, invece la TAV è per le merci. Almeno così dichiarano i referenti del progetto. Ma è per i passeggeri o per le merci, oppure per entrambi i servizi? Salireste su un’auto il cui conducente mostra di non sapere come si guida e dove vuole andare?
Le altre ragioni NO TAV (malavita, corruzione, perfino gli sconquassi ambientali pure terribili) potrebbero essere governate con intelligenza e ridotte nell’impatto, come accade in tutti i paesi quando si deve realizzare un’opera pubblica. Alla fine il treno migliora la qualità del servizio e val bene qualche sacrificio aggiuntivo.
La questione è chiara oramai a tutti e, se una fetta consistente degli opinion leaders (anche non di sinistra) comincia a dubitare delle ragioni dei SI TAV una ragione ci sarà pure. Ancora ieri sera Gad Lerner in televisione evocava le considerazione della parte più ragionevole dei TAV scettici (a cui mi onoro di appartenere) e il ragionamento non faceva una grinza, soprattutto perché sfuggiva alla classificazione sbrigativa che sta diventando francamente insopportabile.
Se la lotta contro la TAV in val di Susa è diventata quello che conosciamo – raccogliendo il meglio dell’estremismo italico, come se fosse la nuova frontiera del comunismo rivoluzionario e dell’anarchismo – le responsabilità stanno anche nella miseria e nella pochezza di chi ha strumentalizzato e strumentalizza buone ragioni e inutili paure, velleità muscolari e interessi inconfessabili.
La politica deve occuparsi di progetti, istruire le pratiche per la decisione, sottoporle ai cittadini, raccogliere le idee e le proposte, poi decidere, prendendosene le responsabilità e dettando tempi e modalità certi. Anche quelle che derivano dal trasformare una valle in un campo di battaglia, sperando così che nessuno metta gli occhi nei conti e nei progetti, occupato a schivare i bastoni e fumogeni di un pericoloso gioco di indiani e cow boys.

Mariano
 
Rimetto il link del posto di Franco Maletti
( NOTAVANDO” SULLA SPIAGGIA DI RIMINI CON UN TURISTA TEDESCO )


REFERENDUM SULLA CACCIA: SI FA

Una bella occasione per dire la nostra sui beni comuni
In pochi ci speravano, ma l’impossibile è successo. A distanza di oltre 25 anni dalla raccolta delle firme necessarie, promossa dalle associazioni ambientaliste piemontesi e sostenuta dai verdi e da altri gruppi politici anticaccia, la battaglia legale ingaggiata dai governi regionali di tutti i colori contro il referendum è finita.
Il referendum si farà in primavera e finalmente i Piemontesi potranno dire la loro. Ora comincia la mobilitazione per impedire che il referendum fallisca per mancanza del quorum e perché tutti i cittadini siano adeguatamente informati, così da andare massicciamente a votare per difendere un bene comune, la fauna.
Il video rappresenta l’intervento finale di una battaglia che ho portato in Consiglio regionale a tutela della tipica fauna alpina. Si è conclusa con la votazione di un ordine del giorno che chiedeva la sospensione della caccia per cinque anni per quattro specie. Io l’ho promosso, ma l’avevano sottoscritto numerosi consiglieri di entrambi gli schieramenti politici. Non è passato per tre voti: lascio a voi indovinare (e poi verificare sul sito del Consiglio regionale del Piemonte) di quale gruppo politico erano i voti mancanti.

Mariano

UN PAESE NEL FANGO

Pioggia, crisi, devastazioni materiali e morali, sensazione che una tragedia stia per consumarsi… Lo specchio del paese che siamo.
Italia d’oggi: le immagini e i sottotitoli.

Mentre guardiamo in tivù le immagini della devastazione genovese – che segue di una settimana quella dello spezzino e del lucchese – e ci chiediamo dove abbiamo sbagliato se questi sono i risultati che la nostra civilizzazione riesce a produrre, nella parte bassa dello schermo scorrono le notizie che vengono dal mondo della politica e della finanza.
Le auto vengono spazzate via e nei sottotitoli leggi che per Berlusconi questo è un paese benestante e che non è vero che è stato commissariato dal Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea.
Si contano le vittime e in basso si dice che Scajola è finalmente stato rinviato a giudizio per la casa acquistata “a sua insaputa” dall’imprenditore Anemone. Vedi i volontari al lavoro per sgomberare le strade dalle macerie e riportare la città alla normalità, in basso si spiega che il nostro paese è davvero sull’orlo del baratro e quel vecchio sporcaccione non solo non si dimette, ma continua a tenere in pugno maggioranza e opposizione.

Vedi fiumi gonfi d’acqua che corrono violenti fra sponde di cemento – sul bordo delle quali sorgono moderni condomini di pregevole fattura –, senti i lamenti delle persone spaventate, alcune delle quali avranno in passato rivendicato qualche bella variante al piano regolatore per rendere edificabile ciò che prima non lo era, magari in cambio del voto a questo o a quello. Nei sottotitoli c’è l’ennesima dichiarazione inutile di Bersani, Di Pietro Vendola. Inutile perché non fatta seguire da azioni concrete che avvicinino le parole ai fatti, come un rosario che viene recitato senza convinzione e con la segreta consapevolezza che tutta questa sceneggiata non è colpa di Berlusconi: è lo specchio del paese che siamo, della sua ignavia, dei suoi opportunismi, della sua incapacità di pensare in grande, dell’eterno “tengo famiglia”, dell’indignazione a intermittenza, della memoria che funziona solo quando serve, del mettere sempre tutto in burla.

Ogni tanto, per riempire gli spazi televisivi, l’intervista a un climatologo: chiunque sia ripete le stesse cose. Che il clima sta cambiando e che questo cambiamento è l’effetto della massiccia immissione nell’atmosfera dei residui dei combustibili fossili, che occorre prepararsi all’aumento della temperatura media causata dal conseguente effetto serra, che bisogna ripensare alla gestione del territorio eccetera. Domani non se ne ricorderà più nessuno, anche questa è una caratteristica del nostro paese, ricordare solo ciò che fa piacere e dimenticare il resto, per poi piangere lacrime sincere quando arriva la prevedibile bastonata.

Finito il rosario delle immagini delle devastazioni, si passa alle auto blu, ai saloni affrescati, alle marionette tutte vestite uguali che li popolano. I sottotitoli adesso parlano dell’alluvione, danno i numeri e aggiornano la situazione come se fosse un bollettino di guerra. Le marionette parlano un linguaggio incomprensibile e i cronisti le assecondano ossequiosi (il paese è anche questo, bellezza!), nei titolo in basso scorre il paese.
Un paese sommerso dal fango.

Mariano

ARANCIONE

I colori sono simboli, basta non prenderli troppo alla leggera
Arancione

Quando nel 1993 - discutendo con Ivano, che si stava attivando per la grafica della campagna elettorale per le amministrative di Grugliasco - scegliemmo il colore arancione come motivo centrale di tutti gli strumenti di propaganda, ci erano chiarissime le ragioni. Tangentopoli aveva spazzato via i partiti (e i colori) che avevano segnato la vita di tutti noi, le organizzazioni politiche che conoscevamo stavano sparendo o si stavano trasformando, spesso per non cambiare sul serio, come la storia successiva ci ha insegnato e ci sta ribadendo.
Io ero e sono un ecologista convinto, dunque verde, ma capeggiavo una coalizione con una lista civica e la Rete, quella di Leoluca Orlando e avrei fatto loro un torto se avessi sposato il colore di una delle liste che mi appoggiavano. Ci voleva un colore nuovo, “altro” ,che indicasse novità, serietà, allegria, cambiamento, leggerezza e forza immensa: ecco la scelta dell’arancione.

GLI SMEMORATI DI COLLEGNO

… e i folgorati sulla via di Grugliasco e Rivoli
Il presidente  diventa ecologista!

In questa estate piovosa e piena di indizi di fine regime anche Antonio Saitta – coraggioso presidente della Provincia di Torino, a quanto si legge anche sciupafemmine – si sveglia e dice la sua, forte di un voto che bloccherebbe le concessioni per nuovi centri commerciali per un anno. L’iniziativa è meritoria, ma fuori tempo massimo: la provincia di Torino pullula già di grandi ipermercati, alcuni deserti, e di cantieri che ne realizzano altri già autorizzati.
Improvvisamente il Presidente scopre che le assunzioni promesse dai faccendieri che chiedono ai comuni varianti urbanistiche in cambio di occupazione sono tutte balle: noi lo sosteniamo – dati alla mano – da almeno vent’anni. La grande distribuzione genera posti di lavoro in misura minore di quelli che brucia con la distruzione del commercio al dettaglio.

Sempre il Presidente scopre che il territorio è un bene prezioso, che va preservato e valorizzato, lasciandolo intatto per le generazioni che verranno. Scopre anche che, se proprio bisogna costruire grandi insediamenti commerciali, è meglio farlo su aree già compromesse. Gli suggeriamo anche di prendere in considerazione l’idea che la riqualificazione del patrimonio edilizio da più lavoro – qualificato e continuativo - che non la grande opera, che il risparmio energetico potrebbe rilanciare l’economia e l’occupazione ben di più che le  tangenziali. Ma, se lo facessimo, ci prenderemmo la qualifica di estremisti, nemici del progresso e della civiltà, paladini di un ritorno indietro. I primi a puntare il dito sarebbero proprio i suoi compagni di partito, tanto abili nel gestire operazioni di grande consumo del suolo e di drenaggio delle risorse del territorio a favore della finanza.

L’IKEA di Collegno è un bell’esempio: me ne sono occupato, facendo incazzare tutti compresa la piccola sindaca collegnese. Se ne è occupato il mio amico Lava, sbertucciato anche lui quando ha chiesto quali e quanti posti di lavoro fossero stati generati dall’iniziativa, adesso si scopre da Saitta che le nostre peggiori previsioni erano tutte vere. Ora un'altra IKEA ben più piccola fa sussultare di ecologismo il coraggioso presidente: anche di questa me ne sono occupato e sempre facendo incazzare tutti, a cominciare dalla Bresso.

E’ proprio vero che d’estate i giornalisti hanno poco da scrivere, sennò qualcuno di loro chiederebbe a Saitta che cosa pensa di Mediapolis o, ancora, che posizione assumerà quando chiederanno varianti i Comuni di Grugliasco e Collegno, il primo per disfare ciò che resta della Pininfarina trasformando l’area in case e gli operai in un ricordo, il secondo per ampliareil P.I.P. sulla Statale 24.

A proposito, ma se la sigla P.I.P. vuol dire Piano di Insediamenti Produttivi, che ci fanno tutti quei supermercati? Per saperlo bisognerà chiedere a Collegno 2000, una società privata che veicola il nome di Collegno nel mondo, a cominciare da Palermo. Ma questa è un’altra storia.

Mariano

A FONDO


Quando la realtà supera l’immaginazione

I rifiuti di Napoli e l’ecologia della politica

Mentre alcuni quartieri della città sono nuovamente invasi dalla spazzatura, con l’aggravante del clima estivo che non aiuta certo a sopportarne i miasmi, si apre l’ennesimo scandalo politico-malavitoso locale che stavolta cambia in parte protagonisti.
Nell’hinterland napoletano c’è un comune, Quarto, nel quale diciassette consiglieri su trenta si sono dimessi. Il comune è stato commissariato e sono state indette nuove elezioni, che si terranno fra dieci giorni. Tutto nella norma, se non fosse che le forze dell’ordine si sono messe al lavoro.

Ecco come racconta l’accaduto Il Fatto di oggi:
Ieri sono finiti in manette un candidato della lista ‘Noi Sud’, Salvatore Camerlingo, cugino di un camorrista di spicco, e un candidato dei berlusconiani, Armando Chiaro, coordinatore cittadino del Pdl. Secondo le carte dell’inchiesta, Chiaro intratteneva rapporti stretti col capoclan Giuseppe Polverino e volava in Spagna per chiedergli il permesso di fare affari su una discarica. Il Pdl ha reagito nominato un ‘Garante per la Legalità’ a Quarto, il senatore Carlo Sarro, componente della commissione Antimafia. Nei giorni scorsi ha fatto discutere l’annunciata presenza del commissario campano dei Verdi,Francesco Emilio Borrelli, a un’iniziativa elettorale in sostegno del candidato sindaco di centrodestra di Quarto Massimo Carandente Giarrusso, insieme al senatore del Pdl Vincenzo Nespoli, per il quale pende un’ordinanza di arresto per bancarotta fraudolenta respinta dal Parlamento. Borrelli, Nespoli e Giarrusso comparivano sullo stesso manifesto, corredato dai simboli dei partiti dell’anomala alleanza.”

Se si potesse essere certi dell’altrui moralità, sarebbe tutto più facile, ma un’alleanza PdL- Verdi in zone dove non sono da scoprire i rapporti organici fra il centrodestra e la camorra, perché si sa già quasi tutto…. Forse un po’ di attenzione, di cautela non guasterebbero.

Non sarà che la fregola a cercare sempre e comunque qualche posto, presentando liste improvvisate e sposando qualunque opzione, finisce per essere un danno per il paese e boomerang per le idee e le proposte degli ecologisti?

Mariano

CHERNOBYL 2: SI REPLICA

Il governo giapponese conferma ciò che si sapeva già
Fukushima, livello 7

A un mese di distanza dal terremoto, poi tsunami, poi fuga radioattiva, il governo giapponese conferma che Fukushima è come Chernobyl, il più grande disastro nucleare finora mai visto. Tra l’altro, il disastro è ancora in corso ed è passibile di ulteriore aggravamenti, visto che non solo l’impianto non è in sicurezza, ma che si stanno aprendo ulteriori falle nei reattori già provati da scosse e scoppi.

Siccome si è già raggiunto il massimo conosciuto, gli scienziati fanno anche fatica a immaginare cosa potrebbe succedere qualora il Giappone non riuscisse a contenere il disastro, fermando lo sversamento in mare dell’acqua radioattiva e procedendo alla messa in sicurezza dell’impianto. L’acqua radioattiva è oramai sparsa in tutto il Pacifico e le coste della California cominciano a svuotarsi dei muscolosi giovanotti e delle Pamela Anderson di cui vediamo nei telefilm: hanno paura e fanno bene.

Se anche domani si mettesse fine alla fughe di radioattività – e non ve ne sono le avvisaglie – comunque ci sarebbe da valutare il danno all’ambiente finora arrecato e i livelli di radioattività a cui le popolazioni interessate sono sottoposte (ma quali sono, ad esempio, quelle interessate dalle correnti marine che portano lontano l’acqua contaminata?). I prodotti, le merci, le derrate che provengono dall’estremo Oriente saranno oggetto di controlli maggiori, ma certamente calerà la loro commerciabilità per effetto dell’allarme che oramai si è diffuso ovunque: commercio globale, rischio globalmente ripartito.

Poi ci sono le altre centrali, alcune delle quali stanno mostrando livelli di pericolosità ben superiori a quello che il reticente governo giapponese ammette. Insomma il disastro sta assumendo proporzioni catastrofiche, ben oltre le più nere previsioni formulabili. Tutto questo in presenza di una comunicazione difficilissima e resa ancora più complicata dalla reticenza e dall’omertà che il Giappone ha fin qui dimostrato. Chi si fida ancora delle dichiarazioni del governo?

Mi sembra questo il punto della situazione a oggi: Giappone ammutolito, gente, tanta gente, esposta a radiazioni le cui conseguenze si vedranno nel futuro, incertezza sull’epilogo del più grande dramma nucleare del nostro pianeta.

Poi, accendi la tele e vedi i soliti volti a spiegare che bisogna curare di più la sicurezza, ma che il nucleare non va abbandonato.

Mariano

DOPO FUKUSHIMA

Su “Le Monde” di oggi una intervista importante a Laurent Elio, economista dell’OFCE e autore del libro “Social-ecologie” (ed. Flammarion). Ecco come si sta sviluppando la riflessione politica nel paese europeo con la maggiore produzione nucleare. Il senso dei partiti ecologisti.
Nelle nostre democrazie l’ecologia è la più grande delle necessità.
La catastrofe di Fukushima è una “manna politica” per un partito come Europe Ecologie?
La catastrofe di Fukushima cambia probabilmente la dimensione dell’ecologia politica in Francia e non solo, ma trovo che il termine “manna” non sia quello più adatto. Si tratta piuttosto di una presa di coscienza ciò a cui ci invita questa catastrofe. Una presa di coscienza quadrupla. Innanzitutto il fatto che le questioni di ecologia sono questioni di democrazia. Senza inquadramento democratico, la tecnologia è un fantasma pericolosamente senza controllo.
Poi sul fatto che le questioni ecologiche sono problemi di lungo termine. Non si tratta di un mezzo punto di crescita (del PIL) in più o in meno, ma della nostra capacità di vivere, o sopravvivere, quando gli ecosistemi sono degradati. In terzo luogo, il tema che si pone è quello della resistenza della democrazia elle situazioni di crisi. Infine, l’avvenire dell’energia nucleare. Manna? Veramente non credo proprio; tuttavia non possiamo occuparci d’altro.

Come si fa a parlare di fine del nucleare sapendo che le energie rinnovabili come il fotovoltaico è ‘eolico non possono soddisfare la domanda di elettricità, almeno nel medio termine, a che questa decisione contrasta con la scelta ecologica più importante degli ultimi cinquant’anni, il Protocollo di Kyoto?
Nella domanda ce ne sono due. La prima riguarda l’importanza dell’energia nucleare nell’approvvigionamento energetico dei paesi del mondo, e sotto questo punto di vista bisogna sapere che l’eccezionalità nucleare francese nasconde la realtà seguente: nella produzione di energia nel mondo, l’energia nucleare conta meno di quella da fonti rinnovabili. Seconda parte delle domanda: il cambiamento climatico.
Anche in questo caso l’energia nucleare conta relativamente poco. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, rappresenterebbe il 6% della soluzione al problema dell’emissione di gas a effetto serra. La maggior parte delle soluzioni al problema dell’effetto serra è nel risparmio energetico, nell’efficienza energetica, nelle energie rinnovabili.


A parte “bisogna fermare il nucleare”, quali risposte possono dare gli ecologisti?
Precisamente, se si considerano gli scenari proposti dall’associazione Négawatt, si può disegnare uno scenario energetico al 2050 che permette di eliminare il carbonio dall’economia senza per questo nuclearizzare l’energia. Ci sono scenari energetici simili che attribuiscono un ruolo maggiore agli risparmi energetici e alle rinnovabili. Per esempio quelli elaborati dall’università di Stanford.
Gli ecologisti, e tutti quelli che si oppongono al nucleare, hanno a disposizione delle argomentazioni estremamente convincenti da far valere in materia energetica, tecnologica ed economica. Entriamo nel dettaglio di queste tre misure. Risparmio energetico, vuol dire sviluppare nuove tecnologie in campo energetico e ambientale, come ad esempio le reti intelligenti, capaci di evitare gli sprechi regolando i consumi.
Efficienza energetica vuol dire, ad esempio, investimenti nelle tecnologie dei trasporti, ma nell’isolamento termico degli edifici che è la fonte più importante di lavoro verde. Infine le energie rinnovabili sulle quali, specialmente in Francia, resta da fare tutto, o come nel caso del fotovoltaico, a non disfare.


La catastrofe giapponese rinforza l’ecologia politica per il tempo dell’allarme. Come per ogni incidente o catastrofe, tutto il mondo si emoziona, si assumono delle misure spettacolari e non sempre adatte, poi il ricordo di affievolisce, si ricomincia a costruire in zone esondabili, scommettendo sul fatto che l’incidente non arriverà mai…
Sarebbe spiacevole. Credo che si possa parlare di una generazione Fukushima, composta di persone che hanno improvvisamente preso coscienza di quello che la tecnologia senza democrazia rappresenta come rischio maggiore per l’umanità. Lo spettacolo quotidiano dell’impotenza della tecnologia unita alla carenza democratica del Giappone non potrà essere dimenticato così in fretta, perché noi sappiamo che si presenteranno delle catastrofi che chiamo “social-ecologiche” nella misura in cui il loro impatto dipenderà dalle condizioni sociali e politiche, dal livello delle diseguaglianze e della qualità delle democrazia.
Sono rimasto sbalordito nel sentire il vecchio direttore della prefettura di Fukushima attribuire questa catastrofe nucleare a “una imprevidenza umana” e à “un degrado del processo di decisione politica”. Fukushima ci dice una cosa molto chiara: preparatevi.


Che impatto può avere Fukushima sulla nostra coscienza ecologica?
La domanda richiama la mia prima risposta: Fukushima c ricorda che i problemi ecologici non sono dei vincoli che pesano sulla nostra competitività economica, come si è sentito dire ormai troppo sovente negli ultimi quattro o cinque anni. I temi dell’ecologia determinano il nostro benessere, determinano anche la possibilità di ospitalità per l’uomo su questo pianeta.
Fukushima ci ha brutalmente risvegliati dall’idea che l’ecologia è un lusso che noi non possiamo permetterci in temi di crisi sociale, per ricordarci che (quella ecologica) può essere la più grande necessità nelle nostre democrazie.


In cosa l’ecologia è credibile, dal punto vista economico? Ci sono esempi di crescita verde riusciti? Mi sembra che manchi ancora il ritorno.
Sono d’accordo sulla mancanza di ritorno. Ci sono degli studi, i cui risultati sono beninteso discutibili, e lo stesso concetto di crescita verde è a geometria variabile. In un capitolo del mio libro, cerco di definirla secondo tre dimensioni: lo sviluppo delle eco-imprese, l’economia circolare, vale a dire quella che riduce i rifiuti e il consumo di energie, l’economia di funzionalità, vale a dire quella che trasforma i beni in servizi per diminuirne il consumo. Infine, terza dimensione, la creazione di nuovi indicatori di sviluppo umano che permetteranno un nuovo governo delle politiche pubbliche.
Io parlo più volentieri di “economia verde”, mettendo insieme queste tre dimensioni, che di “crescita verde”. Pe rispondere più direttamente alla domanda, c’è un dibattito in corso sulle previsioni di creazione di posti di lavori verdi, ma non vi è dubbio che si può fare a condizione di disporre di strumenti economici efficaci come quelli dei “sovraprezzi” – per esempio la carbon tax-; questa trasformazione ecologica delle nostre strutture economiche sarà, come tutte le precedenti, creatrice di lavoro, e ancora di iù se si accompagna a una rivoluzione tecnologica.


I partiti verdi sono veramente credibili? I loro programmi mi sembrano sempre troppo leggeri.
Uno dei problemi maggiori, in Francia come in Germania, e più generalmente in Europa, dove i partiti verdi sono più sviluppati, è quello che chiamo la politicizzazione dei temi ecologici, vale a dire la tendenza a collegarli alle tematiche sociali, a cominciare dal tema della diseguaglianza.
Non bisogna che l’ecologia si incateni un una posizione moralista che scoraggerà i cittadini, e lo stesso, che li colpevolizzi, finirebbe per irritarli. Bisogna connettere l’ecologia alla questione sociale. E’ quello che chiamo la social-ecologia. Faccio due semplici esempi i Francia: la precarietà energetica, che tocca all’incirca il 13% delle famiglie, che sono dunque vittime delle cattive condizioni delle loro abitazioni, che aggravano così la loro dipendenza dai consumi di energia.
Questo tema deve diventare centrale nel dibattito pubblico francese. Altro esempio: le disuguaglianze ambientali, vale a dire l’accesso disuguale ai piaceri dell’ambiente e l’esposizione diseguale ai rischi di inquinamento.
Bisogna assolutamente sviluppare questi temi. In Francia, il 60% delle persone espose a rischi industriali abitano in zone urbane sensibili. C’è dunque un “loop socio-ambientale”. Le cattive condizioni ambientali infettano le condizioni sociali e bisogna porre rimedio. Non si può più concepire uno stato previdente che non tenga conto degli effetti delle condizioni ambientali sul benessere della popolazione. Bisogna dunque passare da una social-democrazia, un po’ sorpassata, alla social-ecologia.


Lei pensa che l’azione dell’Unione Europea in questo campo reciti un ruolo cruciale? Non è che questa catastrofe mostra piuttosto i dissensi che esistono fra i 27 circa l’atomo e le politiche energetiche?
Buona domanda. L’UE ha evidentemente un ruolo centrale da giocare in materia di politiche ambientali. E’ uno dei suoi ambiti di competenza più importanti che si è sviluppate nel corso degli ultimi vent’anni. A tale unto che l’UE è oggi il leader ecologico mondiale. Lo si vede sulle questioni climatiche. D’altro canto, le divergenze di reazione, per esempio fra la Francia e la Germania, mostrano quanto siamo ancora lontani da una politica energetica europea, che non è mai stata così necessaria e che pertanto non è mai sembrata così irraggiungibile.
Si tratta di integrare al meglio le differenti fonti energetiche a livello europeo per arrivare a costruire una vera rete europea di energie rinnovabili. Questo permetterebbe di mitigare i problemi di intermittenza di queste fonti di energia.
Da questo punto di vista c’è una cesura incomprensibile tra una politica climatica europea sempre più unificata e una politica energetica sempre più frammentata. Il teme centrale dell’UE dei prossimi trent’anni dovrebbe proprio essere questo.


Ho l’impressione che, prima che una decisione circa la restrizione o la fine del nucleare sia presa, bisognerà che si verifichi il peggio, qui in Francia. Pensa che sia possibile uno sblocco della situazione prima che avvenga una catastrofe nazionale?
E’ il problema del post-Fukushima, che capita un anno prima della scadenza delle presidenziali francesi, e che da questo punto di vista è un’opportunità da cogliere. Bisogna aprire un dibattito sulla strategia energetica francese da qui al 2050, che significa che non dobbiamo aspettare dieci anni per prendere la decisione. Le decisioni debbono essere prese l’anno prossimo per i quarant’anni che seguiranno. Devono essere prese alla luce di ciò che è accaduto, vale a dire la possibilità di realizzazione dello scenario peggiore, quello della catastrofe.
Questa possibilità è reale, e noi dobbiamo comparare il costo dell’energia e il costo della catastrofe nucleare. Che valore ha il fatto di pagare il 20% in meno l’elettricità per vent’anni se, per conseguenza, non si potrà più abitare per secoli un territorio contaminato?
Lo ripeto: Fukushima ci proietta nel lungo termine, che è il quadro adeguato per trattare le questioni ecologiche.


Mentre la “battaglia Fukushima” infuriava, in Francia noi abbiamo visto più del 60% di astenuti. Come credere alla speranza di un rigurgito di vitalità democratica nelle nostre società in queste condizioni?
L’astensionismo, oppure del voto agli estremisti, pone il problema dell’usura degli orizzonti politici in Francia e in Europa. Questa indifferenza non può trovare rimedi se non nella reinvenzione di un progetto collettivo. Che è ciò che gli ecologisti intendono portare. A questo proposito noi abbiamo in Francia fra due forme possibili di terza forza politica: una forza politica che guarda all’avvenire e alla reinvenzione della socialdemocrazia,e una forza politica ossessionata dal passato e dal rimasticamento della pagine buie della storia francese.
Ma questo nuovo orizzonte politico non sarà solido se non si insinuerà nelle realtà sociali. Se no si ridurrà a un partito della catastrofe, ansiogeno e insopportabile per i cittadini.


Fukushima non rischia di orientare la politica ecologista unicamente sui problemi nucleari, scartando tutte le altre problematiche ambientali?
Dono d’accordo. Fukushima deve essere l’occasione per ricondurre il problema energetico alla sua globalità e non soltanto in rifermento al nucleare e inoltre deve essere l’occasione per riportare al centro del dibattito tutte le questioni ecologiche: clima, biodiversità, acqua, degrado degli ecosistemi,, vale a dire tutti i problemi a ungo termine creati dal nostro modello di sviluppo. Così come il cambiamento climatico ha la tendenza ad occupare tutto lo spazio politico, occorre ce il nucleare non riassuma in sè tutti i problemi ecologico di oggi e di domani.


Cecile Duflot la sera delle elezioni cantonali ha dichiarato che l’ecologia non è nè di destra nè di sinistra. Nicolas Hulot è chiaramente un liberale. L’ecologia politica può cambiare le regole? Come si può aumentare il tasso di ecologia senza rimettere in causa l’economia neoliberale? Ci si può fidare dei dirigenti politici dell’ecologismo se  i loro discorsi non sono chiari su questo piano?
Nella domanda ci sono numerosi aspetti, due i principali: l’ecologia deve essere politicizzata, ne sono convinto, ma non deve rispettare gli schemi attuali. L’idea che l’ecologia non sia nè di destra nè di sinistra  è una trappola. L’ecologia è di destra e di sinistra. Ha a cuore la vita di tutti i cittadini.
Circa il tema dei rapporti fra ecologia ed economia, e del posto da riservare al neoliberalismo, la tesi che sviluppo nella mia opera e che lo sviluppo delle diseguaglianze, nello stesso tempo all’interno di un paese e fra i paesi, intervenuto negli ultimi due tre decenni è insostenibile. Le disuguaglianze debbono essere ridotte e questo suppone l’uscita da una teoria economica che crede di poter risolvere a circuito chiuso tutte le questioni delle società umane applicando lo stesso modello neoclassico.
E’ l’economia aperta alle altre discipline che permetterà, con le altre scienze sociali, di rispondere alla sfide che ci arrivano dalle scienze applicate. La democrazia deve riprendere il comando.

(tradotto da Mariano, che si scusa per le eventuali imprecisioni e cavolate)

GERMANIA: PERO’, I VERDI!

Qualcosa di buono accade in Europa.

Il successo dei Verdi nelle due elezioni regionali di ieri è qualcosa di più dell’avanzata di un partito ai danni degli altri, fenomeno abbastanza consueto nelle democrazie mature.
In entrambi i Land raddoppiano i voti e nel Baden-Wutteberg scavalcano anche i socialdemocratici: è il riconoscimento di idee, politiche e personale politico oramai adatto a governare le dinamiche complesse delle complicate società occidentali.

Fior di commentatori si scervellano per scrivere qualcosa di interessante sul tramonto della Merkel, sul suo ondeggiare fra posizioni opposte che ha suscitato la voglia di rivalsa da parte degli elettori, sul nucleare tornato prepotentemente all’attenzione mondiale. Certamente nell’affermazione straordinaria dei Verdi ci saranno anche questi fattori, ma andrebbe ricordato che in Germania e nel resto d’Europa i Verdi hanno cominciato a vincere anche prima di Fukushima.

Oramai guardano ai Verdi e agli ecologisti anche settori moderati delle società opulente, parte del mondo civico e soprattutto gli autonomisti, cioè quelli che pensano che la globalizzazione debba essere contemperata con una decisa valorizzazione del “particolare”, del locale, del radicato. Guardano ai Verdi gruppi e associazioni che hanno al centro della loro esistenza l’idea del limite allo sviluppo, della ricerca dell’armonia al posto del conflitto continuo, dell’economia che produce lavoro pulito e non sfruttamento bieco. Soprattutto guardano ai Verdi persone che reclamano un ceto politico migliore, colto, disinteressato per quanto possibile, attento al rispetto delle regole, disposto a mettersi in gioco per un’idea compatibile di futuro.

E noi, in Italia? Bisognerebbe provarci, ma è davvero dura, presi come siamo fra ignoranza, integralismo e massimalismo comico.

Mariano

REFERENDUM SULLA CACCIA: A VOLTE RITORNANO

Fanno finta di nulla, ma il referendum s'ha da fare!

Nei giorni scorsi ho scritto una lettera ai consiglieri regionali e ai presidenti di Giunta (Cota) e Consiglio (Cattaneo) della Regione Piemonte per segnalare loro che in Piemonte si deve tenere finalmente questo benedetto referendum sulla caccia.
Dell'iniziativa e di questa incredibile vicenda da conto un articolo su "Lo Spiffero" (leggi) e i numerosi interventi in merito. Voglio solo ricordare che le firme sono state raccolte 25 anni fa e che la Regione e le associazioni venatorie hanno attuato una tecnica dilatoria attraverso cause infinite per evitare che i cittadini piemontesi potessero pronunciarsi su una drastica riduzione delle specie cacciabili e dei tempi utili a sparare.
Venticinque anni fa, le associazioni ambientaliste raccolsero oltre 60 mila firme per richiedere il referendum. Loro, i cittadini firmatari e anche gli animali, aspettano che finalmente il referendum si faccia. Accorpato agli altri, così non c'è l'alibi dei costi.
Perché stanno tutti facendo finta che il problema non ci sia? Aspetto la vendetta della tipica fauna alpina!
Nei prossimi giorni pubblicherò i documenti e i materiali.

GIAPPONE: SEMPRE PEGGIO

Catastrofe nucleare in seconda pagina, il rischio dell'oblio

Un po' come è successo al pozzo petrolifero della BP e al disastro ecologico che ha prodotto, le vicende della centrale di Fukushima rischiano di entrare nella cronaca "usuale", quella che finisce sulle pagine interne dei giornali e di cui ci si occupa quando non succede niente di più eclatante. Solo che la tragedia giapponese è tragedia mondiale, solo che i pericoli sono ancora tutti lì e i nuclearisti di ieri pensano di cavarsela cospargendosi il capo di cenere e dicendosi che "c'è bisogno di una pausa di riflessione", come se i rischi del nucleare non fossero tutti già conosciuti prima che il Giappone ce li rappresentasse in tutta la loro drammaticità.
Penso che nei prossimi giorni sarà la Libia a tenere banco, insieme con l'Italietta di sempre: berlusconi fischiato, i processi rinviati, i suoi avvocati, l'inconsistenza dell' opposizione, la paura che tutto crolli, le elezioni amministrative, il dato politico dei referendum e così via.

LE MONDE: EDITORIALE DI OGGI

Riflettere sul nucleare, senza tabù né settarismi 

Ecco come la pensano i nuclearisti d'oltralpe.
Non ci sono più dubbi: Fukushima è davvero un disastro nucleare il cui nome appare ora sulla scala di gravità - e nella storia industriale - vicino a quello di Chernobyl.
Probabilmente è prematuro per seppellire l'atomo civile, soprattutto in un paese così "nuclearizzato" come la Francia, ma il settore sta di nuovo per entrare in una crisi acuta nella quale il suo rigore e la sua trasparenza saranno sottoposti a dura prova.
Giustamente messo in discussione, iI piccolo mondo del nucleare civile è infatti afflitto due mali: una forma di arroganza e di poca trasparenza nei confronti dell'opinione pubblica.

TERREMOTO, TSUNAMI E NUCLEARE

La nave dei folli e i limiti dell'umanità

Il terremoto in Giappone e lo tsunami in diretta televisiva hanno portato nelle nostre case il dramma quasi senza filtri, mostrandoci la fragilità dell'umanità. Perfino di quella parte dell'umanità che, essendo abituata alla catastrofi, ha fatto della cultura della sicurezza il suo credo e il tema portante della vita collettiva a dei singoli individui.
Il fatto è che ci sono dei limiti -  queste spaventose catastrofi ce lo ricordano - solo che in troppi fanno finta di non saperlo: non si può costruire dove non si dovrebbe, può sempre capitare la scossa più forte delle altre, anche quando va tutto bene da un moneto all'altro potrebbe andare tutto male, anche gli impianti più sicuri lo sono solo in condizioni ordinarie. L'uomo non è dio e, se si illude di esserlo, rende solo più dolorosa la sua caduta, atroce il confronto fra la pretesa di infallibilità e la fallacia delle sue azioni.
Non c'è bisogno di essere credenti per sentire come pericolosa l'attitudine a darsi obiettivi sempre più proiettati nel futuro, senza che si sappia come si potrebbe fare a tornare indietro, se si rivelassero fallimentari.

Non possiamo immaginare che lo sviluppo proceda ininterrotto e senza danni, come se fosse una religione contenente già tutte le risposte alle domande fondamentali dell'uomo. Anche se non interviene la natura a darceli, è un fatto di civiltà porsi dei limiti e farlo prima che sia la contingenza o una catastrofe a farlo.

Questo è il nucleare: al di là di tutte le discussioni, non va bene consegnare al nostro futuro macchine infernali che nessuno sa come spegnere e rendere innocue.

Bisogna darsi dei limiti, perché ci sono nella natura e nelle nostre possibilità. Bisogna darsi dei limiti anche per stimolare le nostre capacità di risolvere problemi complessi con l'aiuto dell'ingegno e la modestia di chi sa che un terremoto può spazzare via tutto in un momento, perfino oscurare quella faccia da schiaffi di Chicco Testa e di tutti quelli che - convertiti al nucleare dopo anni di professionismo sul versante opposto - se ne vanno in televisione a spiegarci perché hanno ragione loro, con dalemiana prosopopea e nessuna vergogna.

Mariano