Un esempio pratico di come l’eccesso di divieti finisca per incoraggiare la sistematica violazione delle regole
Intervallo con segugio
Era il lontano 2003 e finalmente venne introdotto il divieto di fumo in tutti i locali pubblici. Nei locali scolastici il fumo era già stato messo al bando dal 95, ma dalla Legge Sirchia in poi le norme sono divenute ancora più stringenti. Le istituzioni pubbliche fino ad allora “negligenti” vennero invitate perentoriamente a mettersi a posto, anche affiggendo cartelli con ben evidenti le sanzioni per i fumatori colti in flagrante e i nominativi dei responsabili interni che avrebbero dovuto farla rispettare. Per ammorbidire il divieto la legge candeggiava l’istituzione di appositi locali areati dove i fumatori potessero coltivare il vizio senza ammorbare gli altri (poi eliminati). In tutti i casi, al massimo i viziosi potevano accomodarsi fuori e consumare la sigaretta all’aria aperta, rispettando il divieto e i non-fumatori.
“Non sono un bello spettacolo quei capannelli fumanti che si formano in cortile durante l’intervallo – deve aver pensato l’anno scorso la ministra Lorenzin – bisogna eliminarli proibendo il fumo a scuola anche negli spazi esterni. Così anche la tentazione della prima sigaretta per i più piccoli viene eliminata: non fuma più nessuno”. Ecco pronta la Circolare attuativa che lo stabilisce, senza alcuna indicazione di come fare concretamente per evitare che il divieto venga impunemente violato.
Chi sorveglia i cortili e i giardini scolastici (sovente delle vere e proprie selve oscure, visto che l’erba si taglia una o due volte l’anno quando va bene)? Naturalmente gli insegnanti. Così li vedi attendere l’intervallo come una punizione sopraffina: passeranno 10/15 minuti a rincorrere capannelli di furbacchioni che si allontanano al loro arrivo, solo dopo aver nascosto le sigarette e aver gettato furtivamente a terra i mozziconi. Quando il docente sarà abbastanza vicino da interrogarli su chi sia il proprietario della mezza sigaretta fumante a terra, si prenderanno gioco di lui/lei dandosi reciprocamente la colpa. E così fino al suono della campana che pone fine al ridicolo e al dileggio.
Qualche scuola, nel tentativo di controllare meglio i movimenti polmonari delle creature affidate, ha ristretto l’uso degli gli spazi all’aperto (basta! nel prato non ci vanno più, ci sono gli alberi e si nascondono lì dietro, i lazzaroni!); in altri istituti i docenti sorveglianti si aggirano per il cortile brandendo telefonini che fanno le foto. Così potranno con calma individuare i colpevoli da spedire in Presidenza per la reprimenda del caso. In altri ancora – provvisti di cancelli con sbarre robuste che guardano verso l’esterno – i fumatori tengono la mano con la sigaretta fuori dal recinto (facendola passare attraverso le sbarre); ogni tanto accostano il viso (e la bocca) al pertugio per aspirare il “fumo legittimo” con al voluttà di chi riesce a trovare la soluzione in ogni frangente. Naturalmente all’italiana.
In tutti i casi, gli intervalli – occasione per fare due chiacchiere rilassate con gli studenti, tenendone discretamente d’occhio i movimenti – sono diventati dei circhi animati da vecchi adulti che sbraitano contro ragazzi che, sovente, si prendono (giustamente) gioco di loro. Che sia questa la “cultura della legalità ”?
Dubbi: era poi così terribile permettere alle scuole di dotarsi di un angolo del cortile da riservare ai fumatori, magari sorvegliato da un docente che rompesse le scatole ai viziosi cercando civilmente di persuaderli a smettere? E’ meglio così, un regime di illegalità “normale” dove i più scaltri non vengono mai beccati e tutti gli altri sono trattati da criminali senza esserlo? Che messaggio passa nelle menti dei giovani virgulti che sanno già tutto del fumo e dei divieti relativi, ma molto poco della vita e del rispetto reciproco? Come si realizza al meglio l’obiettivo di ridurre i fumatori e i danni del fumo? Boh!
Mariano
2019
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