Qualcosa di buono accade in Europa.
Il successo dei Verdi nelle due elezioni regionali di ieri è qualcosa di più dell’avanzata di un partito ai danni degli altri, fenomeno abbastanza consueto nelle democrazie mature.
In entrambi i Land raddoppiano i voti e nel Baden-Wutteberg scavalcano anche i socialdemocratici: è il riconoscimento di idee, politiche e personale politico oramai adatto a governare le dinamiche complesse delle complicate società occidentali.
Il successo dei Verdi nelle due elezioni regionali di ieri è qualcosa di più dell’avanzata di un partito ai danni degli altri, fenomeno abbastanza consueto nelle democrazie mature.
In entrambi i Land raddoppiano i voti e nel Baden-Wutteberg scavalcano anche i socialdemocratici: è il riconoscimento di idee, politiche e personale politico oramai adatto a governare le dinamiche complesse delle complicate società occidentali.
Fior di commentatori si scervellano per scrivere qualcosa di interessante sul tramonto della Merkel, sul suo ondeggiare fra posizioni opposte che ha suscitato la voglia di rivalsa da parte degli elettori, sul nucleare tornato prepotentemente all’attenzione mondiale. Certamente nell’affermazione straordinaria dei Verdi ci saranno anche questi fattori, ma andrebbe ricordato che in Germania e nel resto d’Europa i Verdi hanno cominciato a vincere anche prima di Fukushima.
Oramai guardano ai Verdi e agli ecologisti anche settori moderati delle società opulente, parte del mondo civico e soprattutto gli autonomisti, cioè quelli che pensano che la globalizzazione debba essere contemperata con una decisa valorizzazione del “particolare”, del locale, del radicato. Guardano ai Verdi gruppi e associazioni che hanno al centro della loro esistenza l’idea del limite allo sviluppo, della ricerca dell’armonia al posto del conflitto continuo, dell’economia che produce lavoro pulito e non sfruttamento bieco. Soprattutto guardano ai Verdi persone che reclamano un ceto politico migliore, colto, disinteressato per quanto possibile, attento al rispetto delle regole, disposto a mettersi in gioco per un’idea compatibile di futuro.
E noi, in Italia? Bisognerebbe provarci, ma è davvero dura, presi come siamo fra ignoranza, integralismo e massimalismo comico.
Mariano
Oramai guardano ai Verdi e agli ecologisti anche settori moderati delle società opulente, parte del mondo civico e soprattutto gli autonomisti, cioè quelli che pensano che la globalizzazione debba essere contemperata con una decisa valorizzazione del “particolare”, del locale, del radicato. Guardano ai Verdi gruppi e associazioni che hanno al centro della loro esistenza l’idea del limite allo sviluppo, della ricerca dell’armonia al posto del conflitto continuo, dell’economia che produce lavoro pulito e non sfruttamento bieco. Soprattutto guardano ai Verdi persone che reclamano un ceto politico migliore, colto, disinteressato per quanto possibile, attento al rispetto delle regole, disposto a mettersi in gioco per un’idea compatibile di futuro.
E noi, in Italia? Bisognerebbe provarci, ma è davvero dura, presi come siamo fra ignoranza, integralismo e massimalismo comico.
Mariano