I colori sono simboli, basta non prenderli troppo alla leggera
Arancione
Quando nel 1993 - discutendo con Ivano, che si stava attivando per la grafica della campagna elettorale per le amministrative di Grugliasco - scegliemmo il colore arancione come motivo centrale di tutti gli strumenti di propaganda, ci erano chiarissime le ragioni. Tangentopoli aveva spazzato via i partiti (e i colori) che avevano segnato la vita di tutti noi, le organizzazioni politiche che conoscevamo stavano sparendo o si stavano trasformando, spesso per non cambiare sul serio, come la storia successiva ci ha insegnato e ci sta ribadendo.
Io ero e sono un ecologista convinto, dunque verde, ma capeggiavo una coalizione con una lista civica e la Rete, quella di Leoluca Orlando e avrei fatto loro un torto se avessi sposato il colore di una delle liste che mi appoggiavano. Ci voleva un colore nuovo, “altro” ,che indicasse novità , serietà , allegria, cambiamento, leggerezza e forza immensa: ecco la scelta dell’arancione.
Ricordo le facili ironie dei pasdaran dei colori della politica di allora, capaci di impazzire se solo le bandiere rosse non sventolavano con la coreografia sovietica in cui erano cresciuti, poi la continua necessità di spiegare le ragioni della scelta e gli sfottò degli avversari politici. Da allora (sono passati 18 anni, anche se non sembra) l’arancione ha ancora esattamente il significato che gli avevamo attribuito allora.
In Ucraina per reclamare diritti e libertà contro la dittatura dell’ultimo tiranno Lukashenko (quello che La Russa non sapeva chi fosse), in altri altri luoghi e occasioni, fino alla Milano di Pisapia. Essere i primi ad averci pensato non vuol dire niente, se non la constatazione di quanto i germi del cambiamento, della rivolta civile e della passione per la giustizia sociale attraversino questo nostro mondo come un fenomeno carsico, pronti a riemergere quando meno ce la aspettiamo e sotto bandiere che nemmeno si pensava che potessero esistere. Se poi l’arancione è il modo migliore per rappresentare tutto questo non lo so, ma mi piace pensarlo.
Non ditelo a Berlusconi, sarebbe capace di cambiare un’altra volta nome e simbolo del suo partito, pronto a divorare anche la voglia di cambiamento e i suoi simboli in nome di un’Italia da paese dei balocchi.
Se vedete qualcosa di arancione, dunque, fermatevi a guardare di cosa si tratta: potrebbe essere la novità che da la svolta a questa Italia in affanno.
Mariano
Arancione
Quando nel 1993 - discutendo con Ivano, che si stava attivando per la grafica della campagna elettorale per le amministrative di Grugliasco - scegliemmo il colore arancione come motivo centrale di tutti gli strumenti di propaganda, ci erano chiarissime le ragioni. Tangentopoli aveva spazzato via i partiti (e i colori) che avevano segnato la vita di tutti noi, le organizzazioni politiche che conoscevamo stavano sparendo o si stavano trasformando, spesso per non cambiare sul serio, come la storia successiva ci ha insegnato e ci sta ribadendo.
Io ero e sono un ecologista convinto, dunque verde, ma capeggiavo una coalizione con una lista civica e la Rete, quella di Leoluca Orlando e avrei fatto loro un torto se avessi sposato il colore di una delle liste che mi appoggiavano. Ci voleva un colore nuovo, “altro” ,che indicasse novità , serietà , allegria, cambiamento, leggerezza e forza immensa: ecco la scelta dell’arancione.
Ricordo le facili ironie dei pasdaran dei colori della politica di allora, capaci di impazzire se solo le bandiere rosse non sventolavano con la coreografia sovietica in cui erano cresciuti, poi la continua necessità di spiegare le ragioni della scelta e gli sfottò degli avversari politici. Da allora (sono passati 18 anni, anche se non sembra) l’arancione ha ancora esattamente il significato che gli avevamo attribuito allora.
In Ucraina per reclamare diritti e libertà contro la dittatura dell’ultimo tiranno Lukashenko (quello che La Russa non sapeva chi fosse), in altri altri luoghi e occasioni, fino alla Milano di Pisapia. Essere i primi ad averci pensato non vuol dire niente, se non la constatazione di quanto i germi del cambiamento, della rivolta civile e della passione per la giustizia sociale attraversino questo nostro mondo come un fenomeno carsico, pronti a riemergere quando meno ce la aspettiamo e sotto bandiere che nemmeno si pensava che potessero esistere. Se poi l’arancione è il modo migliore per rappresentare tutto questo non lo so, ma mi piace pensarlo.
Non ditelo a Berlusconi, sarebbe capace di cambiare un’altra volta nome e simbolo del suo partito, pronto a divorare anche la voglia di cambiamento e i suoi simboli in nome di un’Italia da paese dei balocchi.
Se vedete qualcosa di arancione, dunque, fermatevi a guardare di cosa si tratta: potrebbe essere la novità che da la svolta a questa Italia in affanno.
Mariano