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BLAGUMA NEN

L’impazzimento generale sembra aver subito una generale accelerazione. Anche Chiamparino…
L’art. 18 per sms
Vediamo di riassumere la storia di oggi: mentre Renzi negli USA limona con Marchionne, rimasto l’unico commercialista svizzero a sostenerlo, il Presidente dalla Regione Piemonte Chiamparino si propone in un’intervista come “pontiere” con la dissidenza PD  intorno alla ventilata abolizione dell’ art. 18. Forse il Chiampa si è un po’ ingelosito da tutta questa intimità ostentata dai due in terra americana. Che diamine! Lui con il Marchionne ci giocava a carte da ben prima che Renzi lasciasse la DC! Dunque si ributta nella mischia, a suo modo.
Sia come sia, il Chiampa ottiene il risultato che attendeva. Da Detroit il nostro Mr. Bean gli manda un sms in cui gli chiede di fare da mediatore nella complicata faccenda innescata da una guerra ideologica ancora una volta destinata a distrarre gli Italiani dai loro problemi veri e dall'evidente inadeguatezza anche della nuovissima classe politica.

TATTOO YOU!

Appena ripresomi dallo stupore per gli orari dei medici degli studenti , che ricevono solo al mattino (leggi), ecco un’altra tegola: anche i tatuatori…
Il valore del sapere
Ore otto, si aprono le porte: una massa di studenti supera la soglia, travolge bidelle e vicepreside per dirigersi, come ogni mattina, verso le accoglienti aule dell’istituto. Gli insegnanti si fanno sottili contro i muri per non essere travolti anche loro e salutano qualche studente di loro conoscenza, alle volte basta anche solo un sorriso o un gesto significativo con le mani.
Sono lì anch’io a fare le stesse cose, ma (variante inattesa del copione solito) un giovanotto si ferma per dirmi qualcosa:
“Professore, ha visto? Stamattina avevo da fare, ma sono venuto lo stesso perché dovevo farmi interrogare. Si ricorda? Ho preparato due capitoli… Poi esco, mi viene a prendere mio padre
Bravo! – gli rispondo – Ti interrogherò alla quarta ora, prima vorrei spiegare un po’. Siamo all’inizio dell’anno e già cominci con le uscite anticipate? Guarda che, così facendo, ti fai del male. Ricordati che sei appena stato promosso per il rotto della cuffia…”

LA BELLA SCUOLA

Anche per i bambini di tre anni questi sono i primi giorni di scuola. Alcuni di loro, accompagnati da genitori trepidanti e un po’ distratti - accolti da maestre forse con poco coraggio - cominciano nel peggiore dei modi la loro avventura nel magico mondo dell’istruzione…

Antefatto
: una scuola materna, costruita negli anni ‘70, perde i pezzi (alcuni dei quali di amianto). Dopo anni di incuria e di menefreghismo gli amministratori comunali se ne accorgono – forse perché qualche costruttore loro amico ha manifestato interesse per l’area – e decidono di affrontare il problema. Come? Chiudendo la scuola e smistando i piccoli allievi in due scuole elementari, una molto vicina, l’altra leggermente più lontana.
Una sparuta minoranza di genitori manifesta qualche preoccupazione e chiede garanzie sui tempi e sulla qualità dei locali nei quali i loro pargoli passeranno 8 ore tutti i santi giorni feriali dell’anno scolastico. Sono preoccupati perché poco lontano sorge (si fa per dire) un edificio che ha subito quattro anni prima sorte analoga: trattasi di una scuola media – chiusa per una ristrutturazione che avrebbe dovuto concludersi in due anni e i cui lavori sono fermi da tempo immemorabile – i cui allievi sono stati deportati in altro edificio per non rivedere più la scuola di partenza nel loro corso di studi.

SESSANTA

Non mi ero ancora abituato a essere adulto e mi ritrovo già vecchio!
Mollezze
Il 12 settembre sono arrivati i sessanta, un compleanno come tutti gli altri, se non fosse che quel numero è davvero uno spartiacque. O, almeno, lo era…
Prima della Fornero a sessant’anni si andava in pensione; anzi, ci andavano gli sfigati perché tutti gli altri lasciavano prima il lavoro con incentivi, bonus e anni di stipendio per stare a casa in attesa dell’agognata pensione. Il paese andava a fondo, ma brillanti cinquantenni sfoggiavano abbronzature fuori stagione (e ancora lo fanno), appena condite con qualche lamento sul mancato adeguamento della pensione negli anni. Li invidiavi, ma sapevi che anche tu, sfigato, a sessant’anni saresti andato in pensione, magari giusto in tempo per badare ai nipotini che nel frattempo sarebbero arrivati.
Poi è arrivato il governo Monti e sotto il loden verde - che tanto piaceva ai giornalisti, ai demos e a Napolitano - ci ha portato la fregatura di una ministra che ha riformato le pensioni senza nemmeno sapere cosa faceva...
Fine dei sessanta come traguardo di una vita, inizio dell’incertezza (quest’anno? il prossimo? no, ancora due, forse tre…). Una certezza nuova: ai nostri figli il compito di pagare le nostre pensioni, con l’assoluta sicurezza di non goderne nemmeno di striscio, se non per beneficienza indiretta.
A sessant’anni devi prepararti alla morte, hai già la dentiera che depositi la sera in un bicchier d’acqua che fa ribrezzo ai tuoi famigliari più giovani. Passi il tempo a lamentarti degli acciacchi dell’età ascoltando la musica dei tuoi anni ruggenti, ma non vai a ballare perché sei stato di estrema sinistra tutta la vita e cedi malvolentieri alle lusinghe delle gite sociali in pullman, quelli delle pentole. Intasi i servizi sanitari presentandoti alla mattina presto a fare i prelievi seguito dalle maledizioni dei più giovani che hanno fretta – devono andare al lavoro, a portare i figli a scuola… – e che si chiedono che cosa hai da fare tutto il giorno per esserti alzato così di buon ora. Dimentichi le cose, tranne che quelle del tuo passato e, a volte, ti vengono botte feroci di quel sano egoismo che avevi (solo in parte) lasciato diventando adulto e che adesso torna a invadere i tuoi pensieri e le tue ansie.
Oggi i giovani non hanno voglia di lavorare”, “Ai miei tempi, pane e polenta e pedalare…. mica tutti ‘sti vizi”, “Non ci sono più le stagioni di una volta, forse il buco nell’ozono è vero” e avanti così a commentare gli esiti del paziente lavoro proprio della tua generazione, quella che è riuscita a fare così bene, specie nella sua fase terminale.
Ti lamenti dell’educazione dei ragazzi, della mancanza di rispetto e del degrado della società: non come quando eri giovane tu. Fai finta di esserti dimenticato le trasgressioni, le follie, le ribellioni e, quando proprio non ci riesci, ti dici che le ragioni del tutto erano così nobili da legittimare ogni azione. Non come i giovani di adesso che hanno la pappa sempre pronta e sono smidollati…
In me c’è qualcosa che non funziona: sono arrivato a sessanta, ne ho lavorati 41 e non mi mandano in pensione. Per tutto questo tempo ho fatto un lavoro che mi ha fatto crescere, migliorare e divertire. Ho dato parecchio e ho ricevuto assai di più, non parlo di soldi. Sul lavoro ricevo tanto anche adesso, ma non ditelo a Poletti sennò davvero mi manda a lavorare fino alla morte.
La mia famiglia mi piace, tanto; certe volte mi fa arrabbiare, ma mai abbastanza da rendermi rancoroso e truce per più di qualche minuto. D’altra parte debbono resistere a un soggetto davvero ingombrante e so che hanno lottato e a volte lottano per non essere sopraffatti da una personalità un po’ strabordante. Non credo di aver mai detto loro dell’amore che provo perché non sono capace di queste smancerie, ma lo sanno. Non sono mica ottusi.
Ho degli amici che amo e che mi amano, sopportandomi e qualche volta facendosi sopportare. Alcuni li conosco e frequento da così tanti anni che mi sembrano fratelli e sorelle. Tanti mi vogliono bene perfino quando sarebbe per loro più semplice fare finta di non conoscermi. Vado in giro a testa alta perché sono certo che nessuno potrebbe imputarmi qualche atto disonesto o poco civile, ricevo ancora oggi apprezzamenti per le cose che ho fatto, per quelle che faccio. Qualche temerario si spinge a incitarmi a farne ancora.
Mi piace ascoltare la musica di adesso, mi vanto di essere quasi un’enciclopedia dei gruppi e dei solisti nuovi, quelli che cominciano adesso la loro carriera in musica (ultimamente ho una massione per J. Wilson i New Pornographers e Bugo). Torturo i miei studenti proponendo loro l’ascolto di tutti questi “strambi”, qualche volta si innamorano anche loro di musicisti di cui non sapevano l’esistenza e mi commuovo. Mi piacciono gli artisti originali, che non copiano e che presentano una visione un po’ esasperata e poco convenzionale, soprattutto quelli che tentano l’azzardo del futuro. Mi piacciono gli artisti seri e l’arte contemporanea che induce riflessione senza strafare per stupire; poi mi piacciono le donne della mia età, che assomiglino a mia moglie.
Mi sento spesso in colpa verso i ragazzi e le ragazze che hanno voglia di fare – e anche i numeri – perché li vedo annaspare e non so come aiutarli meglio. Ogni giorno che passa mi piace sempre meno la politica e quelle figure tristi che popolano i palazzi e le istituzioni: mi viene voglia di irriderli e, quando posso, lo faccio (una risata vi seppellirà). Non ho neanche la dentiera. Ci pensa la mia dentista, l’investimento più costoso dopo la casa.
Insomma, niente di quello che da giovane pensavo che sarebbero stati i miei sessant’anni si è avverato, tranne la gioia di Cloe e Maria: niente pensione, denti a posto, bella famiglia, affetti intensi e solidi, serenità maggiore, libido sommariamente intatta (mai stato un focoso, neanche da giovane), voglia di futuro, curiosità immensa e tanto altro che tralascio. Solo che…
Una cosa però mi ricorda che sono in età: accavallando le gambe, senza aggiustare il tutto prima, avverto un certo dolore che fino a qualche anno fa neanche sapevo si potesse provare… Che sia la vecchiaia? 
Mariano

IL TOP

Proviamo a raccontare una storia incredibile in modo comprensibile a tutti, anche a quelli che continueranno a sostenere di non aver capito...
Scheletri, affari e rampolli

In una ridente cittadina di quasi cinquantamila abitanti del nord industrializzato (una volta, oggi meno), governata da sempre dalla sinistra – quella che sa coniugare affari e discorsi di uguaglianza sociale, servizi non male e sacche di clientelismo da far impallidire la parte mafiosa del sud Italia - al punto da essere chiamata con l’appellativo di “calce e martello”, ai politici locali non basta più il maneggio solito, quello da prima repubblica.
I tempi sono cambiati e bisogna lavorare in grande stile: ampliare la società pubblica della spazzatura per fare posto a nuovi clienti e a nuovi politici da foraggiare con poltrone di sottogoverno, delegare a società in odore di malavita la gestione delle trasformazioni territoriali per oltre mezzo milione di metri quadri; già che ci sono creare una società dal nulla per piazzare il giovane rampollo della politica locale e alcuni professionisti “di area”. Si chiama rinnovamento.
Passano gli anni, giusto quelli che servono al giovanotto – che vive di politica da quando smise di fare lo scout – per procurare un mare di debiti alla società di cui è stato messo a fare il presidente.

GRAZIE

Ringraziare per l’attenzione, la prestazione, la considerazione sembra essere diventato un fardello troppo pesante per i duri e le dure che popolano il pianeta…
La contemplazione dell’ombelico
Entrare in relazione con qualcuno richiede alcuni semplici accorgimenti, uno di questi è ringraziare – anche solo con un cenno sonoro o visivo – chi ti fa, da, offre, suggerisce, elargisce qualcosa. Che si tratti di disponibilità verso di te, di trasferimento di beni e servizi, di semplice manifestazione di attenzione.
In quasi tutti gli angoli del mondo, questo segno si sintetizza in “Grazie”, naturalmente declinato in tutte le lingue del pianeta e formulato, a volte, con varianti che ne arricchiscono o modificano il significato. Per limitarci all’Italiano: “Grazie e mille”, “Grazie, a buon rendere (orribile!)”, “Ti ringrazio”, “Davvero tante grazie!”, “Ti sono grato/a” e così via.
Sembra ovvio e semplice, ma così non è: sempre meno gente ringrazia. Non sai se lo fa perché ritiene giusto così, se consapevolmente vuole privarsi del piacere di dare piacere al benefattore, se è per maleducazione o se nessuno gli ha spiegato che si fa così.
Non mi riferisco solo ai giovani virgulti, che crescono nella più totale ignoranza delle regole del vivere civile, assuefatti a non essere calcolati da genitori perennemente occupati a contemplarsi il tatuaggio e perciò ancora più disattenti; anche gli adulti cominciano a manifestare una preoccupante carenza di attenzione al prossimo.  Dal quale si esigono servizi e attenzioni, senza il dovere della reciprocità: abituati ad avere, si perde la cognizione dell’essere. Assuefatti all’individualismo sfrenato, si compiono solo i gesti che servono allo sviluppo abnorme dell’Io.
Certe volte un grazie è quasi una forma di ipocrisia: lo sa chi ringrazia e lo avverte il ringraziato, ma non è un problema. Dire “Grazie” serve anche solo a segnalare che si ha la coscienza di quanto ricevuto, indipendentemente dalla considerazione per chi ha dato e dalla simpatia/affetto che si prova per lui/lei. E’ un modo per dire che ce ne siamo accorti, non necessariamente che apprezziamo.
Ma neanche mettendola così certi ceffi ringraziano, rivelando una malessere più profondo, quello dell’autismo sociale. La crescita degli individui consiste in una progressiva ricollocazione degli stessi nel mondo: le esperienze e l’età ci insegnano che non siamo noi il centro del mondo, che ci sono anche altri che, come noi, vivono, amano, odiano, desiderano, fanno e disfano. Sempre più adulti paiono non aver mai superato la prima infanzia.
Proprio come quei simpatici soggetti (di tute le età, ma in prevalenza avanti con gli anni) che si muovono per il mondo convinti di avere tanti diritti e pochi doveri, naturalmente a scapito delle nuove generazioni. Mai si sognerebbero di ringraziare per il tanto che hanno: se lo sono guadagnato e che gli altri si aggiustino se non sono stati così abili.
Comunque sia, guai ringraziare! Potrebbe essere un segno di mollezza, di fragilità. Di cui la società cattiva potrebbe subito approfittare impedendovi (se siete maschi) di far scivolare il vostro sguardo, puntato sulla contemplazione dell’ombelico, sempre più in basso a contemplare l’unico organo che oggi parrebbe contare davvero qualcosa.
Mi scuso con quelli che non ho ringraziato, sarà successo anche a me…
Mariano

GLI ESAMI DI RIPARAZIONE

Perché c’è sempre un’ultima chance… e guai a non tentarla!
Al via i preliminari…
Primo settembre, si torna a scuola. Gli insegnanti per le attività di preparazione all’anno scolastico che comincia, qualche allievo delle superiori per gli esami di riparazione. Che cosa ci sia da riparare non si è ancora mai capito del tutto, infatti qualcuno dei ministri del passato ha cambiato il nome all'esame in “recupero del debito formativo”. La teoria vuole che gli studenti, che avevano diffuse insufficienze alla fine dell’anno scolastico e che non sono stati bocciati subito, possano presentarsi a settembre dopo aver fatto in poche settimane d’estate quello che non avevano fatto in 8 mesi di scuola, corsi di recupero compresi.
Qualche che sia il nome degli esami di settembre, si comincia oggi con Lettere, cioè Italiano e Storia. Poi a seguire le altre materie. Alla fine della prima settimana di settembre si conoscerà la sorte degli studenti che a giugno erano stati “sospesi”, intendendo con questa qualifica che il giudizio finale (promosso/bocciato) era stato sospeso in attesa dei formidabili recuperi che i pargoli avrebbero realizzato con il duro lavoro estivo.
I “graziati” di giugno si affacciano timidamente sull’uscio delle aule dove i docenti, che masticano ancora amaro per le boutades estive di Mr Bean (tutte puntualmente diasattese), attendono una loro performance che giustifichi almeno la presenza. E così cercano di spremere dai virgulti  - inchiattiti dal troppo cìbo spazzatura e bruniti da botte di sole preso tutto insieme e abbondantemente innaffiato dalle piogge monsoniche di quest’estate – frammenti di frasi che lascino intendere un qualche interessamento estivo verso la loro materia.
Oggi ho sentito raccontare: la peste del trecento con milioni di cadaveri del tempo pronti a risorgere per squartare lo studente interrogato; la riforma di Lutero che, sentendo il resoconto del giovanotto davanti a me, dalla tomba anelava ritornare dal papa per chiedere scusa per tutto il casino che aveva fatto, accompagnato dalla pulzella d’Orléans che aveva belle visioni  e desiderava tanto uno smarthphone; perfino la pace di Westfalia ha assunto un colore e una prospettiva che mi ha fatto amare il mio studente “riparante”.
Passerà anche lui, qualcosa ha studiato, speriamo solo che si sia preparato un po’ meglio nelle altre materie quelle che deve recuperare nei prossimi giorni.

Ascolti, deplori, scherzi e lo sgridi delicatamente, lui sa che promuovi parecchio e ti fila.
Poi ti chiedi se non sarebbe meglio che l’anno scolastico fosse diviso in due semestri (come negli USA): le materie che non sono sufficienti le ripeti – insieme a quelle nuove – anche nel secondo semestre. Se non basta, rifai l’anno. Avremmo meno ripetenti e più studenti che compiono il corso di studi negli anni regolari; la loro preparazione sarebbe almeno pari a quella attuale, in più ci eviteremmo la farsa degli esami di riparazione..

Questi sono solo i preliminari, poi si verrà al dunque. Ancora 14 giorni, poi turneremo a chiederci il senso del nostro lavoro, dell’istituzione, insieme a cosa possiamo fare per contribuire a creare un paese meno superficiale, ignorante e opportunista. Magari cominciando, noi per primi, con noi stessi...
Mariano