A vederli schierati sul parco e in platea alle OGR tornava in mente il loro contributo al declino, nazionale e locale
C'è una differenza fondamentale fra un imprenditore e un prenditore: il primo investe - soldi energie, intelligenze, rischi - per realizzare un'impresa che produce beni e/o servizi che generano ricchezza. Innanzitutto per lui, poi anche per dipendenti e fornitori, indirettamente (attraverso le tasse) alla collettività . Questa commossa ringrazia, cerca di impiegarli al meglio e, quando occorre, interviene sul credito o con gli ammortizzatori per aiutare l'impresa quando va in difficoltà .
Il prenditore ricerca il massimo profitto con il minimo impegno: strutture e personale sono "risorse" da finanzializzare appena possibile, desertificando territorio e persone: non c'è bisogno di scomodare la delocalizzazione, fatta soprattutto di aziende che chiudono dall'oggi al domani senza vincoli, obblighi, magari affidandosi a un fallimento guidato (dopo aver messo in salvo i capitali) per non pagare i debiti con i dipendenti, l'erario e con l'INPS.
Il prenditore lascia il deserto e un bagno di sangue dietro di sé, compresi i cadaveri dei funzionari delle banche che fino a qualche giorno prima della fine gli finanziavano ogni spesa, pur di incassare le laute provvigioni che oggi stanno pagando a caro prezzo i contribuenti italiani.
Il prenditore si lamenta per il costo del lavoro, per i finanziamenti a fondo perduto che non bastano mai, per le tasse che deve pagare, per i costi di produzione. I soldi, che ricava dalle regalie e dagli sconti che ciclicamente e intensivamente la politica elargisce, li mette in salvo nei serbatoi famigliari. Non li investe certo in tecnologia e innovazione - i presupposti per ridurre il costo del lavoro che gli economisti indicano come vero handicap dell'industria nostrana -, preferisce continuare a mungere la vacca dello Stato. Anche con il deficit alla stelle lo Stato qualche goccia la sputa, basta insistere.
Il prenditore non ha doveri, solo diritti, in questo perfetto rappresentante di una larga parte della popolazione, che conosce a menadito diritti che non esita a far valere anche quando non sarebbe il caso, avendo dimenticato i doveri minimi di cittadinanza e di partecipazione a una comunità . Fra questi anche alcuni dipendenti dei prenditori che, proprio come gli Italiani, continuano a preferire la difesa dei comportamenti dei loro padroni (il classico leccare il culo) alla rivendicazione di maggiore attenzione al suo sviluppo e alla valorizzazione della professionalità di ciascuno.
Il piccolo imprenditore vero non è quasi mai un prenditore, non perché sia meglio degli altri. Non ha sviluppato il volume necessario per contare - neppur nelle associazioni di categoria - e per compartecipare alla caccia ai finanziamenti ragionali, nazionali, europei. Bandi difficili da decodificare, selezione affidata alla banche mediante complessi sistemi di garanzia che tagliano fuori i piccoli anche quando non vi sarebbero ragioni per farlo, eserciti di consulenti da pagare (spesso forniti dalle associazioni di categoria) a fronte di esiti spesso nefasti. I soldi vanno davvero sempre agli stessi: dovrebbero promuovere l'occupazione e lo sviluppo produttivo, ingrassano prenditori e penalizzano imprenditori, proprio come la moneta cattiva scaccia quella buona.
Lunedì scorso erano tutti là a dire a Conte che vogliono soldi, sotto forma di opere (che siano utili o inutili non importa), benefit e sconti. Loro sono quelli del PIL, possono ben dire al governo cosa deve fare! Negli ultimi trent'anni erano questi prenditori a fare le politiche economiche dei governi. Sarebbe tempo che finalmente ci si occupasse dei lavoratori e degli imprenditori, i reali costruttori del PIL: quelli veri sanno che la valorizzazione dei dipendenti, la specializzazione, l'innovazione sono le carte per affermarsi e durare, andrebbero aiutati a farlo.
Il declino di questo paese ha radici articolate e complesse, ma scambiare dei dannosi prenditori per imprenditori utili alla ripresa sarebbe davvero l'errore fatale, quel colpo di grazia alle residue speranza di riscatto.
Mariano
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