A tre settimane dalle elezioni si è consumato un funerale politico che attendevamo da 24 anni. Potrebbe essere solo il primo di una lunga serie.
L'elezione dei presidenti di Camera e Senato hanno spiegato a tutti - anche a quelli più duri di comprendonio - che la musica è cambiata. Non è detto che sia migliore di quella passata, ma è proprio un'altra.
Il punto di partenza, a urne chiuse e risultato consolidato, è stato il rifiuto opposto da Di Maio al colloquio separato chiestogli da Berlusconi. Che il rifiuto fosse concordato con Salvini o meno, il messaggio era chiaro e più o meno diceva così: non ti incontro perché sei incandidabile, pregiudicato, ma soprattutto perché parlo con chi conta e decide per davvero nella tua area, Salvini.
Il quale peraltro non ci ha pensato due volte a confermare l'accordo di tutto il centrodestra sulla proposta di votare alla presidenza del Senato un candidato di Forza Italia, solo che ha preteso di sceglierlo anche lui. Dato che il cavaliere ha l'abitudine (e i mezzi) della compravendita quando le cose gli vanno storte, Salvini ha chiesto e ottenuto dai suoi parlamentari il silenzio assoluto intorno al cambio di candidato, comunicandolo al cavaliere solo a votazioni praticamente concluse. Nel linguaggio delle relazioni vuol dire: guarda che ti avviso perché non voglio rompere con te, ma decido io, che tu lo voglia o no. Se la capisci con le buone bene, sennò vado avanti per la mia strada e la prossima volta non ti chiamo nemmeno più per salvare la forma.
Il messaggio è arrivato forte e chiaro, certamente al cavaliere, ma soprattutto ai parlamentari di Forza Italia che tremano al pensiero di cosa potrebbe succedere se lo scontro fra i due superasse il livello a cui già assistiamo. Il loro capo è vecchio, un po' rincoglionito ed elettoralmente quasi fuorigioco, Salvini è giovane e di successo...
Il PD ha rinunciato a giocare qualunque ruolo e sparisce dai radar: incredibile il crollo dello spazio riservatogli sui mass media. Fino a tre settimane fa era il partito acchiappatutto in tv e sui giornali, anche quelli sedicenti "indipendenti", adesso più nulla, un gruppetto di parlamentari allo sbando forse perché ancora impegnati a chiedersi che cosa sia successo.
Il M5S detta le condizioni dei rapporti politici e conquista ciò che voleva (per ora): la presidenza della Camera. Di ben altro pesò sarà la scalata al governo, ma il sospetto che l'elezione dei presidenti delle camere sia l'antipasto di quello che potrebbe succedere quando si passerà a costruire il governo. Il PD potrebbe avere un ruolo centrale, potrebbe mettere in pratica quello che Franceschini ha più o meno già provato a ipotizzare: sostegno esterno in cambio di un programma dettagliato delle cose da fare, tempistiche certe e qualche ministro di alto profilo a garanzia dell'attuazione al meglio di quanto concordato. Forse finirà così, forse no, certo che del PD preoccupa la balcanizzazione (tutti contro tutti) e la progressiva irrilevanza.
Un partito di massa, se sta troppo lontano dal potere, finisce per perdere una parte del suo ceto politico, appunto quella che lì si alimentava e prosperava. Per come il PD si è strutturato negli ultimi anni, vorrebbe dire che se ne vanno praticamente tutti, a cominciare da quella bella massa di eurodeputati eletti col 40% di quattro anni fa. Se il trend è questo, se ne staranno in gran parte a casa il prossimo anno, quando si voterà per l'Europa e per numerose regioni.
Dunque il tempo a disposizione è davvero poco, ma non è il caso di dispiacersi: stanno davvero raccogliendo quello che hanno seminato.
Per intanto godiamoci uscite di scena che abbiamo sognato troppo a lungo e proviamo a tenere le antenne aperte: potrebbe perfino darsi che questa debolezza produca qualche interessante risultato positivo per il nostro paese. Chiunque governi deve fare almeno in parte quello che ha detto e lo farà .
Mariano
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