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SCUOLA: TORNA DI MODA?

Insegnanti o "mentori"? Tuttologi o iperspecializzati? Affettuosi o distaccati? Il destino della scuola pubblica statale davvero interessa di nuovo? Per farne cosa?
Renzi’s education act
Al giovanotto fattosi premier si possono imputare parecchie mancanze, non quella di non aver segnalato la centralità del sistema scolastico, universitario e formativo in genere. La sua insistenza sull’importanza della scuola e sulla necessità di qualificarla e valorizzarla ha acceso qualche speranza in noi, insegnanti un po’ frustrati da anni di incuria, riforme solo per tagliare i costi, difficoltà di comunicazione con famiglie che hanno abdicato al ruolo genitoriale per divenire sindacaliste dei figli, in questo in linea con l’andazzo prevalente (la colpa è sempre degli altri).
L’età e le esperienze hanno reso molti di noi piuttosto scettici, ma già solo il fatto di parlare di scuola in epoche diverse dall’inizio delle lezioni e dalla pubblicazione dei tabelloni con gli esiti della Maturità ha sollevato apprezzamenti e qualche speranza.
Renzi, in realtà, ha centrato l’attenzione sull’edilizia scolastica, questione davvero non più rimandabile dato lo stato delle nostre scuole, perché la vede come un’occasione – oltre che per rendere confortevoli e accoglienti gli ambienti in cui i nostri ragazzi passano molto del loro tempo di vita – per rilanciare l’edilizia, in particolare quella manutentiva e ricostruttiva. Un tessuto di piccole e piccolissime imprese artigianali che oggi sono del tutto ferme a fronte della crisi che ha investito quel settore forse perfino più drammaticamente che altri. E fa bene…
Dentro la scuola ci sono gli allievi, gli insegnanti, il personale d’ordine e quello amministrativo: Dentro la scuola ci sono le attività, quelle che si fanno perché parte dei programmi ministeriali, quelle che si facevano e che non si fanno quasi più per via dei taglie ripetuti e indiscriminati a tutto e a tutti. Dentro la scuola c’è un bisogno drammatico di aria nuova, di diversa articolazione dei cicli, di sperimentare forme nuove della scansione del tempo e delle materie, di ripensare al ruolo degli insegnanti, dei laboratori, della tecnologia, della ricerca e della sperimentazione.
E poi c’è da ridisegnare le coordinate di un rapporto con le famiglie degli allievi, di immaginare un coinvolgimento che non sia solo la critica dell’operato dei docenti e la difesa a oltranza dei giovanotti e delle signorine. C’è bisogno di ridefinire il senso di termini quali “serietà”, “rispetto”, “educazione”, “profitto”, “collaborazione”… poi di metterli in pratica per fermare la cafonizzazione inconsapevole di cui sono vittima le giovani generazioni.
I nostri allievi si sono abituati a venire a scuola quando vogliono, a studiare occasionalmente,a  stare attenti solo con chi rispettano, a cercare maestri invece che docenti, a provare il coup de théatre per risolvere a loro favore le situazioni in cui vengono inchiodati alle loro responsabilità. Questo a fronte  di docenti che non sempre amano il loro lavoro e che viaggiano perciò convinti di meritare molto di più di quello che hanno, in termini di salario e di considerazione sociale, salvo sospettare che una verifica più attenta potrebbe riservare loro brutte sorprese. E poi la qualità dell’insegnamento, la qualità della prestazione, la qualità delle strumentazioni, il valore dei laboratori, del lavoro in gruppo, del progetto e del processo…. Insomma, un casino; fecondo, ma un bel groviglio.
Tutti avrebbero bisogno di vivere in ambienti confortevoli, di avere la scuola aperta tutto il giorno per imparare, incontrarsi, studiare, fare i compiti, attività sportiva e culturale, per suonare uno strumento, per fare quello che serve in una società disgregata e profondamente diseguale. Con insegnanti capaci di accogliere, di orientare, di insegnare loro quel famoso metodo di studio e di lavoro senza il quale da internet puoi proprio solo scopiazzare.
Di questo e di molto altro sarebbe bello che il Governo si occupasse. Basta poco, non è vero che occorrono grandi risorse, ma quel poco passa attraverso l’ascolto della voce che viene dalla scuola italiana, dalle sue punte di eccellenza e dalle sue zone più critiche. Ma perché nessun Governo riesce a capire che deve fare come i Francesi qualche anno fa, quando hanno messo in campo la riforma della loro scuola? Hanno deciso che per sei mesi tutto quel mondo avrebbe discusso (on line e con focus live) delle linee-guida proposte dal governo, sotto la direzione e il coordinamento di gruppi di docenti appositamente formati. Poi si sono tirate le somme e le linee-guida riscritte alla luce delle tantissime osservazioni e  critiche ricevute. Infine il Parlamento ha fatto la riforma.
Come ben sanno i nostri studenti, se non hai idee originali, puoi sempre copiare. Basta farlo in modo intelligente e indicando sempre le fonti!

Mariano
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