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LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE di A. Camilleri

Questo è il testo (non rivisto dall’autore) di un intervento di Andrea Camilleri ad Convegno sulla riforma della P.A. nel marzo del 2000. Lo invitò Bassanini e Camilleri regalò ai presenti anche un testo del ‘600 che ben rappresenta come nulla cambi mai per davvero fino jn fondo….
Una riforma dei cittadini
conformism-1920x1080Una piccola premessa. Quando il Ministro Bassanini mi ha telefonato per chiedermi di intervenire a questa convenzione, mi sono immediatamente chiesto: "Ma io che c'entro?".
Riflettendoci, subito dopo, ho capito che avevo non solo il diritto, ma anche il dovere di esserci, perché la cosa, in quanto cittadino italiano, mi riguardava direttissimamente. Mi sono, quindi, pentito del mio atteggiamento iniziale. E questa è una buona ragione per intervenire, ma non lo sarebbe se non lo facessi nei termini in cui lo so fare io. Vogliate perdonarmi, dunque, se vi racconterò una favola.
C'era una volta e, per essere onesti, c'è ancora un paese chiamato Iliata. Questo paese, che un tempo era governato da una monarchia e poi era diventata una Repubblica fondata sul lavoro, come asseriva la sua Costituzione, si proclamava monoteista.
In realtà, tutti i suoi abitanti erano costretti ad adorare molti dei, in speciali santuari che erano detti uffici pubblici e i cui sacerdoti si chiamavano burocrati.
Dovete sapere, inoltre, che su questi uffici imperava da secoli una potentissima setta segreta, detta dei Sommi Custodi della Prassi. I potentissimi membri della setta non risiedevano in quei luoghi di culto che erano i comuni pubblici uffici, bensì in certe labiritinche costruzioni, dette Ministeri.
Erano luoghi fatti apposta perché uno ci si perdesse dentro, corpo e anima. La mattina, apposito personale rimuoveva le ossa umane che qua e là, negli immensi corridoi, biancheggiavano. Di qualcuno si diceva che non fosse caduto stremato dalla fame, dalla sete, dall'attesa, ma che fosse stato immolato nel corso di un sanguinario rito, detto iter della pratica.
Uno scrittore iliatano aveva provato a svelare i misteri dei Palazzi abitati dai Sommi Custodi della Prassi e aveva scritto un libro, intitolato incautamente: "Misteri dei Ministeri e altri misteri", in cui si rivelava, per esempio, come un direttore generale avesse continuato a dirigere il suo Ministero, prima che i suoi subalterni si rendessero conto che egli era morto da sei mesi e stava lì, come da sempre, sulla sua poltrona. Ho detto incautamente perché i Sommi Custodi della Prassi, allertati dal titolo, lo lessero, se lo fecero spiegare e, quindi, lo fecero togliere dalla circolazione e spedirono l'autore in manicomio, secondo una tradizione importata dall'Est.

L'inventore della parola "burocrazia" ebbe le idee chiare sin dal principio. "La burocrazia - scrisse - era una forma di governo, tal quale la monarchia o la democrazia. I Sommi Custodi della Prassi non ebbero il minimo dubbio che loro fossero non una forma di governo, ma l'unico Governo possibile. Stilarono ferree regole segrete, delle quali ne sono trapelate solo alcune.
Primo: non avrai altro Dio fuorché la forma. (una variante recita: non avrai altro Dio fuorché la norma)
Secondo: ricordati che ogni volta che innovi minacci te stesso e gli altri.
Terzo: sveltire è un po' morire.
Quarto: non trarrai insegnamento alcuno dal tuo errore.
Non ci dilungheremo oltre su queste regole delle quali non si ha conoscenza diretta.

In Iliata, come tutti i poteri che si rispettino, la burocrazia aveva inventato, elaborato, perfezionato, un proprio linguaggio sacerdotale, totalmente incomprensibile per il comune mortale. Ad esempio, era consigliato l'uso della catena di litoti, per cui una semplicissima frase come: "Alla domanda va allegato un bollo da lire 10 mila" si trasformava nella mostruosità seguente: "Non pare superfluo non specificare che la domanda non va esente dalla non applicazione di un bollo, il cui valore non può essere calcolato di un valore non inferiore e non superiore alle lire 10 mila".
Raccomandatissima era l'espressione che ingenerava ferale equivoco, ricordata recentemente da Umberto Eco. L'ignaro cittadino che si imbatteva in un bellissimo endecasillabo, che suonava pressappoco così: "Chi per profitto altera l'incanto" era portato a domandarsi chi ne fosse l'autore: Saba? Cardarelli? Niente di tutto questo. I burocrati si riferivano alla turbativa d'asta.

Sul finire del secolo scorso, in Italia la burocrazia passò al sistema quantitativo. A un cittadino che chiedeva cosa fare, ad esempio, per contrarre matrimonio, veniva risposto all'incirca in questo modo:
"Eccole il modulo esplicativo. Come vede, la sua domanda comporta due sottodomande con relativi certificati. Queste sottodomande postulano, ognuna, cinque infradomande con relativi certificati. A farla breve, tutta la sua pratica non deve essere inferiore e non superiore a venti centimetri di altezza e non deve essere non inferiore e non superiore a un chilogrammo e settecentocinquanta di peso".
Fu proprio alle soglie del nuovo millennio che una rivoluzione antiburocratica, preparata in silenzio, in segreto, iniziata con forme striscianti, esplose sulle piazze al grido di "autocertificazione".
Era successo anche che le sinistre erano andate al potere. Qualcuno ebbe conferma di ciò che sapeva da tempo: una volta questi mangiavano i bambini, ora si mangiano i burocrati.
E fu l'inizio della fine di un potere che in origine si era paragonato alla monarchia. I Sommi Custodi della Prassi, colpiti con furia iconoclasta, non solo persero buona parte del loro potere, ma si videro ridotti perfino i Ministeri, mentre i burocrati degli uffici pubblici videro ridotti completamente i loro poteri.
Non era che l'inizio della fine.

Con l'arrivo della carta d'identità elettronica, che conteneva carta sanitaria, certificato elettorale, carta di credito, carta per pagare le multe, carta per pagare il posteggio, i burocrati capirono che non si voleva la limitazione del loro potere, ma il loro mutamento genetico. Alcuni passarono alla controffensiva.
I Sommi Custodi del potere finsero di essere d'accordo e cominciarono a sobillare i cittadini. Dato che il solito istituto di rilevazioni statistiche aveva comunicato che ogni cittadino, prima della riforma, aveva perduto un anno e otto mesi della sua vita tra code, rimandi e corse da un ufficio all'altro, essi subdolamente dissero: "Fatevi ridare dallo Stato il tempo che vi ha fatto perdere".
Detto fatto. Si formò un sindacato che pretendeva la restituzione del tempo perduto. Ci furono, tra le parti, lunghe ed estenuanti trattative che si conclusero con un accordo: a ogni cittadino venne riconosciuto il rimborso di un anno di tempo, suddiviso in due tranches di sei mesi ciascuno. Il rimborso di tempo non vedeva l'irreversibilità.

A questo punto sorsero molte complicazioni. Il recupero doveva avvenire in periodo lavorativo? Manco a parlarne, dissero i lavoratori. Allora avverrà in tempo di ferie. Ma vogliamo scherzare? Ferie tanto prolungate avrebbero mandato in rovina il Paese. E fu così che si pervenne al famoso decreto - lo fece Bassanini - di vita aggiuntiva, in base al quale ogni cittadino di Iliata aveva diritto a vivere un anno in più del suo tempo terreno stabilito. Ma ad una sola condizione, che passasse quei dodici mesi aggiunti a leggere: "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust.
Fu una mossa abilissima del Governo. Molti, davanti alle migliaia di pagine che dovevano affrontare, preferirono rinunziare al rimborso temporale.
Voi pensate che vi abbia raccontato una favola?

Questa lettera è stata scritta oltre tre secoli fa dall'architetto Sébastien Le Prestre, Marchese di Vauban (Maresciallo di Francia 1633-1707) al ministro della Guerra François Michel Le Tellier, Marchese di Louvois (1641-1691):
Eccellenza Ministro della Guerra,
abbiamo opere di costruzione che trasciniamo da anni non mai terminate e che forse terminate non saranno mai.
Questo succede, Eccellenza, per la confusione causata dai frequenti ribassi che si apportano nelle opere Vostre, poiché va certo che tutte le rotture di contratti, così come i mancamenti di parola ed il ripetersi degli appalti, ad altro non servono che ad attirarVi quali Impresari tutti i miserabili che non sanno dove batter del capo ed i bricconi e gli ignoranti, facendo al tempo medesimo fuggire da Voi quanti hanno i mezzi e la capacità per condurre un'impresa. E dirò inoltre che tali ribassi ritardano e rincarano considerevolmente i lavori, i quali ognora più scadenti diverranno.
E dirò pure che le economie realizzate con tali ribassi e sconti cotanto accanitamente ricercati, saranno immaginarie, giacché similmente avviene per un impresario che perde quanto per un individuo che si annoia: s'attacca egli a tutto ciò che può, ed attaccarsi a tutto ciò che si può, in materia di costruzioni, significa non pagare i mercanti che fornirono i materiali, compensare malamente i propri operai, imbrogliare quanta più gente si può, avere la mano d'opera più scadente, come quella che a minor prezzo si dona, adoperare i materiali peggiori, trovare cavilli in ogni cosa e leggere la vita ora di questo ora di quello.
Ecco dunque quanto basta, Eccellenza, perché vediate l'errore di questo Vostro sistema; abbandonatelo quindi in nome di Dio; ristabilite la fiducia, pagate il giusto prezzo dei lavori, non rifiutate un onesto compenso a un imprenditore che compirà il suo dovere, sarà sempre questo l'affare migliore che Voi potrete fare.
Architetto Marchese di Vauban
Parigi, il 17 luglio del 1683

Da "La direzione lavori nelle costruzioni edili" di Azelio Azzarelli, Hoepli, Milano. Tratto da "Edilizia e Territorio" num. 17/1998 pag. 6

































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