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LE LEZIONI DELL’ILVA

Si consuma una tragedia “estiva” prima nel quasi silenzio dei mass-media, poi in un affollarsi ottuso che non riesce a cogliere e a restituire il senso di una città che si ribella.
Taranto e la via ecologista
Ilva-Taranto Nella vicenda dell’ILVA di Taranto ci sono tutti gli ingredienti del disastro nazionale: politici nuovi incapaci e collusi quanto i vecchi, finti imprenditori con l’allure del padrone delle ferriere, sindacati inadeguati, divisi e lontani da un rapporto libero con la base e la popolazione, autorità locali che hanno guardato dall’altra parte e che ancora lo fanno, funzionari pubblici corrotti, cosa ancora più grave perché preposti alla tutela della salute pubblica. E poi ancora:  mass media approssimativi, sdraiati sulle veline dei potenti, sinistre afone e combattute fra l’industrialismo a  tutti i costi e i costi dell’industrialismo di sfruttamento, bramose di finanziamenti per alimentare il costoso circuito del loro funzionamento e di campagne elettorali tanto più glamour quanto prive di idee e progetti. Il tutto impastato con le vite delle vittime: i Tarantini.

Cominciamo con un ministro, Clini, da una vita dirigente del Ministero dell’Ambiente nelle cui vesti aveva già affermato che l’altoforno di Taranto sarebbe stato da chiudere. Lo stesso ministro che, come se niente fosse, aveva provato a riaprire le porte al nucleare a pochi mesi da Fukushima e subito dopo un referendum che lo rigettava. L’ultima l’ha prodotta ieri al meeting di CL, condannando quelli che ha chiamato “ambientalisti radicali”, che si sono permessi di sollevare il problema, forse alludeva agli stessi che hanno candidato Angelo Bonelli  contro tutti alle recenti elezioni amministrative di Taranto (oltre il 10% di voti) e affermare che l’altoforno va spento e i lavoratori impegnati nella bonifica e nella riconversione dell'impianto.
Sempre in fatto di politici deludenti, c’è poi Vendola. Da anni liste civiche ed ecologisti tarantini gli hanno chiesto di ordinare uno studio epidemiologico per testare l’impatto dell’acciaieria sulla popolazione. Invano, ma adesso partecipa anche lui alla “narrazione”, a quell’impasto di ipocrisia e rapporti grigi con i vertici dell’azienda.
Con lui larga parte della sinistra locale e non, che solo adesso si sveglia e con qualche imbarazzo cerca di elaborare uno straccio di posizione politica che dia un senso alla loro esistenza. Per inciso, anche i personaggi che balbettano oggi sono gli stessi che piangevano affranti davanti al disastro della Thyssen-Krupp di Torino: loro arrivano sempre dopo, prima hanno mille ragioni per non esporsi, accettando così il ricatto della salute e della sicurezza in cambio della conservazione dei posti di lavoro.

Poi ci sono i sindacati… e meno male che almeno la FIOM prova a dire e a fare qualcosa per uscire dalla tenaglia della contrapposizione fra condizioni di lavoro e occupazione. Ma non basta, forse sono davvero maturi i tempi di una seria riflessione intorno alle prospettive della grande industria italiana e del rapporto fra lavoro sicurezza, salute, ambiente, ecologia ed economia, alla ricerca di buone idee e altrettanto buone pratiche per  uscire da questo incubo di cui l’ILVA di Taranto è uno specchio esemplare.

L’informazione è morta, con poche e lodevoli eccezioni. Nessuno finora che abbia posto la domanda che credo gran parte degli Italiani ha in testa: quali sono le condizioni ambientali e industriali per produrre acciaio senza avvelenare lavoratori e città sede degli stabilimenti? E’ possibile farlo? Invece si affannano a seguire questa incomprensibile battaglia legale fra Magistratura e  proprietà, dove il governo sembra che non stia propriamente dalla parte dello Stato, cioè dei magistrati.

E’ oramai chiaro che l’impianto deve essere esso in sicurezza con opere poderose, che per poterle realizzare facilmente si dovrà spegnere l’altoforno (l’operazione più costosa e sovente irreversibile di tutte), come è successo nell’altro stabilimento dell’ILVA oramai chiuso da tempo, quello di Bagnoli. Potranno mai gli Italiani – innanzitutto i Tarantini – aveva indicazioni chiare su come le parti in causa intendono procedere e con quali tempistiche? Gli enti pubblici esigeranno mai che la proprietà finalmente assuma impegni chiari e circostanziati senza utilizzare i lavoratori come “carne da trattativa”? Tutte cose che in qualunque paese europeo, anche in quelli governati dalla destra, sarebbero già state messe avanti a tutto.
Già, ma da nessuna parte avrebbero aspettato l’intervento della magistratura per assumere provvedimenti di tutela verso una città avvelenata. Certo non nei paesi di punta dell’UE.

Oggi possiamo dirlo: l’unico progetto serio e misurabile di recupero di una situazione drammatica è proprio quello che ecologisti e civici hanno presentato a Taranto e per il quale combattono laggiù ogni giorno, fra le sconfessioni del PD, gli imbarazzi vendoliani e i “tecnicismo” di un governo che si libererebbe volentieri (anche questo!) della Magistratura, specie quando interviene contro le malefatte dei potenti che, probabilmente chiuderanno anche i rubinetti dei finanziamenti dei partiti che hanno veleggiato sulla disgrazia facendo finta che fosse cosa da poco.

Mariano.
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