Dieci giorni fa Franco Maletti mi ha inviato questo pezzo sul decennale della distruzione della Twin Towers. Non l’ho pubblicato allora per una svista, forse non è un male perché non è finito nella babele delle troppe parole di quei giorni. Dieci anni e dieci giorni dopo...
Terrorismo e non violenza di F. Maletti
In questi giorni è impossibile non ricordare il tremendo attentato terroristico delle Twin Towers che dieci anni fa sconvolse l’America e il Mondo intero: dietro la garanzia del paradiso, attraverso il loro martirio e sostanziosi aiuti economici alle loro famiglie, alcuni uomini di Al Quaeda non esitarono a farsi esplodere, sequestrando e lanciando due aerei carichi di gente innocente contro due grattacieli di New York, uccidendo circa tremila persone la cui unica colpa era solo quella di trovarsi lì in quel momento.
Dieci anni fa questo fatto mi portò alla mente un convegno al quale assistetti molti anni prima e che aveva come tema la non violenza. Quasi tutti gli oratori che presero la parola, citarono Gandhi come linea guida delle loro convinzioni, per poi affrontare il tema con citazioni dirette e indirette a dimostrazione che la non violenza, a partire dal piano religioso, sia il denominatore comune della convivenza. Ma, quasi alla fine del convegno, prese la parola uno studente universitario africano, il quale senza timori espresse il suo pensiero dicendo che, avendolo vissuto sulla sua pelle, era giunto alla conclusione che “quello della non violenza è un atteggiamento ipocrita, in quanto la società è violenta già nelle sue radici, e, come tale, reagisce soltanto agli stimoli della violenza”. Poi, senza citare i casi diretti ai quali aveva assistito, faceva l’esempio del cane legato alla catena e che il suo padrone stava uccidendo a bastonate: “potete dire al suo padrone di smetterla, di fermarsi” diceva, “ma se lui non lo fa e se sapete che la vita del cane dipende da voi, allora dovete intervenire, con tempestività e con violenza…”.
Rimasi perplesso, come molti altri.
Mi ricordai così quello stupido “test” che alla scuola media inferiore alcuni vecchi professori, la formazione dei quali era avvenuta durante il ventennio fascista, facevano in classe a ciascuno di noi studenti chiedendo se parteggiassimo per Sparta o per Atene: lasciando intendere che chi sceglieva Sparta era destinato nella vita ad essere un vincente, mentre chi parteggiava per Atene era destinato a soccombere. Guai, ovviamente, a chi avesse osato obiettare che mentre Atene e la sua cultura durano da tremila anni, della città di Sparta si è persa ogni traccia e ancora oggi non si sa nemmeno dove fosse esattamente..
Continuai, ostinatamente, a stare dalla parte di Atene nonostante i sorrisi di derisione dei miei compagni. E ancora oggi non ho cambiato idea.
Ma da quei tempi lontani qualcosa è cambiato. Una persona di intelligenza acuta come Indro Montanelli già lo segnalava una quindicina di anni fa: “il mondo Occidentale si trova di fronte a un fatto nuovo, un nuovo modo di fare la guerra che lo trova completamente impreparato: quello di bombe umane disposte a saltare per aria trascinando con sé il maggior numero di nemici possibile”.
La morte di Montanelli è arrivata (22 luglio) una cinquantina di giorni prima della terribile conferma di quell’undici settembre 2001.
Ma che cosa era e che cosa è che alimenta così tanto odio nei confronti di esseri umani la cui unica colpa è spesso soltanto quella, non di essere un nemico, ma di essere una persona che, inconsapevolmente, ha la disgrazia di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato? Come può un credente nello stesso Dio, anche se di fede islamica, avere la certezza della conquista del paradiso tramite un atto così feroce nei confronti dei suoi simili?
Forse la risposta si trova in un antico aforisma indiano che invita a questa riflessione: “Se, per andare in paradiso, leghi al palo anche solo una bestiola che ha fatto nulla, e la macelli in un lago di sangue, che cosa farà chi merita l’inferno?”.
F. Maletti
settembre 2011
franco.maletti@libero.it