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LE PRIMARIE E LA DEMOCRAZIA

Raccolte fondi e candidati ricchi di F. Maletti

Io non so in Italia fino a che punto sia possibile esprimere anche solo una minima critica al meccanismo delle Primarie senza venire immediatamente additati come degli antidemocratici che “impediscono al popolo di esprimere il suo sacrosanto diritto di scegliere il proprio leader”.
Per effetto della legge “porcata”, che attribuisce soltanto al leader la possibilità di nominare i suoi subalterni, “ venga almeno data l’opportunità al popolo di decidere chi deve essere il leader…”. Questo è il ragionamento. Fatto proprio, sia da Prodi che da Veltroni, (che non se la sono sentita di fare una dura opposizione alla proposta di legge porcata), ed ereditato in seguito da Bersani (se non ob torto collo mi auguro almeno con qualche dubbio), ed oggi sposato anche da Alfano del PDL: disposto a tutto pur di salvare il sistema bipolare che tante fortune politiche ha portato al suo “padrone” Berlusconi.
Nessuno ha mai malignamente obiettato come questo sistema (delle Primarie), fosse l’unico modo rimasto per far credere, ciascuno ai propri elettori di riferimento, di essere ancora “partiti”. Partiti che solo così si ricordano della democrazia. Dal momento che hanno scelto di abbandonare la formula di partito organizzazione per diventare invece partito movimento: una specie di comitato elettorale che si sveglia soltanto in prossimità delle elezioni, e che per tutto il resto del tempo sonnecchia, lasciando il suo leader libero di agire indisturbato e in rappresentanza di tutti.

Volenti o nolenti, è la cosiddetta “deriva plebiscitaria”. Che però trarrebbe la sua origine e la sua ragione di essere da un esempio nobile ed autorevole: quello degli Stati Uniti d’America.
Va aggiunto, in proposito, che le primarie, così come sono strutturate, sembrano fatte apposta per danneggiare in particolar modo il suo inventore: il Partito Democratico. Infatti, la lotta per le candidature porta nel Partito Democratico alla dispersione dei voti: a tutto vantaggio di outsider apparentemente privi di seguito, ma in grado di ingrossare le loro file attraverso i voti di protesta di vario genere espressi “contro”. Così come peraltro vuole la “tradizione” italiana.

Ma allora il modello elettorale americano, peraltro scimmiottato maldestramente, siamo sicuri che è il miglior modello di democrazia possibile? Almeno da quanto si legge sui giornali e si sente in televisione nasce più di un dubbio.
In America aziende e persone fisiche possono donare delle somme illimitate ai vari candidati diventandone “sponsor”. Queste somme verranno poi totalmente detratte dal fisco. Più si hanno soldi quindi, più conviene donare. Tenuto conto, inoltre, che per votare bisogna iscriversi. Altrimenti si perde il diritto.
In “America”, capita così che la politica la fanno i soldi molto più dei candidati, con campagne elettorali miliardarie (in dollari).. E dato che pecunia non olet, non si guarda mai per il sottile: si ricevono soldi dalle multinazionali del Tabacco, dalla lobby dei Petrolieri, dalla potente lobby dei Fabbricanti di Armi. E, attraverso vie più tortuose, dalla stessa Mafia. (Ma in Italia, per fortuna, queste cose non accadono mai…).
E’ maligno pensare che (in America, sia chiaro) il candidato beneficiario di tutte queste donazioni, in un secondo tempo, non appena eletto, dovrà restituire queste elargizioni con tanto di interessi: sotto forma di “favori” palesi e occulti? Penso di no. E allora credo che un elettore veramente accorto, prima di dare il proprio voto, dovrebbe perlomeno riflettere sul fatto che più la campagna elettorale di un candidato è costosa, meglio è diffidare sulla possibilità che possa successivamente comportarsi onestamente non appena eletto.

In Italia, una volta i candidati venivano espressi ciascuno dal proprio partito attraverso una dura selezione tra gli iscritti. E la selezione era il frutto di una valutazione di anni fatta attraverso riunioni, assemblee e confronti nei quali ciascuno poteva esprimere le sue idee e le sue capacità. Oggi, dopo venti anni di seconda repubblica che hanno annientato la formula partito, ci troviamo spesso di fronte a candidati spuntati dal nulla, che portano come dote il loro “non avere mai fatto politica”, oppure il loro essere “giovani”. Molto spesso invece sono anche i delfini di un “leader” non più eleggibile che garantisce per loro. Tutto questo è una garanzia sufficiente? Credo di no.

Ancora meno se costoro affittano sedi per mettervi dentro il loro Comitato Elettorale (che sarà composto dagli stessi collaboratori non appena saranno eletti) e poi si impegnano in scoppiettanti e costose campagne elettorali apparentemente sproporzionate rispetto alla modestia dell’obiettivo.
Io credo, in conclusione, che il modo migliore per misurare il valore di un candidato debba essere quello di valutarlo in modo inversamente proporzionale ai soldi che spende per la sua campagna elettorale. Tutto questo renderebbe almeno un po’ più democratiche le primarie, e un po’ più maturo il giudizio degli elettori.


F. Maletti



P.S. Credo non sia inutile sottolineare come, in tutte le democrazie del mondo, i sistemi elettorali bipolari siano soltanto apparenti. Basta infatti che un terzo candidato outsider si presenti ed ottenga anche solo un pugno di voti, per far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra: diventando di fatto il detentore di un potere politico enorme e totalmente sproporzionato rispetto ai voti conseguiti.

30 dicembre 2011
franco.maletti@libero.it
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