Finita la stagione della “politica di servizio”, naturalmente alla collettività, al paese. Dagli ultimi scandali emerge un nuovo modo di intendere il “servizio”…
Le ultime ruote del carro
Se c’è una cosa che emerge con forza dalle cronache degli ultimi scandali è l’irrilevanza complessiva dei politici coinvolti: semplici comprimari, sovente neanche quello, meri esecutori di ordini e consegne dei veri capi: ingegneri di truffe e ruberie sempre più sofisticate, ma che ripercorrono sempre lo stesso vetusto schema.
La tangentopoli di vent’anni fa aveva scoperchiato un sistema che tutti in fondo conoscevano e che vedeva i politici dediti a rubacchiare per il partito, la corrente, qualcuno per sé, da posizioni di comando. Erano anch’essi ingranaggi in un sistema che predicava la libera concorrenza (quella del mercato) e praticava la scorciatoia della mazzetta, ma erano centrali. Spesso erano loro stessi a ingegnerizzare le dazioni, stabilendone modalità, importi e forme. Il sottobosco politico, ma anche quello delle imprese che volevano lavorare erano i destinatari delle richieste e i complici fintamente sottomessi della politica vorace. Capitava perciò che alcuni dei manager di società coinvolte approfittassero dei soldi in nero da dare ai politici per farci la cresta; ricordo almeno un paio di vicende giudiziarie dove, accanto ai filoni seri delle inchieste, comparivano anche questi personaggi da “ufficio acquisti” beccati con le mani nel sacco per via delle discordanza fra quanto confessato dai politici e quanto sborsato dal vertiti delle loro aziende.
L’uscita da tangentopoli fu anche nell’emersione di una nuova generazione di politici “prestati” dal mondo delle professioni e delle attività umane in genere. Persone che, abbastanza ben stabilizzate dal punto di vista lavorativo, decidevano di sospendere l’attività per dedicarsi alla politica e all’amministrazione pubblica. Con l’idea che, una volta esaurito l’impegno, sarebbero tornati a fare quello che sapevano ben fare prima. Insomma politici temporanei, occasionalmente “prestati” alla res publica per svolgere un servizio alla collettività. Questa visione del ruolo conferiva ai migliori di loro un grande potere: la consapevolezza di essere non arbitri fra interessi contrapposti o complementari, ma interpreti dell’interesse pubblico, quello che deve sempre prevalere sui pur legittimi interessi privati.
In qualche caso funzionò e per un po’ circolò nelle quell’aria fresca che solo la libertà di chi decide riesce a portare nelle istituzioni. In qualche altro si aprì la strada a una nuova generazione di politici di professione che ritroviamo a vent’anni di distanza saldamente piazzati nei gangli della politica e dell’amministrazione. Per molti di loro, dato che non hanno una vita professionale soddisfacente, non l’hanno mai avuta e presumibilmente mai l’avranno, la libertà del politico ha ben presto lasciato il posto alla necessità di andare “a servizio”: del capocorrente, del partito, del finanziatore della campagna elettorale, delle clientele messe in campo per raccogliere consensi….
La politica - abbandonato nuovamente il ruolo di rappresentanza degli interessi collettivi – è tornata a essere mediazione fra interessi privati collegati alla gestione delle risorse pubbliche: appalti, urbanistica, servizi, soldi e soldi. Così una bella fetta dei politici è andata “a servizio”, questa volta dei privati che dettano le regole e stabiliscono i modi.
In questo modo i politici e gli amministratori pubblici sono diventati inutili e irrilevanti: le decisioni si prendono altrove e quelli corrotti o corruttibili possono al massimo sperare nelle briciole di questo immane fiume di danaro, in parte pulito e in parte meno, che scorre nelle vene di un paese senza produrre per noi cittadini alcun beneficio. Basta che adottino le decisioni che altri i hanno pensato e negoziato, favorendo il saccheggio del paese. I politici delle cronache giudiziarie d’oggi sono davvero personaggi inutili, meschini e, a volte perfino inconsapevoli, di una tragedia che non finisce mai.
Mariano
2019
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