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PININFARINA, ROSSIGNOLO E I NANI DELLA POLITICA

La vicenda del fallimento della Pinifarina e della beffa De Tomaso non finisce di stupire. Un nuova puntata racconta di politici incapaci e promesse da marinaio sulla pelle dei lavoratori.
Una miscela micidiale…
Il 16 di questo mese una paginata di Repubblica relativa alle ultime puntate della vicenda Pininfarina/De Tomaso, riporta all’attualità una brutta storia dove politica tossica e la finta imprenditoria coi soldi degli altri hanno insieme confezionato un pacco avvelato che ha distrutto una realtà produttiva interessante e il posto di lavoro di circa 1000 lavoratori (leggi qui).
Era l’autunno di cinque anni fa quando il Consiglio Regionale del Piemonte si occupò della Pininfarina, dei suoi 900 dipendenti ancora in cassa integrazione, ma candidati alla disoccupazione a breve, della fine che avrebbero fatto gli impianti e degli investimenti che sembravano imminenti. L’occasione fu una mia richiesta all’assessore Bairati, chiedevo lumi sulla natura e sui contenuti di annunci giornalistici secondo i quali l’imprenditore Rossignolo – proprietario del marchio De Tomaso – avrebbe rilevato li impianti e riportato progressivamente al lavoro di dipendenti attraverso un piano di rilancio assistito e supportato proprio dal denaro  ed dalla mediazione della Regione Piemonte.
Oltre all’interesse evidente per il destino dei lavoratori e degli impianti di un’industria storica della mia città, c’erano le voci secondo cui il Comune di Grugliasco nella persona del suo sindaco Mazzù, avesse promesso una variante per trasformare parte dell’area della fabbrica in residenziale. Le dichiarazioni di Bairati confermarono quanto temevo (leggi 1 e leggi 2).  Ma come – mi dicevo – la Regione spende milioni di euro per rilanciare l’attività della fabbrica e il Comune promette una variante per farci delle case? Come fa il sindaco a impegnarsi in un atto che deve essere assunto dal Consiglio Comunale senza nemmeno averlo avvisato?

Dalla risposta dell’assessore regionale compresi che la combine era già stata confezionata e lo scambio era chiaro: lo segnalai nella stessa seduta, facendo incavolare per bene il Bairati e la Bresso. In fondo ero della loro maggioranza, che volevo?
In pratica, una partecipata al 99% di FinPiemonte (la finanziaria della Regione), la SIT,  avrebbe acquistato l’area per 14 milioni di euro per poi affittarla a Rossignolo. Quest’ultimo – foraggiato da considerevoli risorse pubbliche, sempre provenienti dalla Regione – avrebbe ripreso la produzione, riassorbendo i lavoratori in cassa integrazione. Dopo sei anni (dunque nel 2015), la fabbrica avrebbe potuto chiudere i battenti per consentire alla SIT stessa di rientrare dei soldi spesi attraverso il cambio di destinazione urbanistica (da industriale a residenziale). Cosa successe allora l’ho scritto in un post (leggi) di tre anni fa, con un resoconto fedele delle parole e degli atti. Se ne è occupato anche Lo Spiffero che diede conto di quella storia.

La realtà è stata ancora più cruda: Rossignolo ha preso i soldi che è riuscito ad arraffare ed è scappato. la SIT non ha mai incassato i soldi dell’affitto, si è esposta per garantire un accordo che non è mai andato a regime, ora sta fallendo. Il curatore, che deve cercare di recuperare i soldi per pagare i creditori, si fa forte dell’impegno dell’allora sindaco di Grugliasco per riscuotere quando dovuto. Perfino in tempi di magra come questi, quell’area potrebbe rendere qualcosa se ci si potessero fare case: certamente non i 14 milioni che è stata pagata dalla Regione cinque anni fa.
L’attuale sindaco di Grugliasco fa sapere che di variante al Piano Regolatore non se ne parla nemmeno, ma dov’era quando il sindaco Mazzù scriveva la sua lettera al Finpiemonte? Comodamente seduto nella sua giunta, e pure con deleghe di rilievo. O non era d’accordo già allora e ha taciuto, oppure ha cambiato idea nel frattempo.
In qualunque modo la si metta, la vicenda presenta due possibili letture, entrambe molto gravi.

1. Supponiamo che il Mazzù abbia scritto la lettera (leggi) con la leggerezza che lo contraddistingue (di cazzate ne ha fatte parecchie, deve essere per questo che l’hanno appena fatto presidente dell’ATC): in questo caso avrebbe poi dovuto interpellare il Consiglio Comunale, anche solo proponendo una delibera di indirizzi che recepisse i contenuti del suo impegno, magari rimandando l’adozione della variante a tempi migliori. Non ha fatto nulla di tutto questo, perfino dopo che la sua lettera sciagurata ha fatto da stampella a un accordo milionario coi soldi pubblici.

2- Mazzù – e Bairati in Regione – sapevano (e lo sapeva anche il Montà, attualmente sindaco) che la variante non sarebbe mai stata adottata, perciò hanno risolto con una letterina, fabbricando di comune accordo la pezza che serviva a giustificare la generosa elargizione di danaro pubblico a un imprenditore “di area”.

Sarà interessante capire come si comporterà - nei fatti non con le chiacchiere in cui è davvero maestro - il sindaco Montà  verso una realtà economica messa in ginocchio dagli impegni pubblici disattesi. Anche in questo si vede la piccolezza dei personaggi: si prendono impegni fregiandosi dei titoli elettivi, scaricandone poi la responsabilità su terzi.

Mariano

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