Ignoranza, il collante di una nazione
Più in piccolo le cose funzionano con lo stesso meccanismo, con la stessa sfacciata dipendenza della politica dal mondo degli affari: dalle varianti urbanistiche, ai piani di interventi di realizzazione di residenze e servizi, fino alla compulsiva creazione di società pubbliche con le quali sindaci e piccoli amministratori dilettanti giocano alla finanza coi soldi nostri.
Così le città e i paesi si popolano di opere inutili, impossibili da gestire e pensate senza alcuna programmazione. Chi le inaugura non sarà chi ne risponderà qualche anno dopo, quando le opere stesse cominceranno a mostrare visibili problemi di malcostruzione o di cattiva manutenzione, trasformandosi in un salasso per le casse dell’ente pubblico che la ha fatte. Il cittadino non se ne occupa, non si ricorderà e continuerà a votare quegli stessi che hanno prodotto il disastro. In questo sta la loro impunità , è questa amnesia continua e di massa che permette loro di continuare a presentarsi con la stessa faccia di tolla, per dare la colpa di quello che non va sempre a qualcun altro. L’ignoranza funge da collante e da cancellino, perché è bene che il popolino resti in questa condizione il più a lungo possibile.
E’ così nella politica, così nell’economia, nella finanza, nell’associazionismo e nella società tutta. E’ il prodotto più tossico dell’ignoranza che pervade questa Italia d’oggi, quella grassa ignoranza di cui una bella fetta di paese va fiera ostentandone gli effetti e le conseguenze. Dai programmi pomeridiani della tivù, alla “scuola facile” dove gli insegnanti rincorrono gli studenti per acchiapparli fra una assenza e l’altra; all’imprenditoria che non tiene in alcun conto il valore aggiunto del dipendente e poi si lamenta della perdita di competitività ; alla politica fatta da gente che non studia gli atti, non si documenta perché “si fida” del capobranco; alla cafonaggine diffusa che ci fa odiare i suv invece di quelli/e che ci stanno sopra per salire sui marciapiedi; all’idea che, per fare l’idraulico o il fornaio, non serva la cultura, non serva essere cittadini consapevoli; al mondo del pubblico impiego che giustifica troppo spesso se stesso e i fannulloni, perfino quando danneggiano i poveretti che ci debbono avere a che fare; al dirigenti che dirigono se stessi verso privilegi sempre nuovi, incuranti dei risultati, ma molto attenti a compiacere padroni e padrini; a tutti i profittatori che, oramai da troppo tempo, vincono sempre. E la società di sfilaccia, si frantuma.
Ci vuole scuola, ci vuole serietà , ci vuole competenza, ci va cultura, ci vanno gli strumenti per costruire cittadini e cittadinanza. Ci vanno esempi che testimonino la possibilità di costruire modi diversi di essere società e, quando ci sono, bisogna valorizzarli, non denigrarli per paura che segnino strade nuove pericolose per i cultori dello status quo.
Non so perché, ma continuo a considerare che un idraulico diplomato è meglio che uno che ha lasciato al scuola a favore di un “breve corso di formazione professionale”. Non è detto che il primo lavori meglio del secondo, ma spero che abbia qualche strumento in più per essere anche maggiormente consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri, del suo ruolo nella professione e nella società . A noi manca questo… e non da oggi.
Mariano