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SACCHE DI RESISTENZA

Aumentano quelli che “sono stufo marcio”, quelli che “aspetto il momento per scendere in piazza”, quelli che “non ne posso più”. Manca la scintilla, manca il collante. Intanto che ci si lavora… perché stare con le mani in mano?
La potenza dell’esempio
Il momento è quello che è. Dato che dura da ben più di un momento, prima è subentrata la rassegnazione, adesso il suo posto viene preso dalla rabbia. Una furia cieca, incontrollata e che si rivolge verso tutto e tutti: ce l’abbiamo con la politica, la sua invasività cancerosa, la sua capacità di corrompere tutto e tutti, la nocività con cui ha avvelenato le nostre vite.
Sappiamo però anche che è la diretta conseguenza del nostro temperamento nazionale: i nostri valori italici sono gli stessi che il mondo della politica e dell’economia incarnano perfettamente, non abbiamo orizzonti diversi dall’ottusa ricerca del nostro tornaconto personale, meglio se a scapito dell’amico o dei vicino di casa, abbiamo bisogno di sentirci sempre un po’ più furbi degli altri passando davanti, eludendo le regole e ammirando chi riesce a farlo, perfino quando poi paghiamo noi. Nonostante la crisi, il conclamato fallimento di questo modo di essere, fare e pensare non ha smosso in alcun modo il complesso della popolazione del nostro paese.
Mi sembra, però, che siano aumentate le minoranze che resistono.
Qualche volta escono anche allo scoperto praticando con spudoratezza stili di vita più sobrii, ma soprattutto forme di rispetto e di considerazione dell’altro che anticipano una nuova stagione, quella che sostituirà alla competizione la cooperazione. Nessuna utopia, per carità! Nessun sogno comunista e nessun vaticinio di una prossima era dell’Acquario da “fate l’amore e non la guerra”.
Semplicemente la constatazione di cosa siamo diventati vivendo nel mondo che ci ha dato tanto, forse tutto, ma a un prezzo insostenibile, così da indurci a provare nuove strade per dare un senso allo sviluppo umano e a ciò che resta delle nostra esistenza. Non possiamo immaginare un futuro accettabile per i nostri figli se non mettiamo in discussione alcuni dei capisaldi che hanno permesso a noi di costruirci questo presente: che ci piaccia o no, che ne siamo felici o no, non da più i risultati per i quali era stato pensato e realizzato. Dunque occorre cambiare.
Perché la politica non si occupa di dare sostanza e forma a questa esigenza, di una minoranza, ma forse non così esigua? Con ogni probabilità esistono figure che ci hanno provato o che ci stanno pensando, ma il clima non ne favorisce certo il successo. Oggi chi produce ragionamenti più lunghi di 30 secondi è un comunicatore fallito, chi si impegna a fare, realizzando pezzo a  pezzo progetti di trasformazione della società, diventa il bersaglio preferito di chi parla e trama per non perdere il potere. Oggi chi indica strade e non scorciatoie, che sa già essere trappole, a un popolo di bambini regrediti non ha alcuna speranza di sopravvivenza, figurarsi di successo!

Non sarà sempre così, per fortuna le cose maturano, cambiano, evolvono. Quello che ieri sembrava impossibile oggi magari lo diventa domani, un alito di vento potrebbe in qualunque momento spazzare via la cappa grigia che ammorba un paese immobile e terrorizzato dal cambiamento, perfino adesso che sa che è ineludibile. Bisogna preparare il terreno, sennò anche l’alito di vento potrebbe esaurire i suoi effetti in un’illusione; bisogna fare sì che germogli qualcosa di buono e per farlo occorre preparare il terreno. Con l’esempio: come?

Lottiamo contro la sciatteria, intervenendo contro tutti quelli che non fanno il loro dovere, il lavoro per cui sono pagati. Che, per questo, trasformano utenti e clienti in loro vittime sacrificali, quelle su cui scaricano le loro frustrazioni. Segnaliamo ai superiori chi maltratta la gente, chi abusa del suo ruolo, chi non rispetta le regole. Non è delazione, è resistenza.
Lottiamo contro la cafonaggine delle auto sulle strisce, sulle piste ciclabili, in doppia e tripla fila; contro l'’incuria per gli spazi e le cose di tutti, quelli che passano davanti, quelli che non ti fanno la fattura neanche sotto tortura, quelli che non ascoltano mai gli altri, ma che pretendono sempre essere ascoltati. La gentilezza e un po’ di riguardo cambiano le cose ben più che mille regole inutili: con garbo e considerazione diventiamo tutti un po’ più importanti agli occhi nostri e degli altri. Anche questa è resistenza.
Lottiamo contro noi stessi quando sul lavoro non facciamo bene quello per cui siamo pagati, così possiamo chiedere con più credibilità e decisione la fine di questo sfruttamento ai danni dei giovani e di quelli che hanno poca qualificazione. Proviamo a cambiare il nostro modo di essere e di fare mettendo in pratica quelli che ci piacerebbe che fossero domani… Non è resistenza anche questa?
Cerchiamo noi per primi di vivere come pensiamo che si dovrebbe: alla lunga serve più questo che mille parole di recriminazione per quello che si dovrebbe fare e non si fa.

Così prepariamo il terreno al cambiamento prossimo venturo, quello che ripristinerà in questo paese un po’ di speranza, opportunità, una maggiore equità e anche il sano gusto di vivere in pace senza dover passare la vita a difenderci l’uno dai soprusi e dalla fregature dell’altro.

Mariano
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