Un quadro amaro dello stato del maggiore partito del centrosinistra, probabilmente riferibile anche agli altri partiti. Una questione che, se non risolta, non permette alcun cambiamento vero nella politica italiana.
Democrazia e partecipazione
Adesso che anche l’irriducibile Vittorio Feltri riconosce nella politica italiana il fallimento, prima del bipartitismo, e successivamente quello del sistema bipolare. (Auspicando di conseguenza il ritorno ad un sistema elettorale basato sul proporzionale che liberi i due maggiori partiti dai ricatti e dai condizionamenti dei partitini che compongono le ali estreme di entrambi gli schieramenti). Adesso che finalmente è chiaro e palese anche ai maestri del pensiero giornalistico quello che all’elettore medio ma disincantato conosce già da tempo (al punto da indurlo a soprassedere nel dare il proprio voto e ad ingrossare la folta schiera degli astensionisti), credo che anche all’interno del Partito Democratico diventi urgente un chiarimento. Partendo dai Circoli.
Infatti, molti entusiasti del “partito liquido” prima, ed altri che hanno utilizzato le primarie per occupare posti poi, oggi costituiscono all’interno di alcuni Circoli una “nomenclatura” di tipo oligarchico: ostile a qualunque proposta di cambiamento e di adeguamento alle nuove realtà che si vanno delineando.
Inossidabili nel tempo, si fanno vanto di essere “squadra”. E, in quanto “squadra”, sono ben attrezzati nel difendersi l’un l’altro da attacchi e critiche, da inviti a discutere (figuriamoci quindi se sono disposti ad esaminare documenti che non siano di loro produzione, o ancor meno siano disposti a metterli in votazione).
La loro granitica fede li porta a considerare la unanimità come la massima espressione della democrazia: per cui tutte le riunioni iniziano con la esposizione delle decisioni e si concludono senza voto con la bovina applicazione delle stesse. Per cui a volte ci si domanda: “ma questi dove l’hanno imparata la democrazia?”.
Ma, soprattutto: a che serve essere iscritti al PD? (A meno che si abbia la fortuna di fare parte della “squadra”).
Poiché ogni dissenso viene interpretato come un attacco personale, o ancor peggio come voce stonata e fuori dal coro, finisce che come iscritti si conta meno di nulla.
E la prova che come iscritti “si conta meno di nulla”, è data dal fatto che, quando è il momento di far valere il proprio voto, questo è utilizzabile soltanto nelle Primarie: con un “valore” uguale a quello di chi, passando davanti al seggio, pagando un euro si toglie la soddisfazione di fare pendere l’ago della bilancia a favore di questo o di quell’altro candidato senza magari conoscere entrambi.
Non mi meraviglia quindi leggere sui giornali che nel partito Democratico c’è un “calo di iscritti”.
A che serve essere iscritti? Se fai parte di qualche corrente magari ti trovi anche la tessera pagata. Ma tutto finisce lì: perché la tua adesione serve soltanto per fare aumentare il “peso politico” di qualcuno.
A volte vorresti partecipare per dire anche la tua. Perché ognuno dovrebbe avere il diritto, in quanto iscritto, di dire le sue “stupidaggini”. Anche e soprattutto dopo averne sentite così tante dette dagli altri: quelli che si sentono i depositari della Verità . Tanto certi delle loro idee che quando tu parli alzano gli occhi al cielo, oppure platealmente leggono il giornale o parlano col vicino pur di rendere evidente il loro dissenso.
Ma questo avviene se hai la “fortuna” di essere del direttivo. Nel quale sei stato inserito come segno di benevolenza. Oppure perché l’escluderti avrebbe fatto più clamore dell’includerti. Comunque sia, la sensazione di contare poco o nulla la percepisci perfettamente: insieme a quel senso di estraniazione che ti fa dubitare di essere una persona non gradita o fuori luogo.
E allora a che serve essere iscritti? Data l’esiguità del costo della tessera rispetto alle gigantesche entrate derivanti dai rimborsi elettorali, forse tutto questo serve ai vertici per avere un maggiore potere di controllo, magari orientando i finanziamenti dove conviene?
Che cosa viene fatto per fare crescere culturalmente gli iscritti e selezionare dal basso (ma sempre all’interno del partito) la futura classe dirigente? Come è possibile senza dialogo e senza confronto? Quale esempio di democrazia è quello dove si prendono le decisioni senza mai metterle ai voti? Nemmeno tra gli iscritti?
Perché gli iscritti contano meno di niente nella selezione “democratica” dei candidati del PD alle primarie? Questo non è un favore fatto agli altri partiti della coalizione, che scelgono il loro candidato tra gli iscritti legittimandolo?
E poi, perché quando uno ha tanti anni di militanza e di esperienza politica, può intervenire soltanto se fa discorsi “riformisti”: perché altrimenti se cita una qualsiasi sua esperienza fatta in passato come momento di riflessione e di crescita culturale, viene subito etichettato come “un vecchio” che vive di nostalgie e di ricordi?
Come si può andare avanti così, tra oligarchie locali e il nulla?
Prima di rinnovare l’iscrizione vorrei delle risposte convincenti. Perché se “democrazia è partecipazione”, temo che oggi in troppi Circoli del PD non ci sia democrazia. In quanto la partecipazione viene scoraggiata in ogni modo possibile dai vari oligarchi.
F. Maletti
febbraio 2012
franco.maletti@libero.it
L'auto elettrica va bene? ... perché se la doccia è di sinistra ed il bagno
è di destra ....
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Perché non sono convinto dalla* politica europea sulle auto elettriche.*
Il problema reale è che oggi la produzione elettrica da fonti rinnovabili è
solo...