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SAN SANTORO, I PENITENTI E I MANIFESTANTI


Santoro chiude la sua trasmissione, lautamente liquidato e pagato da mamma RAI, con un programma futuro di tutto rispetto, perfino se ne realizzasse solo una parte. Indignazione per il "tradimento", per le somme che percepirà, per la mercificazione di valori e la svendita della libertà di informazione il giovedì sera al vil denaro e alla rassegnazione.
Lo stesso Santoro dichiara che si sentiva accerchiato, che non ne poteva più delle pressioni eccetera, insomma era giunta l'ora di chiudere: farlo con questo bel corollario è meglio che farlo in braghe di tela. Può colpire la spregiudicatezza del personaggio, la sua disinvoltura nell'adoperare ora la pollitica ora il giornalismo per costruirsi una personalissima e fortunata carriera. Non si capisce però lo sdegno che suscita in questi giorni: solo polli ciechi potevano pensare che fosse una specie di Santo da venerare, per cui manifestare, da osannare col telecomando in mano. Non ha mai detto di esserlo, non ha mai fatto credere di essere diverso da quello che oggi appare essere: un bravo giornalista, fazioso quanto basta, a volte un po' di più, un conduttore di trasmissioni di successo capaci di fidelizzare il pubblico, dunque di renderle appetibili per le inserzioni pubblicitarie.
Una sua importante funzione l'ha sempre avuta: mettere alla berlina i potenti, dicendo loro le cose che avremmo voluto dire noi, sbertucciandoli e svillaneggiandoli perfino di più del dovuto. Un bello sfogatoio, no? In fondo abbiamo bisogno anche di questo, specialmente in tempi difficili come questi, nei quali sono in pochi ad alzare la testa per trovare il coraggio di rischiare in proprio; meglio starsene a pontificare col telecomando gasandosi ora per il comico che dice cose serie, ora per il presentatore fattosi soggetto politico surrogato.
D'altra parte siamo in Italia, dove si governa per televisione e si fa l'opposizione nello stesso modo, a volte neanche specularmente. Un paese dove la politica, anche la nostra, non si fa discutendo e cercando le idee e le persone più idoneee a realizzare un progetto di trasformazione condiviso, ma tirando fuori ogni giorno il peggio che c'è in noi, come Berlusconi ci ha insegnato.

Un paese dove le regole valgono per gli altri e dove l'educazione è una cosa da checche, anche nelle trasmissioni maschie alla Santoro. Un paese dove guai a cambiare perché potrebbe non esserecene più per noi, un posto dove i giovani devono dipendere per sempre da mamma e papà e per farlo sono disposti a rincoglionirsi come e più di loro, insomma un posto dove ogni manifestazione pubblica di affermazione di valori e principi - sia politici che religiosi - finisce annegata nell'ipocrisia e nel "vai avanti tu, che poi arrivo".
Tra poco dovremo occuparci degli orfani di Santoro, alla ricerca di qualche nuovo guru che li illuda di vivere in un paese libero - che non li metta mai di fronte alla necessità di riflettere sul rapporto fra l'impegno personale e la coscienza collettiva  - e con un futuro radioso davanti. Dopo gli orfani di Santoro altri disillusi si accorgeranno che non basta la spocchia del puro a fare della purezza una virtù utile al progresso di tutti.
Sarà quello il giorno della vittoria definitiva del Berlusconismo e dell'altra faccia della stessa medaglia. Dai, non ci va più molto.

Mariano
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