Quindici anni e non li dimostra. Nel senso che, se ci si va a rileggere l’enorme quantità di articoli che i giornali nazionali e locali riservarono alla vicenda e lo si fa nascondendone la data, si pensa subito a una storia dei giorni nostri, simile a quella che da un paio di mesi agita la Campania o alle tante che albergano in tutta Italia e con sconcertante regolarità emergono dalla palude politica e sociale del Belpaese. Ma, come scritto in partenza, dai fatti di quello che venne definito “affaire Le Gru” sono invece passati ben quindici anni: l’arresto del sindaco di Grugliasco, Domenico Bernardi (Pds), il conseguente crollo di una classe politica e di un sistema di potere che aveva fatto della “Stalingrado d’Italia” un incubatore di malaffare, fino all’avvento di un nuovo modo di fare politica e amministrare la città. Un “new deal metropolitano” che ebbe come primo attore Mariano Turigliatto, eletto sindaco nella primavera del ’94 e confermato tale tre anni più tardi, dopo che l’intero arco costituzionale dei partiti presenti a Grugliasco (Pds compreso) lo aveva sgambettato con una vigliacca manovra di corridoio.
Mariano Turigliatto, spieghi a un alieno e in estrema sintesi, i tratti salienti dell’affaire le Gru.
“Quindici anni fa le confessioni di alcuni amministratori di Grugliasco squarciavano il sipario su un impasto di soldi e rapporti politici. Ne erano protagonisti personaggi di caratteri e orientamenti politici diversi, accomunati però da una cosa: un brodo unico e puzzolente nel quale cascavano con inesorabile regolarità”.
E fu terremoto…
“Sei arresti, in manette pure il sindaco eletto da appena dieci giorni, il Consiglio comunale sciolto prima ancora di essersi insediato, la nomina di un commissario prefettizio. Un vero shock. Di fatto si scoperchiò la pentola del brodo di cui sopra”.
Spianando la strada all’elezione di Turigliatto…
“Calma! La mia elezione fu molto sorprendente. Nessuno se la immaginava, tanto meno il sottoscritto. Ero convinto di andare del ballottaggio e alla vigilia mi sarei accontentato del 40 per cento dei voti. Il favorito era il candidato di Forza Italia, Bernardino Mussetto. Bisognava fare i conti con lui e con l’effetto novità che il partito del Cavaliere aveva appena scatenato”.
Invece.
“Accadde qualcosa di clamoroso e sbalorditivo allo stesso tempo. Quel giorno, oltre che per le Comunali, si votava anche per le le Europee: in queste ultime Forza Italia e Alleanza nazionale superarono il 50 per cento dei voti e distrussero i partiti storici di Grugliasco. Ma dallo scrutinio delle Comunali – avvenuto il giorno dopo quello delle Europee – uscì la sorpresa: io raccolsi il 52,1 per cento dei voti e fui eletto al primo turno. In sostanza, la gente votò diversamente per il Comune e si scelse il sindaco”.
Che, a sua volta, si scelse una Giunta fatta di nomi nuovi e destinata a cambiare il volto della città.
“Con delle premesse di questo tipo, il ruolo della Giunta comunale ne usciva rafforzato e a me veniva data l’opportunità di scegliere il meglio possibile nella qualità delle persone. In tempi di politica molto sfilacciata, la Giunta grugliaschese diventava un soggetto politico e rappresentava l’interesse collettivo. Ne facevano parte persone che avevano a che fare con i partiti - come Silvio Calvi - e altre che sposavano un’immensa preparazione politica alle grandi capacità professionali, è il caso di Guido Laganà, che non s’è ‘limitato’ a pensare il nuovo Piano regolatore della città, ma ha anche trovato il modo di realizzarlo e chiuderlo nel modo giusto.
Il compito dei sei assessori (gli altri quattro erano Elide Tisi, Teodoro Capannelli, Lorenzo Marinaccio e Gabriele Tolino) era quello di rivoltare il Comune come un calzino fino a sviluppare un modello amministrativo assolutamente nuovo. Per riuscirci era opportuno cogliere la separazione tra politica e tecnica, fare finalmente sì che il Comune fosse un elemento più vicino al cittadino e che soprattutto prendesse a funzionare meglio.
In questo modo, una macchina comunale finalmente motivata (e dimagrita, da 400 elementi passammo a 295) si era finalmente potuta dedicare a progetti importanti e gratificanti, Piano regolatore e Università su tutti”.
La novità maggiore di questo nuovo corso?
“La politica che non diventava più invasiva ma, al contrario, stabiliva regole con la massima trasparenza affinché le stesse venissero realizzate dalla macchina comunale. Un impianto che funziona se le figure di riferimento sono relativamente poche. Mi spiego: se l’interlocutore è il dirigente assunto a tempo indeterminato, ci sono maggiori possibilità di raggiungere l’obiettivo migliore perché quel dirigente ti può anche dire di no se ritiene sbagliata o insufficiente la proposta dell’amministratore. L’attuale boom di incarichi e consulenze comporta invece la presenza di vere coorti e non di una squadra utile al Comune”.
La forza della Giunta Turigliatto fu immediatamente visibile.
“Se ne rendevano maggiormente conto gli altri, quelli che cioè stavano all’esterno. Noi no, ne avevamo una percezione minore. Anche se un giorno, nel corso di una riunione un po’ tesa, un dirigente ci disse: ‘Lavorare con voi è come stare sulle montagne russe’. In effetti, noi ci sentivamo davvero lassù, animati da una duplice urgenza: dimostrare molto in fretta che quanto avevamo annunciato in sede di campagna elettorale era davvero realizzabile e, poi, risolvere emergenze piccole e grandi con soluzione innovative. Sia che si trattasse del centro commerciale “Le Gru” o di un lampione rotto, la modalità era quella di ricercare un sistema capace di affrontare categorie di problemi assimilabili. In questo senso, l’esempio dell’Ici fu eclatante: mezza Grugliasco riceveva cartelle esattoriali per errori, spesso commessi in buona fede, nella compilazione dei bollettini. Noi chiedemmo a una ventina di dipendenti comunali, che in questo modo potevano anche arrotondare lo stipendio, di occuparsi dei cittadini che a loro volta potevano ricevere a casa l’Ici correttamente compilata. Aderirono circa 12 mila persone, l’80 per cento dei contribuenti grugliaschesi. Un duplice successo: il Comune conosceva con precisione l’ammontare delle entrate, il cittadino sapeva di essere in regola e che in caso di errore ne avrebbe risposto il Comune.
Un altro esperimento riuscito fu quello nato dalla necessità di implementare i fondi sociali. Decidemmo che chi già riceveva un sussidio comunale dovesse prestare un certo numero di ore di servizio per il Comune stesso: in poco tempo la richiesta di sussidio calò del 75 per cento. Era evidente che chi riceveva quei soldi lavorava in realtà in nero. Questi soggetti rinunciarono al sussidio e noi destinammo quei soldi all’aiuto degli anziani alle prese con difficoltà nel pagare l’affitto. Fummo anche tra i primi a creare un Consorzio socio-assistenziale e ad adottare i mutui prima casa per i giovani”.
Con effetti che uscivano dai confini grugliaschesi.
“Altri Comuni bussavano alla nostra porta per chiederci aiuto o conoscere i dettagli di un provvedimento. Eravamo la dimostrazione che un’amministrazione viva può muovere la città. Non facevamo politica né di destra né di sinistra, anche se per trasparenza era sicuramente di sinistra, ma eravamo dalla parte della gente e la gente s’è adeguata alla svelta. La mia sensazione era quella che i grugliaschesi avessero cominciato a capire una cosa importante: conviene a tutti che il proprio Comune funzioni. Il Comune è la parte di Stato con cui la gente viene maggiormente a contatto e quando funziona riesce anche a trasmettere l’idea che lo Stato funzioni. Se tratti i cittadini con coscienza ed equità saranno proprio loro i primi a capire che Comune e Stato funzionanti sono una garanzia per tutti. Passare davanti agli altri, affidarsi ai favori è invece la strada sbagliata, ma purtroppo oggi più praticata”.
Cambiarono radicalmente anche il sistema di assegnazione degli appalti e la gestione dei relativi cantieri.
“I cantieri finivano tutti in anticipo: chi arrivava da fuori sapeva che con noi non si poteva scherzare e che le penali sarebbero scattate subito. Avevano tutti il timore di sgarrare e noi non andavamo a cena con nessuno. Solo i lavori della piscina ritardarono di un mese e io venni abbondantemente crocifisso. Oggi non vedo finire un cantiere senza cause o varianti e non ne vedo nessuno durare un anno anziché otto o dieci. Eppure le ditte non sono cambiate”.
Quindi quella magica spinta s’è esaurita?
“Quella tendenza s’è arrestata tra il ’98 e il ’99, da lì in poi s’è ahinoi tornati tutti indietro. La spinta non ha riguardato solo Grugliasco: nel nostro Paese c’è stato un momento in cui s’è registrata una ripartenza fatta di una potente iniezione di innovazione. Penso alla prima Giunta Castellani a Torino o al primo mandato romano di Rutelli, ma anche al lavoro della Provincia di Torino in materia di infrastrutture informatiche. Purtroppo questa stagione s’è conclusa troppo presto e l’involuzione ha preso la forma del ritorno alle coalizioni politiche mescolate ai pressappochismi. Oggi la politica si nutre di posti di sottogoverno moltiplicati all’infinito e capaci di innescare un ritorno al passato. Oggi a vivere di politica è una quantità sterminata di persone, di fatto una lobby potentissima. Oggi la pubblica amministrazione è tornata a essere il regno dell’arbitrio: non era più così”.
Purtroppo è cambiato anche il modo di essere dei politici.
“A una stagione di grandi individualità e spinta s’è sostituita una fase che ha prodotto un livellamento verso il basso. Anche in politica ed economia s’è tagliata la testa a tutti quelli che provavano a venire fuori. Oggi la maggiore preoccupazione di un politico è quella di farsi ricandidare, mentre chi ha capacità viene percepito come una minaccia. Uno troppo bravo rischia di fare ombra agli altri e perciò viene messo alla porta.
I politici di oggi hanno una ragione sociale differente dai politici di ieri. Questi ultimi avevano come obiettivo quello di essere eletti per mettere gambe a idee utili a un processo di trasformazione in grado di cambiare la città. Il politico di oggi ha il potere e lavora per mantenerlo, si muove poco e sposta ancor meno i piedi, si limita a mediare tra interessi diversi. Ieri la politica governava: gestiva, cambiava e innovava. Oggi è al servizio di altre attività e chi se ne occupa non fa che conciliare esigenze particolari. E’ un arbitro: l’interesse collettivo non se lo fila più nessuno”.
E sui giornali s’è tornato a leggere di vicende analoghe a quella di Grugliasco di quindici anni fa.
“L’affaire Le Gru contiene i paradigmi di tante altre storie, ne parlo senza l’intenzione di voler rivangare il passato ma solo perché mi sembra di rivivere lo stesso film. Con una differenza importante: allora persino uno come me, marginale alla scena politica di un certo tipo, tornava utile, perché la gente aveva comunque l’idea che si potesse cambiare. Oggi è più difficile perché la gente nutre una disaffezione totale e completa: nel 2009 la politica e i politici, fino a ieri ritenuti inutili, sono addirittura diventati dannosi. Anche oggi si parla di questione morale, ma i termini sono cambiati radicalmente per i politici e per gli elettori”.
Disaffezione per la politica e assuefazione ai danni che porta con sé. E’ un vicolo cieco?
“Confido nel fatto che cresca l’indignazione, di fatto l’unico sentimento che può produrre cambiamento. L’indignazione è un sentimento profondo, l’invidia invece è un’emozione e dura poco. Certo, sarebbe bello se cominciasse a prevalere la capacità: un politico è bravo anche se non ti piace. Invece nei Consigli comunali troviamo sempre più spesso persone di un certo tipo, scelte dall’elettore prima di tutto per comodità. Ma è come se l’ammalato si affidasse al medico più vicino e non a quello più bravo, una follia. Se a scuola cerco la maestra più brava, perché in Consiglio comunale non cerco il consigliere migliore? Per uscire da questo stallo abbiamo bisogno dei medici, delle maestre e dei consiglieri comunali migliori”.