di Paolo Turati
Ci si è da più parti interrogati sull'origine dell' attuale crisi finanziaria globale e le risposte consuete si sono concentrate sull'insolvenza di milioni di mutuatari immobiliari (non solo subprime, ma anche alt-a ed “ex” prime), che un' espansione del credito mondiale decennale ed una correlativa dinamica di tassi d'interesse epocalmente bassi aveva messo in condizione di osare un po' troppo. Altra ragione addotta, l'eccessiva proliferazione dei prodotti finanziari derivati. Certamente sono vere entrambe le cose, con la seconda (quella dei derivati, in cui sono stati impacchettati per cartolarizzarli molte centinaia di -ma, forse, anche più di mille- miliardi di dollari di controvalore), che deve ancora dare il "peggio" di se stessa: si pensi, infatti, che l'ammontare di tali prodotti in giro per il mondo ammonta, secondo le stime di Bankitalia, a 450 mila miliardi di dollari (provate a scrivere in cifre questo importo!), pari a dieci volte la somma dei controvalori monetari dei Pil annuali di tutte le nazioni. Va da sé che un "granellino" un po' più grande nell'ingranaggio e… saranno dolori quali non si può neppure immaginare, per questa nostra strana civiltà economica del Terzo Millennio in cui , ormai, si consuma per poter produrre anziché, come è sempre stato, produrre per consumare. Un problema corrente su cui si pone anche un certo rilievo risiede, ovviamente, nell'aumento dei prezzi petroliferi, susseguente l'incremento della domanda mondiale, e nell'induzione inflattiva da ciò determinata. Nello specifico questa circostanza avversa per l'economia mondiale presenta aspetti quantitativi sono davvero emblematici. Si pensi che solo Arabia Saudita e Kuwait incassano ogni giorno dalla vendita del petrolio a questi prezzi (105$ al barile) un miliardo e trecentomilioni di dollari: vuol dire oltre cinquecento miliardi di dollari l'anno, anziché poco più dei centoquaranta che (ripetiamo, da parte dei soli Arabia Saudita e Kuwait) sarebbe stati incassati con il petrolio a 30 dollari di qualche tempo fa. Si tratta di trecentosessanta miliardi di dollari annui sottratti ai consumi mondiali ed investiti, solo da questi due Paesi produttori di greggio, in attività finanziarie ad ampio raggio (non solo più Treasury bills ma anche Sovereigns wealth funds e prodotti finanziari anche derivati). Grazie a questo surplus, le nazioni petrolifere stanno assumendo un potere finanziario mondiale sempre più vasto, ancorché tendenzialmente localizzato nell'Africa mediterranea (dove, e infatti non è un caso, le borse stanno dando buoni risultati) . La liquidità che manca al sistema finanziario mondiale è ibernata lì: chissà se questa “glaciazione finanziaria” di origine petrolifera troverà qualcosa che la sciolga in tempo, prima che le conseguenze per la crescita mondiale o, quantomeno, per il suo equilibrio divengano irreparabili? Nessuno degli interlocutori con cui mi sono ultimamente confrontato (e parlo di soggetti con responsabilità ministeriali a livello internazionale, banchieri, docenti universitari, economisti e amministratori di multinazionali) ha saputo dare una risposta univoca a questa risposta. La mia sensazione è (ma, ripeto è una sensazione) che, per questa volta, forse, il sistema reggerà e che si recupererà una stabilità accettabile, pur “sottotracciata”, per qualche tempo. Poi, o si cambierà registro, e gli eccessi di cui si è accennato sopra verranno in qualche modo fatti rientrare, oppure il “big one” prossimo venturo sarà un terremoto finanziario che lascerà in piedi ben poco.
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