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(Non?)lasciatevi prendere dal panico.

di Paolo Turati

Un’osservazione sociologica ricorrente, avvertibile di solito durante le varie crisi che si sono manifestate nel corso della Storia della Finanza, ha per oggetto l’esternazione a profusione di pareri ed esortazioni tranquillizzanti da parte di esperti, autorità ed istituzioni. Operazione mediatica, questa, che pone, in primis e con una qualche apparente plausibilità, la propria logica nel far mantenere gli scambi sul mercato a livelli non troppo squilibrati, e cioè tali da non far esorbitare eccessivamente l’offerta rispetto alla domanda di azioni per non far scendere eccessivamente i prezzi. Ma qual è il costo di questo "non fatevi (seconda persona plurale…) prendere dal panico"?

Oppure di "i fondamentali dell’economia restano buoni": che è l’altra frase di circostanza di cui i "maggiorenti" abusano normalmente in tali situazioni?"Molto spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante" è la risposta che molti, non solo Mogol e Battisti, dovrebbero a volte (meglio:sempre, durante le crisi di rilevante gravità) dare a questi inviti "avveduti".

Avete mai sentito qualcuno che, dalla propria posizione istituzionale o di chiara fama nell’ambito del sistema finanziario, consigliasse di disfarsi dei titoli azionari presenti nei propri portafogli? Quasi mai. "Comprare", "guardare al lungo periodo" (cioè quando si è, alla fin fine, tutti morti) ma "vendere" mai.

Al di là della vena polemica chiaramente avvertibile in queste righe, ci si dovrebbe porre qualche domanda sulle motivazioni che portano a questi atteggiamenti. In particolare, considerando il fatto che la storia della finanza insegna che non è quasi mai troppo tardi per mettersi in salvo qualora, ovviamente, si prendano dei provvedimenti, magari dolorosi dal punto di vista sia pecuniario che emotivo, almeno un po’ tempestivi. Premesso che quanto stiamo dicendo non pretende di avere crismi di scientificità, ci permettiamo alcune osservazioni di buon senso tratte dall’esperienza spicciola degli ultimi ottant’anni di Borsa.

Osserviamo l’indice Mibtel dell’ultimo anno (ma lo stesso si potrebbe dire degli andamenti negativi della Borsa procedendo a ritroso dal 2001, "ex" 11 settembre). I primi scricchiolii, evidentissimi, dei problemi dell’economia mondiale si avvertivano già dieci mesi fa. Il Mibtel perdette circa il 10% in brevissimo tempo, poi recuperò buona parte del terreno, quindi ridiscese fino a perdere rispetto ai massimi di periodo circa il 15% nel corso dei due mesi successivi. Già allora erano evidenti gli squilibri economici globali e la crisi dei mutui, ma non ci si volle rendere conto della situazione. Le istituzioni monetarie e finanziarie intervennero cospicuamente e, in modo evidentemente artificioso (immettendo liquidità per centinaia di miliardi di euro), le Borse parvero recuperare. Palliativo inutile, ovviamente: con una classica discesa "a gradoni", oggi l’indice Mibtel accusa una perdita che si avvicina a una perdita di un quarto del proprio valore, rispetto ai massimi del 2007.

Non si vuole fare le sirene di sventura ed è plausibile che il caso non sia questo (oggi vigilano forti e strutturate autorità monetarie a livello internazionale allora inesistenti, benché, ed è cosa di cui tener conto, il "monte" dei rischi complessivi, -vedansi i prodotti "derivati"- sia enormemente superiore), ma si osservi la crisi del 1929 attraverso il grafico dell’indice Dow Jones.

La discesa "a gradoni" avrebbe permesso di disinvestire con perdite trascurabili (con gran parte degli investitori che, peraltro, erano ancora in utile, rispetto ai prezzi d"entrata") rispetto ai massimi del 1929 fino alla metà del 1930: poi, la discesa sarebbe proseguita inesorabile fino al 1932 (il periodo della Grande Depressione), con una perdita del 90% rispetto ai massimi del 1929. Ci si sarebbe potuti salvare, solo che l’ umanissima "auri sacra fames" e che i "consiglieri" (i giornali dell’epoca riportano i medesimi appelli da parte di specialisti ed autorità varie alla "calma e sangue freddo" di cui abbiamo parlato sopra) non fossero stati ascoltati.

Con tutto questo, non si vuole far rilevare la possibilità della replica di quella situazione drammatica. Le vicende e le circostanze, pur con matrici a volte comuni, in finanza sono molto "fluide". Pensiamo, non di meno, che la gran parte dei consigli rassicuranti siano in ottima buona fede. Tuttavia, dal momento che in finanza il valore aggiunto è sempre pari a zero (uno guadagna quello che un altro perde), non sarebbe male acquisire un po’ di senso critico anche in questo campo, specie tenendo conto della provenienza dei suggerimenti ( è ovvio che un dubbio legittimo s’insinua, in merito alla sussistenza dell’eventualità che qualcuno sia indotto a non vendere per

dar modo di farlo a qualcun altro ).

Insomma, che non diventi una regola, ma teniamo in considerazione, nel nostro "menù" comportamentale, anche la possibilità, in rarissimi casi, di "farsi prendere dal panico" negli investimenti, così come lo faremmo su un ponte che, sotto di noi, avvertissimo ondeggiare e che, ovviamente, abbandoneremmo, potendolo fare per tempo, in fratta e furia.

 
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