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OPINIONE: La sicurezza di carta.

di Giovanni Lava

La tragedia della ThyssenKrupp per la sua gravità ha colpito nel profondo la città di Torino come forse solo un’altra, quella del 13 febbraio 1983 al cinema Statuto. Allora le vittime furono 64 e quell’incendio cambiò per sempre il concetto di sicurezza nei locali pubblici. Sarà così anche questa volta? C’è da dubitarne, non fosse altro che i locali pubblici attengono al tempo libero, mentre i morti di oggi sono morti sul lavoro, una categoria quella del lavoro tenuta in scarsa considerazione se le cifre fornite dall’Eurispes dicono che ogni anno le vittime sono 1400, che si verifica un incidente ogni 15 lavoratori e un morto ogni 8.100 addetti.

Eppure se si consultano le norme della legge 626 del 1994 appare incredibile che tutto ciò possa accadere. La meticolosità dei precetti a cui è tenuto ogni datore di lavoro è tale da non lasciare nulla al caso. L’incidente dovrebbe essere un fatto eccezionale, frutto di una serie incredibile di eventi casuali e imponderabili. Evidentemente le norme dettate dalla legge, come tante altre in Italia, funzionano solo sulla carta, anche perché nei fatti più che a prevenire pare servano più a produrre montagne di carta e ricchi onorari per i consulenti a cui ogni datore di lavoro è costretto a ricorrere per ottemperare alla “relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro”.

Non c’è azienda pubblica o privata, piccola o grande che sia, che non debba ricorrere ad un consulente specializzato nella “Seiduesei”. In tutto ciò non vi sarebbe nulla da eccepire se poi il “piano” elaborato e conservato con cura nei capienti cassetti servisse a prevenire e garantire seriamente a tutti i lavoratori sicurezza e salute.

Nel corso della mia vita lavorativa di insegnante mi è toccato pure l’onere di ricoprire l’incarico di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, un figura prevista dalla 626 e dal contratto di lavoro. Così ho potuto toccare da vicino l’applicazione della legge. Tutto lo sforzo organizzativo e il tempo dedicato dal dirigente scolastico di turno è stato negli anni quello necessario alla redazione della relazione e degli atti burocratici con l’ausilio di un ingegnere consulente fiscalissimo. Fiscalissimo sulla carta, perché a fronte della segnalazione di rischi concreti – nella fattispecie la presenza di un’impresa che effettuava lavori durante le ore di lezione con attrezzature e cavi elettrici nel corridoio dove transitavano gli allievi – affermava che se su di un cantiere edile si volessero rispettare tutte le norme previste della legge, non si muoverebbe più un mattone. La cosa mi ha colpito, perché non faceva che confermare il sospetto che anche dopo la 626 la realtà della sicurezza sui posti di lavoro fosse né più e né meno quella di prima, tranne che per la mole di carta che lasciava dietro di sé. È sempre sbagliato fare di ogni erba un fascio, non fosse che il numero di vittime che il lavoro lascia dietro di sé parrebbe dire l’opposto. Quello che manca in questo come in altri settori non sono le norme, sempre migliorabili, quanto la serietà nell’applicarle.

 
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