Capacità di spesa in diminuzione, lavori sempre più precari e sottopagati, prestazioni e orari subordinati ai capricci dei datori, condizioni di salute dei "poveri" in picchiata, diritti anche peggio, istituzioni sociali sciatte e sfatte, servizi alla persona autoreferenziali e buoni per pagare gli stipendi a quelli che ci lavorano. Degrado economico, povertà culturale e mancanza di speranza, tutti avvoltolati fra loro a segnare il senso di un'epoca strana, quella dell'abbondanza: di cibo, di cose e di informazioni.
A volte l'impressione di una società "strappata" è appena mitigata dal persistere di qualche isola felice nel mare della bassa mediocrità , adeguatamente celebrata dai mass media nel tentativo di distogliere l'attenzione dal disastro di una burocratizzazione "stupida"che tutto complica e tutto rende difficile, a partire dalla vita dei poveracci. E' costruita nell'anarchia dei servizi pubblici, governati da politici di infima qualità , diretta da dirigenti senza responsabilità e gestita prevalentemente da persone che si ricordano dei doveri solo quando trattano quelli degli altri.
I poveri di oggi - non dissimilmente da quelli del passato, ma forse in modo più intenso e insopportabile - sono spesso anche brutti, sporchi e cattivi: non si sa se sia la causa o l'effetto dell'indigenza, forse tutte e due le cose. Sono di nuovo tanti. Molti siamo noi, che poveri non lo siamo mai stati e che mai avremmo pensato di diventarlo. Oggi si fa in fretta a finire laggiù., si fa in fretta anche a capire che risalire è talmente dura che forse non vale neanche la pena di provarci.
Quelli che hanno più di 40 anni sanno che non è sempre stato così e che alle nostre latitudini, per trovare un mondo ingiusto come quello d'oggi bisogna tornare indietro di almeno 70/80 anni.
I poveri di oggi - non dissimilmente da quelli del passato, ma forse in modo più intenso e insopportabile - sono spesso anche brutti, sporchi e cattivi: non si sa se sia la causa o l'effetto dell'indigenza, forse tutte e due le cose. Sono di nuovo tanti. Molti siamo noi, che poveri non lo siamo mai stati e che mai avremmo pensato di diventarlo. Oggi si fa in fretta a finire laggiù., si fa in fretta anche a capire che risalire è talmente dura che forse non vale neanche la pena di provarci.
Quelli che hanno più di 40 anni sanno che non è sempre stato così e che alle nostre latitudini, per trovare un mondo ingiusto come quello d'oggi bisogna tornare indietro di almeno 70/80 anni.
L'Italia che esce dalla seconda guerra mondiale è un paese in cui i tanti poveri, allo stremo, possono ricorrere alla carità : enti benefici - soprattutto religiosi, molti di antica tradizione - si occupano di raccogliere risorse e di ridistribuirle in iniziative caritatevoli. In primis "dar da mangiare agli affamati", ma poi anche sostegno alle famiglie in difficoltà (es. i pacchi viveri), l'apertura di dormitori per i senzatetto, l'applicazione della carità nell'inserimento di allievi indigenti nelle scuole per le élites e via un fiorire di iniziative tendenti a prestare all'individuo "fuori dalla società " qualche strumento per rientrarci, provando a portarlo al livello di quelli che nella società ci stanno.
E' anche questo la dottrina sociale della Chiesa. Fare la carità e contrastare l'avanzata della secolarizzazione della società , ancora più allarmante se condita dalle rivendicazioni e dalle idee socialiste e comuniste, dall'attività di organizzazione e rivendicazione dei sindacati.
Bisogna evitare che il socialismo e il comunismo rappresentino l'unica speranza concreta per il vecchio e nuovo proletariato urbano, quello che si forma col boom economico e le ondate migratorie interne degli anni '50 e '60. Nelle fabbriche, negli uffici, nelle grandi concentrazioni di persone che lavorano insieme crescono potenti movimenti e culture che chiedono allo stato di operare per la riduzione delle diseguaglianze.
Servizi sociali, istruzione, sanità , avviamento al lavoro, investimenti per produrre, edilizia sociale e via discorrendo diventano i capisaldi di quello stato sociale che porta all'interno di un paese capitalista saldamente nell'orbita degli USA quegli elementi di socialismo e di comunitarismo che servono a tenere le sinistre all'opposizione per decenni. Però servono anche a dare al paese gli elementi per crescere senza troppi conflitti e diseguaglianze nella modernizzazione rapida che ne cambia i caratteri, almeno nelle regioni del centro-nord.
Della carità non c'è quasi più bisogno: ci pensa lo Stato attraverso le sue articolazioni che spendono le risorse pubbliche. La carità che resta si riversa verso quella parte della popolazione (minima, ma davvero bisognosa) che è esclusa da tutto questo: famiglie con problematiche da far impazzire chiunque, nuovi arrivati ancora senza casa, appoggio, senso della collettività , strumenti per l'inclusione. La maggior parte dei "poveri", comunque, ha smesso di esserlo: lavoro, casa, istruzione per i figli, assistenza nella malattie, copertura per le difficoltà .
Tutto comincia a cambiare meno di trent'anni fa: non c'è più il pericolo del comunismo, dunque non è più necessario spendere soldi per evitare che le sue idee e le aspirazioni facciano proseliti. Di dimostrarne il fallimento se ne è occupata la storia. In più, i soldi dei bilanci nazionali - Italia compresa - cominciano a registrare tagli alla spesa sociale, a favore di investimenti che dovrebbero garantire benessere e sviluppo economico ulteriore. Per mascherare l'involuzione, l'attività di assistenza e sostegno al benessere della popolazione prende un nuovo nome: welfare.
Fine dello stato sociale: costa troppo e non ce n'è più bisogno. Meglio una sana integrazione fra le iniziative del pubblico, quelle dei privati e delle associazioni caritatevoli o solidaristiche. Cominciamo a pagare ticket sanitari non simbolici (mentre paghiamo il sistema sanitario con esose trattenute in busta paga), cominciamo a vedere che chi in difficoltà e va dall'assistente sociale - invece che un aiuto alla risoluzione del problema - riceve parole di conforto e l'indicazione di rivolgersi a qualche ente (privato) di carità . Trovare un lavoro è solo se conosci o se godi di qualche agevolazione fiscale o accetti condizioni da schiavo; a scuola si cominciano a pagare le prestazioni che la qualificano, di case popolari nuove neanche a parlarne, di affitti accettabili lo stesso.
Il welfare era una bufala, il disimpegno dello stato continua, risorse non ce ne sono più. La burocrazia distrugge le residue possibilità e l'interpretazione ottusa delle norme da parte di funzionari sciatti fa il resto.
Siamo tornati alla carità , il cerchio si è chiuso. Solo che siamo tutti più poveri e incattiviti, le risorse non bastano a tappare le falle di un paese che non sa più da dove viene. Anni di incultura hanno indotto tutti a pensare che, se da qualche parte arriveremo, sarà da soli e comodamente seduti sulle spalle del vicino di casa o del collega di lavoro.
Mariano
Servizi sociali, istruzione, sanità , avviamento al lavoro, investimenti per produrre, edilizia sociale e via discorrendo diventano i capisaldi di quello stato sociale che porta all'interno di un paese capitalista saldamente nell'orbita degli USA quegli elementi di socialismo e di comunitarismo che servono a tenere le sinistre all'opposizione per decenni. Però servono anche a dare al paese gli elementi per crescere senza troppi conflitti e diseguaglianze nella modernizzazione rapida che ne cambia i caratteri, almeno nelle regioni del centro-nord.
Della carità non c'è quasi più bisogno: ci pensa lo Stato attraverso le sue articolazioni che spendono le risorse pubbliche. La carità che resta si riversa verso quella parte della popolazione (minima, ma davvero bisognosa) che è esclusa da tutto questo: famiglie con problematiche da far impazzire chiunque, nuovi arrivati ancora senza casa, appoggio, senso della collettività , strumenti per l'inclusione. La maggior parte dei "poveri", comunque, ha smesso di esserlo: lavoro, casa, istruzione per i figli, assistenza nella malattie, copertura per le difficoltà .
Tutto comincia a cambiare meno di trent'anni fa: non c'è più il pericolo del comunismo, dunque non è più necessario spendere soldi per evitare che le sue idee e le aspirazioni facciano proseliti. Di dimostrarne il fallimento se ne è occupata la storia. In più, i soldi dei bilanci nazionali - Italia compresa - cominciano a registrare tagli alla spesa sociale, a favore di investimenti che dovrebbero garantire benessere e sviluppo economico ulteriore. Per mascherare l'involuzione, l'attività di assistenza e sostegno al benessere della popolazione prende un nuovo nome: welfare.
Fine dello stato sociale: costa troppo e non ce n'è più bisogno. Meglio una sana integrazione fra le iniziative del pubblico, quelle dei privati e delle associazioni caritatevoli o solidaristiche. Cominciamo a pagare ticket sanitari non simbolici (mentre paghiamo il sistema sanitario con esose trattenute in busta paga), cominciamo a vedere che chi in difficoltà e va dall'assistente sociale - invece che un aiuto alla risoluzione del problema - riceve parole di conforto e l'indicazione di rivolgersi a qualche ente (privato) di carità . Trovare un lavoro è solo se conosci o se godi di qualche agevolazione fiscale o accetti condizioni da schiavo; a scuola si cominciano a pagare le prestazioni che la qualificano, di case popolari nuove neanche a parlarne, di affitti accettabili lo stesso.
Il welfare era una bufala, il disimpegno dello stato continua, risorse non ce ne sono più. La burocrazia distrugge le residue possibilità e l'interpretazione ottusa delle norme da parte di funzionari sciatti fa il resto.
Siamo tornati alla carità , il cerchio si è chiuso. Solo che siamo tutti più poveri e incattiviti, le risorse non bastano a tappare le falle di un paese che non sa più da dove viene. Anni di incultura hanno indotto tutti a pensare che, se da qualche parte arriveremo, sarà da soli e comodamente seduti sulle spalle del vicino di casa o del collega di lavoro.
Mariano