Fare parte di una Commissione degli Esami di Stato è sempre un'esperienza istruttiva. Se poi i candidati provengono dai corsi serali di un istituto tecnico industriale, ancora di più...
Alvin è nato qui da genitori filippini. Sono tornati al loro paese per tutta la sua infanzia, poi di nuovo in Italia. Ha 25 anni, lavora in una piccola fabbrica, fra due settimana va nelle Filippine per sposarsi con la sua fidanzata. Lui ha la cittadinanza italiana, ci ha messo otto anni ad averla, altroché ius soli. Faranno le carte all'Ambasciata subito dopo il matrimonio, così sua moglie potrà tornare in Italia con lui. Parla l'italiano abbastanza bene, ma non riesce a liberarsi da quella inflessione strana e dai conflitti con la sintassi. Ha preparato un lavoro sul motore a reazione - c'è anche un pezzo in inglese - e costruito collegamenti con storia e letteratura. Sostiene i suoi 45 minuti abbondanti di colloquio con una trepidazione che la respiri insieme all'aria rovente dell'aula.
Assiste al suo colloquio Ivan, romeno in Italia fin da piccolo, bravissimo, con una testa e una determinazione che suscitano l'ammirazione della commissione tutta. Lui è già passato e ha ricevuto complimenti e apprezzamenti, forse superati solo da quelli indirizzati al suo connazionale Rob: colloquio superlativo, preparazione impeccabile, inglese fluente, competenza a piene mani e umiltà che non si vede più in Italia da anni.
Anche Pino, italianissimo e tatuatissimo, 35 anni, al lavoro da 17, ha fatto una figura spettacolare.
Ce l'ha messa tutta, lo sforzo traspariva dallo sguardo inquieto e preoccupato, e ha indotto anche i più critici fra i commissari a sorvolare sulle piccole imprecisioni del suo capolavoro scolastico. Come lui, una bella fetta della popolazione italiana della classe serale. Ovviamente con le normali eccezioni, anche queste caratteristiche del nostro paese stordito: lavativi che, pur non lavorando, non hanno trovato il tempo di preparare un argomento, confidando nella clemenza della commissione; giovanotti abituati al piccolo cabotaggio e dunque incapaci di organizzare uno sforzo supplementare per fare bella figura e strappare un bel voto alla fine del loro corso di studi. Insomma, il solito. Solo che qui - a differenza di quanto sembrerebbe essere nel nostro paese - sono una netta minoranza.
Italiani e stranieri a scuola dopo una giornata di lavoro, gli scaffalisti pronti ad andarci all'uscita da scuola per fare la nottata, così che possiamo trovare i prodotti al posto giusto il giorno dopo. I disoccupati a ingegnarsi per trovarne uno, gli sfaticati a scansarlo se mai arrivasse.
Bello sentire i loro docenti (i membri interni, in burocratese), quasi tutti ingegneri, parlare di loro, raccontare di come hanno frequentato, sera dopo sera, di come hanno contribuito a costruire le persone che sono. Orgogliosi, i docenti, di quello che sono riusciti a fare, fieri degli allievi come se fossero figli loro.
Tutto bello? No. La scuola serale è costantemente in discussione, si va avanti fra mille fatiche e aprire corsi è molto più difficile che chiuderli. I lavoratori - quelli che alle serali ci andavano per migliorare la loro condizione in azienda, per fare carriera - non ci sono quasi più. Il lavoro è volatile, gli orari anche, le condizioni pure e qualche dubbio serpeggia nella testa anche dei più motivati: non sarà che quell'ascensore sociale non funziona più?
Ai tempi di Donnarumma, per fortuna, c'è ancora chi ci crede e ci prova. La scuola serve al paese reale, i corsi serali - oltre che utili per chi li frequenta - sono anche integrazione e cittadinanza in un paese perso dietro chimere distanti anni luce dalla vita reale dei suoi abitanti.
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