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LE MEMORIA DEGLI INSEGNANTI

Si/ti ricorda/i di me? Questa domanda gli insegnanti stagionati e stanziali se la sentono fare centinaia di volte e con sempre maggiore frequenza da vecchi. Come funziona la memoria degli insegnanti?
Che tu sia stato il loro maestro alle elementari, che tu li abbia avuti per un intero quinquennio alle superiori - o magari anche solo per un anno - dei tuoi studenti non puoi dimenticarti. Magari non li riconosci perché sono cresciuti e, alcuni in particolare, sono cambiati davvero tantissimo. Magari gli sei passato accanto chissà quante volte e non hai fatto mostra di riconoscerli; loro, intimiditi, non hanno osato fermarti per un saluto, temono che tu non ti ricordi di loro.
Come se "riconoscere" fosse la stessa cosa di "ricordare". Un insegnante mediamente interessato al suo lavoro può non riconoscere (sovente accade), ma difficilmente gli capita di non ricordare uno studente. A volte ha bisogno di sentirsi dare da lui/lei le coordinate (anno scolastico, classe, contesto), ma poi ricorda, eccome se ricorda...
Ricorda aspetti e situazioni di cui spesso lo studente non ha più memoria: un colloquio coi suoi genitori, un episodio divertente o un momento drammatico. Magari ricorda quella volta che l'ha colto impreparato e gli ha messo un bel due, oppure le nottate nei corridoi durante le gite scolastiche a tenere a bada lui/lei e i suoi compagni adolescenti in overdose ormonale. Può darsi che ricordi un aspetto, l'emozione di un minuto, la parola detta quella volta, o anche una sua amicizia passata, di cui si informa quanto incontra un suo allievo decine di anni dopo.
Difficilmente gli insegnanti ricordano per classe, anno scolastico, materia, nemmeno ricordano per profitto o comportamento. Per la classificazione della memoria ci sono gli annuari scolastici o anche facebook, ci sono i registri cartacei di un tempo, perfino gli appunti e i compiti conservati religiosamente: non si sa mai, possono tornare utili per un'altra classe, per un'altro giro di voti. La memoria degli insegnanti funziona un po' come quella del giovane Proust, le sue madeleinettes sono l'equivalente dei giovani virgulti che ritrovi un giorno per strada attempati cinquantenni con prole già grande, una vita dopo. Ti fermano, ti volti e... scatta qualcosa: un odore, una parola, una scena, un quadro, una sensazione, una scintilla. Torni indietro con la mente e ti ricordi.
Perché è difficile non conservare niente di persone con le quali hai trascorso giornate, settimane, mesi, anni; persone che si sono affidate completamente a te; con cui anche tu hai fatto esperienze che ti hanno cambiato, Con cui hai condiviso il mistero dell'imparare, accorgendoti che, quasi di punto in bianco, quello che ieri non sapevano oggi lo sanno. Gente che ti ha amato e odiato con la stessa intensità, che qualche volta ti ha imitato, che spesso ti ha aperto il cuore e l'anima per scacciare le solitudini dell'esistenza. Persone con cui magari per breve tempo sei stato in empatia e verso le quali porti la responsabilità di ciò che hai fatto, ma soprattutto di quello che non hai fatto pur potendolo fare.
Poi, appunto li incontri. In poche parole ti raccontano cosa sono diventati. Scopri che non avevi capito nulla quando, da giovani, profetizzavi sul loro futuro. Hanno preso strade differenti, ti raccontano dei loro compagni sfigati, di quello che è morto in un incidente d'auto, dell'altro simpaticone che è caduto da un ponteggio, di chi ha sbiellato, di chi ha fatto strada. Anche loro ricordano, ti raccontano un episodio dei tempi passati insieme e scopri che cosa di quelle esperienze li ha segnati nella vita.
La memoria degli studenti funziona come quella degli insegnanti. Che non dovrebbero dimenticarsi mai dei segni che lasciano e che perciò dovrebbero fare di tutto per lasciarli belli e aperti.
Mariano

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