La crisi finanziaria in corso e i collassi che ciclicamente coinvolgono le borse di importanti paesi sono più che scricchiolii. Potrebbero essere il segno della fine di un'epoca e dell'inizio di una nuova stagione della storia, non solo economica, dell'umanità intera. Sarebbe difficile spiegare, sennò, come sia possibile che un'economia - dipinta da tutti gli esperti come la locomotiva del mondo - in pochi giorni riveli una fragilità così accentuata da far temere la fine di un sistema politico, quello cinese, sopravvissuto a tre rivoluzioni e a cataclismi di portata epocale. Un'economia oltretutto capace di incidere complessivamente sul valore delle monete e sull'equilibrio dei cambi di tutto il pianeta.
Due mesi fa il primo mondo si occupava del debito pubblico della Grecia e delle vendette tedesche per gli affronti subiti - utili per mostrare al mondo cosa sia diventare l'UE, ma inutili ai fini di migliorare la vita delle persone, ovvero l'obiettivo di qualunque visione politica da che esiste la parola e l'attività umana -, fingeva di commuoversi per la mattanza dei migranti e si preoccupava per le oscillazioni del cambio fra il dollaro e l'euro per via delle manovre della Banca Europea. Nel mentre si formava nella borsa di Shanghai l'ennesima bolla finanziaria, che esplode adesso, sul finire dell'estate, bruciando soldi, speranze, velleità , ma soprattutto persone.
Si finge spesso che queste siano questioni dei finanzieri, di investitori in borsa, di giocatori d'azzardo che debbono mettere nel conto tracolli e successi; invece chi la paga più cara sono quelli che le borse nemmeno sanno cosa sono. Poco importa la nazionalità , molto importa la classe sociale di appartenenza, perché le differenze di classi ci sono, eccome!
Sono il prodotto di un mondo dove la forbice fra i ricchi e i poveri, fra gli abbienti e gli indigenti si è costantemente allargata negli ultimi trent'anni e in ogni paese, fino a diventare la voragine che è oggi: i molto ricchi lo sono talmente tanto che non sanno più che farsene dei soldi accumulati: li danno in beneficienza o li reinvestono in attività finanziarie, non in produzione, così che le risorse disponibili a far muovere l'economia reale sono sempre meno. Meno danaro disponibile all'economia significa meno stipendi, investimenti produttivi, meno commercio, meno...
Nel piccolo, la crisi greca ci ha insegnato questo: ogni prestito al paese serve in gran parte non già a realizzare investimenti e spese che fanno circolare moneta, ma a pagare interessi e debiti pregressi che nulla incidono nel benessere complessivo del paese e dei suoi cittadini, anzi. In questi ultimi mesi si è chiarito che il problema dei Greci non è se pagare o no i debiti contratti irresponsabilmente dai loro governi per costruire per il paese uno stile di vita insostenibile, semmai quello di riuscire a ripartire per trovare risorse (umane e finanziarie) utili a rientrare almeno in parte del debito stesso. Tutto questo nonostante i vincoli internazionali e le compatibilità stabilite (che paradosso!) da quegli stessi istituti che, nel passato recente, hanno incoraggiato all'indebitamento e alla dissipazione delle risorse pubbliche.
Poi arriva il tracollo delle borse cinesi ed è sempre più chiaro che un ordine che ha funzionato finora è in forte crisi: difficile dire se si stia avverando la profezia del capitalismo che mangia se stesso, certo è che sappiamo con certezza che il mitico "mercato" non sa regolarsi proprio per nulla. Questo compito dovrebbe svolgerlo la politica, ma non lo fa più; quando è almeno accettabile si occupa di diritti civili e sta ben lontana dalle borse e dal mondo della finanza. Quando è "normale" rappresenta le lobbies economiche e finanziarie, cercando fra loro un equilibrio che gratifichi le carriere dei politici e curi adeguatamente gli interessi dei referenti economici.
Da noi non è neanche normale, ma questa non è un'anomalia solo italiana. Di fronte all'avvicinarsi del baratro - o anche solo della fine di questo sistema, economico, politico, sociale - le inadeguatezze e le pochezze di un ceto politico, selezionato non sulla base del coraggio della lungimiranza e del senso dello Stato, emergono in tutta la loro drammaticità . Siamo in ottima compagnia in quanto a incapacità e codardia, solo che gli altri paesi europei possono contare su un tessuto sociale e civile meno sfilacciato del nostro. E non è poco.
Mariano