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AMARAMENTE di F. Maletti

Una splendida riflessione intorno a una dolore personale fa emergere con formidabile chiarezza i guasti della furbizia italica e il pegno che pagano i nostri figli per questa incoscienza dei padri.
Emigrare per sperare
Mentre mio figlio riparte per l’Australia dopo un breve rientro, per andare incontro a quel lavoro che gli consente l’indipendenza economica che qui è inutile cercare, mi viene da pensare che quasi ventimila chilometri sono ormai il prezzo da pagare se un giovane vuole preservare la propria dignità.
Sorrido pensando a tutte le discussioni che si fanno intorno all’articolo diciotto circa la libertà di licenziare. Una volta i licenziamenti si facevano caricando la gente sui bastimenti e mandandola in America. Oggi invece si parte alla spicciolata: magari con l’arricchimento di un titolo di studio, con delle capacità professionali, con anni di istruzione che qui servono a niente. Ma sempre di “licenziamento” si tratta: è quello di una società che di te come lavoratore non sa che farsene. Vai bene e sei tollerato soltanto se spendi e consumi. Ma con i soldi di chi se non hai un lavoro?

Nel mondo siamo tanti. Sette miliardi e forse più. La velocità dei collegamenti ci schiaccia l’un l’altro, dandoci quasi l’impressione di essere sulla Terra molto più di quanti siamo realmente. La “massa” si è sostituita all’individuo. L’individualismo è morto. Oppure sopravvive in qualche sperduta parte del mondo. I burattinai della finanza muovono i loro fili invisibili, spostando rapidamente i capitali e distruggendo le economie di intere Nazioni a loro piacimento. La Politica è impotente, e, quando non asseconda il potere finanziario, poco o nulla fa per renderlo umanamente sopportabile.

L’uomo non progredisce attraverso la soluzione dei problemi, ma attraverso il mutamento degli obiettivi” scriveva Dahrendorf già nel 1990. Oggi invece mi sembra che il governo Monti, al quale va dato il merito di avere salvato l’Italia dal cancro che la stava uccidendo, sia così occupato nella soluzione dei problemi da dare l’impressione di non avere alcuna idea circa nuovi obiettivi da raggiungere. E quello che comincio a temere è che il suo compito si limiti alla sola “soluzione dei problemi”, lasciando invariato tutto il resto.

Il sindacato tende a tutelare esclusivamente i propri iscritti, mettendosi di traverso se necessario, con una esibizione di conservatorismo basato su vecchi stereotipi che vedono nel “padrone” il nemico dei lavoratori, e nello Stato quello che deve provvedere sempre e comunque: perché “il posto di lavoro, una volta che lo si ha, nessuno te lo può togliere…”. Peccato che, in questo modo, posti di lavoro inesistenti vengano mantenuti a spese della collettività. Mentre altri, speranzosi, fanno la fila per raggiungere lo stesso obiettivo del lavoro sicuro e garantito per sempre.

Ci vorrebbe un po’ di solidarietà tra tutti noi, anche tra lavoratori e datori di lavoro. Riflettendo magari sul fatto che a volte “solidarietà” significa anche rinunciare a qualcosa in favore di qualcun altro, senza preoccuparsi troppo su “chi ci guadagna e chi ci perde nel cambio”. Nella parabola del buon Samaritano descritta dal Vangelo, ad esempio, il povero viene soccorso in quanto bisognoso di aiuto: e non perché era una persona perbene piuttosto che un ladro…
La solidarietà, se è un sacco vuoto non regge. La solidarietà deve essere una scelta economica, e non soltanto un “momento morale”. Ma, soprattutto, “solidarietà” significa uscire dall’individualismo e dalla convinzione che “ognuno trova la soluzione arrangiandosi come può”: magari a discapito di altri, magari anche in modo illecito. Un po’ come nei film di Alberto Sordi, un po’ come nella vita vera di Berlusconi.

Amaramente, concludo che non esiste cambiamento in Italia che non parta da noi stessi, da ciascuno di noi. Smettiamola quindi di pensare che con la furbizia “l’italiano si salva sempre”. La furbizia è l’utilizzo della intelligenza a fini maligni. Per vedere fin dove siamo arrivati utilizzando questo sistema basta guardarsi intorno...

Aprile 2012 F. Maletti
franco.maletti@libero.it
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