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PENSIONI IN BURLA

Invece di prenderla sul generale, provo a raccontare il mio caso…
Io, “giovane” aspirante pensionato

student-job-search-02 In questi giorni se ne sentono di tutti i colori intorno a questo fatidico Decreto per lo Sviluppo che, per ora, ha fatto sviluppare solo la diffidenza degli Italiani nei confronti di un governo di incapaci e di fannulloni. Dell’opposizione meglio tacere.
Sono di nuovo sotto attacco le pensioni, con discorsi fumosi, barricate incomprensibili e improvvisi cedimenti altrettanto “sospetti”. Il tema è noto e non lo riprendo qui, voglio provare a spiegare cosa penso usando il mio caso come paradigma di un sentire che credo essere parecchio diffuso, anche se non maggioritario.

Ho appena compiuto 57 anni e l’anno prossimo, quando ne avrò 58, maturerò il diritto ad andare in pensione con 40 anni di contributi (preciso che li ho lavorati tutti, tranne quello del servizio militare e i cinque di consigliere regionale, non ho riscattato altro). La somma dell’età anagrafica e degli anni di lavoro allora farà 98, dunque potrei ancora rientrare fra quelli che non verrebbero toccati da un eventuale innalzamento dell’età pensionabile (si parla di 97 come somma-limite). Vedremo.

Se mi si chiedesse di ritardare l’andata in pensione per contribuire a costruire un fondo per l’occupazione giovanile di qualità (lavoro qualificato, contratti veri, nessuna scorciatoia per gli imprenditori disonesti) accetterei.
Ciò nonostante abbia un sacco di attività da coltivare che svilupperei meglio in pensione.
Considero un mio dovere – dopo essermi occupato di giovani per tutta la vita – fare la mia parte per cambiare strada e fare un’Italia dove chi può si occupa degli altri e non sempre e solo di se stesso. Ho la fortuna di avere un lavoro che mi appassiona, oggi come un tempo,  e sarebbe davvero poca fatica prolungare la mia permanenza in cattedra, se questo servisse a un governo credibile per fare cose importanti e credibili per le generazioni che verranno.

Penso che i risparmi sulla mia “mancata” pensione potrebbero essere adoperati non per mandare ragazzi a lavorare con forma atipiche, magari in settori senza futuro e qualificazione, ma per aiutare chi ci crede a rilanciare ricerca, innovazione, imprenditorialità, occupazione dipendente dinamica e responsabilizzante.
Temo che “aiutare i giovani” per troppi Italiani voglia ancora dire “cercare raccomandazioni per i propri figli”, vendersi per una promessa, incitare i pargoli e le pargolette a cercare scorciatoie degradanti. Per questo temo che uno slancio di coesione e di solidarietà fra le generazioni sarà difficile da realizzare.

Se lo fosse, non saremmo a questo punto. Soprattutto non saremmo Italiani, ma bisogna crederci e provarci, chissà…

Mariano
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