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150: RETORICA, CELEBRAZIONI E MEMORIA

Sul tema un interessante contributo che un amico, Franco Maletti, ha voluto inviarmi e  che molto volentieri pubblico.

L'incipit del ricordo
Oggi intervenire su qualunque argomento dicendo “ricordo”, (o ancor peggio “ai miei tempi”), è un pessimo incipit: viviamo infatti in una società senza ricordi. E nella quale addirittura si “rifiutano” i ricordi.
La dimostrazione di quanto ciò sia vero è possibile sperimentarla ad esempio ascoltando in televisione, durante i telegiornali, le dichiarazioni solenni dei vari portavoce politici, (in particolare del centrodestra e a partire dal Premier): sono così certi che la gente non ricorda più quello che è stato detto, anche solo il giorno prima, da essere in grado di sostenere l’esatto opposto a seconda della convenienza del momento…

Senza i ricordi, è come se la intera società vivesse “sospesa”, attimo per attimo: senza passato e senza futuro. Ma, soprattutto, senza cultura (intendendo per cultura quel “complesso di cognizioni, di tradizioni, di procedimenti tecnici, comportamenti e simili, trasmessi e usati sistematicamente, caratteristico di un popolo, o dell’intera umanità”. Infatti, la cultura e la civiltà sono visti come due processi paralleli: “la cultura comprendendo le manifestazioni creative e quindi i valori di ogni società, e la civiltà coincidendo con il progresso tecnico e scientifico”).
Ma cosa è che oggi forma la cultura di una persona: quello che “dice” la televisione ed in particolare il telegiornale? Quello che si ascolta nelle chiacchiere da bar? Le battute tra colleghi di lavoro? (Partecipare alle riunioni è considerato noioso e stancante: meglio piuttosto i talk show).

Può bastare alle persone una cultura “fresca di giornata”, propinata dalla televisione come notizia senza riferimenti storici, ma attenta alle volontà del politico emergente del momento?

Se si “dimenticano” i ricordi, come si può agire correttamente, comprendendo tutto quello che si fa? Come si può avere la consapevolezza che questo “fare” è utile a qualcosa o qualcuno? (Ma, soprattutto agli altri: dai quali magari si è stati eletti e si dovrebbe degnamente rappresentarli)?

Se oggi esistesse ancora la cultura, della cui formazione i ricordi sono fondamentali, le contraddizioni comportamentali di certi uomini politici verrebbero subito a galla. E, con esse, verrebbero evidenziate una totale mancanza di valori e di senso etico: in certi casi, una vergognosa e colpevole (perché voluta) mancanza di cultura.

Al punto in cui siamo, oggi “cultura” significa in particolare: fidarsi mai di tutto quello che sembra.

Infatti, se è vero che “un vincente si assume un impegno, mentre un perdente fa delle promesse” (F.Tjiangaete ) questo vuole anche dire che se ci si fida di tutto quello che “sembra”, si finisce inevitabilmente col far coincidere quello che sembra con quello che “è”. Con il risultato, catastrofico ma a tutti evidente che in politica, ad esempio, il perdente che fa le promesse diventa il vincente ormai da sedici anni…

“Un popolo è maturo se giudica i politici per ciò che fanno, e non per quel che dicono o per il colore cui appartengono” (Ols Eman). Ma come arrivare a questo senza la cultura del ricordo?

Ad esempio, la proverbiale superiorità culturale dei Gesuiti deriva dall’apprendimento, il cui metodo è fondato sul “magis” ( o “superiorità qualitativa”). Derivante da una formula che può riassumere da sola il termine “cultura”: Ascolto e Dimentico, Vedo e Ricordo, Faccio e Capisco. E allora come può un popolo come il nostro avere qualche speranza di futuro se si rifiuta di ascoltare e di ricordare?

Senza il ricordo, anche il senso della morale e della giustizia scompaiono. Perché ognuno si sente e si considera libero di fare quello che vuole. Ma tutto questo non può essere chiamato “libertà”, ed è consapevolmente falso chi sostiene il contrario: in quanto una libertà senza regole può corrispondere, molto più spesso di quanto si creda, alla più feroce delle dittature.

Rendersi conto di tutte queste cose è ormai una questione di importanza vitale. Perché, come dice un Anonimo: “Dio perdona, l’ignoranza no”.

Mi auguro che il 2011, con le Celebrazioni per i 150 anni della Unità d’Italia, sia l’occasione per aiutare tutti noi a ricordare e riflettere.

gennaio 2011 
 
franco.maletti@libero.it i
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