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POMIGLIANO: CHI VINCE E CHI PERDE

Qualcuno si ricorda della marcia dei 40.000?

Il risultato del referendum di Pomigliano ha ancora una volta la capacità di sorprendere tutti: ci si attendeva una affluenza non entusiasmante e sono invece andati a votare tutti; ci si attendeva un plebiscito a favore del sì e invece i no sono stati oltre 1/3 dei votanti (a Nola i no hanno addirittura vinto); ci si aspettava che anche i sindacati favorevoli al sì evitassero di gioire troppo per questa bruta vicenda, invece li senti in tv fare i realisti più realisti del re...
Andiamo per ordine.

Il referendum - lo stesso modo in cui è nato, la natura delle questioni che poneva e l'enfatizzazione che lo ha accompagnato - ha da subito acquisito una valenza simbolica molto forte: il capitale, quello sano quello che investe in produzione e non si limita a speculare nell'alto mondo della finanza, contro i "privilegi" dei lavoratori, contro quei profittatori fannulloni che mandano a picco le nostre belle aziende italiane obbligandole a delocalizzare.

Quelli che "fanno le grigliate sul posto di lavoro" che "dormono durante il turno di notte" che "scioperano quando gioca la nazionale" finalmente ridimensionati da un ricatto epocale, come se i capi non avessero tutti gli strumenti per perseguire comportamenti scorretti sul posto di lavoro. E i sindacati minoritari contenti di cogliere l'occasione per dare una lezione alla FIOM e compiacere il governo che vuole la CGIL sempre più isolata, in un modello di società basato sugli scontri invece che sugli incontri. Insomma una bella rappresentazione dell'ipocrisia italica, dove tutti deprecano la politica e ne fanno in quantità, riducendo spesso questioni vitali a egoistiche prove di forza.

Ha ragione la FIAT a preoccuparsi del risultato: i no sono una specie di marcia dei 40.000 al contrario. Costituiscono per tutti i lavoratori d'Italia la speranza di ripresa di  una cultura del lavoro, dei diritti e dei doveri, di igiene delle relazioni e di rispetto della gente. Leggere le dichiarazioni dei sindacalisti del sì fa male al cuore, non per quello che dicono, ma per la sventatezza che dimostrano: come possono fare il lavoro che fanno se non sono capaci di guardare avanti, dentro e fuori i fenomeni di trasformazione della società che dovrebbero guidare?

Proprio come nel 1980 la marcia dei 40.000 segnalò a tutti l'esistenza di una minoranza che non era d'accordo nel merito e nel metodo con cui il sindacato gestiva le lotte operaie, inducendo quindi una crisi che arriva fino ai giorni nostri, i tanti no di Pomigliano ci segnalano non un ancoraggio a un passato che non c'è più, ma l'avvio di una fase nuova (forse proprio quello che la FIAT teme).
Ci dicono di guardare al futuro del lavoro e dei lavoratori con la speranza che questo sia il primo passo verso una rilancio della cultura dei diritti e dei doveri.

Mariano
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