Un amico del gruppo ci invia una riflessione sulla sinistra italiana sulla base del significativo e toccante resoconto dell'esperienza di una vita. È uno spaccato che, pur essendo stato realizzato negli anni del primo governo Berlusconi, appare di grande attualità. Ringraziamo l'autore per avere messo a diposizione dei nostri lettori la sua storia personale. Il contibuto viene pubblicato in due parti.
di Paolo Merlo
Dopo la caduta del muro di Berlino e il dissolvimento dell’Unione Sovietica taluni intellettualoidi si sono esercitati a farfugliare di “pensiero unico”. In Italia almeno con l’esperienza del governo Berlusconi esiste ancora, eccome, una bella differenza tra destra e sinistra.
Che cosa significa essere di sinistra? Significa, ad esempio, credere che se è falso che tutti gli uomini sono uguali (li differenziano i cromosomi) è però vero che tutti nascono con i medesimi diritti: a vivere in una società priva di privilegi e ingiustizie, ad un lavoro dignitoso per se ed i propri figli, insomma ad una vita degna di essere vissuta e non paragonabile ad una giungla dove prevale la legge del più forte.
Perché si diventa di sinistra? Osservando la propria storia e quella della maggior parte delle persone che ci circondano, salvo eccezioni, si può rispondere: sulla base della propria sensibilità, delle frequentazioni praticate, delle letture fatte, della propria esperienza individuale. L’esempio della fatica dei genitori, le difficoltà allo studio (prima del mitico ’68 era molto peggio di oggi), le ruvidezze dei primi lavori praticati: insomma ciò che è successo a me e a migliaia di altri come me, mi ha orientato e deciso a dare il mio piccolo contributo di partecipazione alla vita associativa, ricercando la compagnia e la solidarietà di coloro che la pensavano come me.
Semplice? Mica tanto. Mi sono iscritto al P.S.I. nel 1961 all’età di 24 anni e vi ho militato ininterrottamente per 30 anni fino al 1991, quando la bufera di tangentopoli ha spazzato via quello che ritenevo, e ritengo tuttora, la formazione politica che meglio interpretasse le mie aspirazioni. La degenerazione affaristica dell’apparato del partito, avvenuta sotto i miei occhi e di tanti bravi compagni (la maggior parte dei militanti), prima ignari e poi increduli, fu una mazzata durissima di cui ancora oggi portiamo le conseguenze. Finalmente a svegliarmi dallo stordimento arriva Prodi con il progetto dell’Ulivo: i partiti fanno un passo indietro, prevale l’interesse della coalizione, i contenuti ed il programma sono largamente condivisibili.
Semplice? Nemmeno per sogno.
Fin dall’inizio la storia dell’Ulivo è caratterizzata da conflitti interni, individualismi narcisistici, interessi di parte, colpi bassi: insomma il peggio del peggio della politica, tanto che ci ritroviamo un governo di destra che, per la maggior parte degli osservatori nazionali e stranieri, rappresenta il punto più basso espresso dal nostro paese nel dopoguerra.
Né l’esperienza passata pare abbia insegnato a rimediare agli errori: se si osserva oggi l’Ulivo, nazionale e locale, non pare che la situazione sia migliorata: medesimi difetti, medesima storia.
Ma, si dice: esiste la società civile, i movimenti, i girotondi, il popolo di piazza S.Giovanni…Dove sono? Cosa fanno? Ma sono capaci di “fare politica”?