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TASSI, MUTUI E TASSE.

di Paolo Turati - economista

Nel menù per il 2008 del "governo più amato dagli Italiani" degli ultimi anni si evidenzia un generalizzato consenso da parte delle sue molteplici componenti sul fatto che "sia ora di abbassare le tasse". I distinguo, però, emergono fortemente sul come fare. Un semplice padre di famiglia risponderebbe, responsabilmente, con un "riducendo le spese e gli sprechi". Un tributarista, ineccepibilmente, proporrebbe un "colpendo davvero l’evasione fiscale".

Provvedimenti entrambi praticabili, solo che si volesse intervenire (anche solo in piccola parte) snellendo il carrozzone della spesa statale o che si ritenesse di rivoluzionare (copernicamente) il sistema fiscale, generalizzando la detraibilità delle spese sostenute nel corso dell’anno fiscale, così che sarebbero i cittadini stessi ad avere interesse diretto nel far emergere il sommerso.

Il governo cova invece in seno, e già da tempo (visto che era contenuto in una delle centinaia delle pagine del proprio programma), un’altra soluzione. Quella di ridurre un po’ di tasse aumentandone altre. Sostanzialmente, quel poco che verrebbe defiscalizzato a livello di lavoro dipendente (mediamente, da qualche decina a poche centinaio di euro annui), lo si pagherebbe "armonizzando" (cioè, in linea di massima, aumentandole) le tassazioni sul risparmio.

Al di là dell’aspetto ideologico, su cui ognuno può avere giustamente il proprio parere, e delle obiezioni di tipo econometrico, stante la difficilissima sostenibilità in termini di mercato di un provvedimento di questo tipo(l’ammontare del nostro debito pubblico e le evidentissime difficoltà in cui saranno invischiati i mercati per i prossimi anni dovrebbero suggerire ben altro, nello stesso interesse dello Stato nel mantenere quantomeno costanti i - pericolosamente dipendenti dall’andamento dei mercati- ricavi fiscali derivanti dalla tassazioni sui redditi da capitale), pare che non ci si renda conto di un aspetto di tecnicalità economica minimale che chiunque, dotato di buon senso, potrebbe agevolmente osservare.

Dal momento che il livello dei tassi d’interesse dei titoli del debito pubblico (il cui mercato primario è, in Italia, quello fondamentale e "di riferimento" di ogni altra attività finanziaria e, in Europa, rappresenta un vero e proprio "benchmark", data la propria consistenza) è determinato dal rapporto tra la domanda, da parte dell’universo dei risparmiatori (direttamente o tramite le società di gestione del risparmio) e l’offerta di titoli, da parte dello Stato che deve finanziarsi e rifinanziarsi, dall’incremento della tassazione ( per esempio un aumento della ritenuta alla fonte dal 12,5% al 19%) del risparmio, non potrà che conseguire (al di là di altre problematiche, che qui tralasciamo di approfondire, in termini, per esempio, di sostenibilità del debito pubblico o di sviluppo dell’Industria del risparmio gestito) almeno un fatto certo.

 
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