di Paolo Turati
Com’è noto, nel 1907, esattamente cento anni fa, Albert Einstein aveva avuto "il più felice pensiero della mia vita", con l'intuizione del principio di equivalenza per un sistema in caduta libera. Intuizione, tocco divino, chiaroveggenza? Si usi il termine che può apparire più adatto: si trattò certo del frutto di quella "fonte meravigliosa" che risiede nelle grandi menti di coloro i quali hanno la responsabilità di indirizzare il cammino del mondo. Responsabilità. Un concetto oggi un po’ in disuso con cui anche il grande fisico dovette far di conto a seguito di una decisione che gli avrebbe invece recato, oltre trent’anni dopo, il "pensiero più triste" della sua vita.
"Se avessi saputo, non avrei mai scritto quella lettera": sono parole che sarebbero state più volte ripetute, nel prosieguo della propria vita, da Albert Einstein, riferendosi alla missiva da lui indirizzata nell’agosto del 1939 al Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosvelt a sostegno del cosiddetto Progetto Manhattan. Com’è noto, si trattava del progetto, sviluppato in particolare da Robert Oppenheimer ed Enrico Fermi, che avrebbe portato alla produzione delle prime bombe atomiche: quelle che avrebbero distrutto Hiroshima e Nagasaki. Einstein firmò quella lettera obtorto collo, convinto da un amico – il fisico Leo Szilard- con motivazioni essenzialmente emotive, facendo leva su quanto stava accadendo in quei terribili momenti.