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LA FIAT SE NE VA?

Il tira e molla di Marchionne, le prospettive americane del gruppo. E il Piemonte?

modelli-fiat-chryslerLe voci ricorrenti di uno spostamento della sede centrale negli USA, il feeling con Obama, la prossima acquisizione di ulteriori quote della Chrysler… sono tutti indizi che fano quasi una prova: la FIAT (Fabbrica Automobili Torino) se ne vuole proprio andare.

A nulla valgono le lusinghe e le prebende che ancora oggi gli enti pubblici elargiscono sebbene non più con la generosità di prima. A nulla valgono le concessioni che i sindacati “responsabili” elargiscono a piene mani e la libertà di spadroneggiare nel mondo dell’indotto di cui ancora gode la FIAT. Non basta, se ne vogliono proprio andare e usano oramai tutte le scuse per mascherare ancora per un po’ la situazione di ritirata, d’altra parte sono un gruppo privato e fanno quello che vogliono. Stupisce l’incapacità dei pubblici amministratori e dei vertici della politica, che dovrebbero fronteggiare con maggiore energia atteggiamenti e prese di posizione che in nessun altro posto Marchionne e gli Elkann potrebbero permettersi di assumere.

Ecco cosa si potrebbe fare per intanto a Torino: una bella

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variante al Piano Regolatore (questa, e solo questa, a impatto nullo) che vincoli i terreni di Mirafiori alla destinazione industriale, sottraendoli alla prossima speculazione immobiliare (è già nell’aria, come si legge fra le righe delle pagine locali dei quotidiani a rilievo nazionale), per metterli a disposizione di un rilancio dell’industria dell’auto con qualche altro costruttore europeo interessato. Ne ho parlato in tempi non sospetti  (leggi) e credo che anche la questione referendum a Mirafiori sarebbe andata ben diversamente se gli enti pubblici avessero portato la FIAT a pensare al nostro paese in termini diversi da una delle province del terzo mondo dove spadroneggiare liberamente.

La Regione potrebbe sviluppare finalmente una vera politica industriale organizzando tutto l’indotto FIAT, chiamando a raccolta le tante eccellenze strangolate dal sistema che la casa-madre ha messo i campo molti anni a fa e collaudato nel tempo per tenerle a stecchetto e farle filare, secondo uno schema che di libero mercato non ha neanche il ricordo. La chiamata a raccolta potrebbe permettere all’area torinese dell’indotto di presentarsi compatta sui mercati mondiali della componentistica, della progettazione, del design, dell’engineering, offrendo le sue capacità ai produttori. Così si potrebbe oltretutto verificare se davvero il sistema piemontese dell’auto può avere un futuro o se sono solo chiacchiere, fumo.

Comune e Regione, se anche volessero assumere queste o altre iniziative, a chi si affiderebbero per cercare di ottenere il successo sperato? Ai dirigenti FIAT rottamati da Marchionne, come sembra essere di moda, o a persone con una storia meno mediocre?

Mariano

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