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LA PENSIONE

In casa cominciano ad abusare di me, come si fa con chi "già che sei in pensione...". Gli amici mi coinvolgono in imprese mirabolanti, adesso posso. Poi ci sono i politici locali...
Quando due sconosciuti si incontrano - per casualità, per interesse reciproco o perché dovranno fare qualcosa insieme - la prima informazione che si scambiano è il nome, a volte anche il cognome. Di solito seguono l'origine o l'abitazione, poi l'occupazione, il lavoro che fanno. Prima dell'età e di di tutte le altre informazioni importanti sul piano personale e su quello sociale. Il lavoro che fai ti definisce assai più compiutamente di altri aspetti della tua persona: racconta la tua storia, le tue passioni, le tue aspettative e la tua proiezione in mezzo agli altri individui con cui ti incontri/scontri da quando sei al mondo. Dice quali esperienze ti hanno arricchito, come hai trascorso gran parte del tuo tempo, che cosa sei diventato nel corso degli anni. Sovente basta l'annuncio della tua occupazione a trasmettere i sentimenti che, dentro e fuori da te, la accompagnano nella vita di tutti i giorni.
Andare in pensione significa perdere tutto questo: non è avere improvvisamente più tempo e correre perciò il rischio di lasciarsi andare all'anarchia di una vita senza orari. Non è nemmeno lo scoprire all'improvviso quante energie e quanta cura il lavoro richiedeva, anche oltre l'orario delle prestazioni quotidiane. E' piuttosto perdere un ruolo che hai indossato per così tanto tempo che è diventato il tratto caratteristico del tuo essere...
Specie se, come è capitato a me, hai fatto un lavoro bellissimo e... ancora lo faresti, se solo il nostro mondo fosse organizzato in modo più umano. In pensione dal primo settembre di quest'anno, non credo che sprofonderò della depressione o che vivrò la perdita dell'identità professionale come se fosse quella di un'arto, soprattutto perché so che ne coltiverò altre che erano rimaste in secondo piano e qualcuna di nuova riuscirò perfino ad inventarmela.
Ho cominciato a lavorare stabilmente a scuola il 1 aprile del 1973 (prima avevo lavorato qualche mese come precario e in fabbrica, durante le superiori) e non ho più smesso, se non nei cinque anni in cui sono stato in aspettativa come consigliere regionale. Dunque 43 anni e qualche mese, parecchio. Così tanto da veder cambiare tutto e niente insieme: quante similitudini fa la società spezzettata di oggi e quella problematica delle ondate migratorie interne dei primi anni '70! Il degrado di alcune famiglie (e dei bambini), frutto di ignoranza e di indigenza impastati insieme, lo si ritrova anche oggi sotto spoglie diverse, ma sostanzialmente con gli stessi effetti di straniamento e di esclusione sociale. L'eterno conflitto fra l'individualismo sfrenato dei diritti senza doveri e la voglia di costruire progetti e lavorare per speranze comuni ha accompagnato tutti questi anni; fra alti e bassi si ha spesso l'impressione di tornare daccapo, sommersi dai cafoni e dagli opportunismi, come se non avessimo imparato niente dalla Storia e dalle storie. Pronti a ripetere gli stessi errori e a coltivare le stesse speranze, come se fossimo in un loop che ripropone la stessa sequenza, ininterrottamente e per sempre.
Il tempo è passato, non solo sono diventato "vecchio e saggio" (!), ma mi ritrovo più ricco delle tante esperienze e delle tante relazioni, pieno e forte di una consapevolezza che, sono sicuro, non riuscirò a trasmettere se non in minima parte. Curioso come una scimmia, ancora di più di quanto non lo sia stato in gioventù, e armato di quella incoscienza che attribuiamo a stagioni della vita, ma che in realtà sono più delle persone che delle età.
Finora ho avuto un culo pazzesco: ho lavorato in ambienti che mi hanno gratificato, con persone che mi hanno voluto bene e a cui ne voglio molto anche io. Migliaia (ebbene sì!) di studenti dei quali conservo storie e ricordi unici, generosi donatori di saggezza e di freschezza da cui ho sempre attinto senza risparmiare. Altrettanti colleghi che hanno contribuito a rendere piacevole, istruttiva a gratificante la lunga permanenza a scuola. Di loro sento già la mancanza, non con nostalgia, ma con la pienezza d'animo di un'esperienza bella e compiuta.
Il bello della pensione è che riesci finalmente a trovare il tempo per scrivere un post come questo. Ma anche che puoi lavorare per smettere di "essere in pensione" prima che il richiamo dei cantieri abbia il sopravvento su di te.
Mariano