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RASSEGNAZIONE

Ovunque ti volti, con chiunque parli registri che una patina di rassegnazione si è posata viscida sul nostro mondo. E non è colpa del caldo…
Il veleno dell’inedia

Di cibo ne ingurgitiamo anche troppo, così poi facciamo la dieta. Ne parliamo compulsivamente, guardiamo i cuochi superstar in tivù, cerchiamo il posto dove si mangia meglio, andiamo a comprare le cose buone e genuine da Eataly, speriamo pure che siano a km zero! Lo stesso quando dobbiamo smaltire le conseguenze delle sovralimentazione o mettere qualche pezza al corpo che invecchia e non è più tonico come prima. Via con diete strane, consigli di abbinamenti per non ingrassare, esercizi e trucchi per contenere l'adipe.
L’attenzione è costantemente rivolta verso noi stessi in una specie di compulsione che non è egoismo, semmai un disperato antidoto alla noia di un mondo che non promette quelle svolte epocali a cui aspiriamo anche oggi e che, qualche volta, abbiamo intravisto dietro l’angolo. Allora la rivoluzione è mangiare verdura cotta la sera e carboidrati a pranzo, oppure camminare un'ora al giorno volenti o nolenti, o ancora eliminare il glutine.

E mangiando, correndo, facendo attenzione a ciò che potrebbe farci male si scivola giù verso quella depressione che nasce dal ripiegamento, dalla rinuncia alla speranza, dalla pigrizia che si giustifica da sé: non fare niente per cambiare, tanto è inutile, anzi più faccio e peggio sto. Qualche decennio fa criticavamo con sussiego e senso di superiorità gli edonisti della "Milano da bere" che vivevano di after hour, di party, di vestiti firmati e di culto del corpo. Distoglievamo lo sguardo dalle torme di pensionati in salute e non ancora appassiti che se la godevano nello stesso modo fra feste danzanti, vacanze in comitiva, balli di gruppo, grigliate e partite a carte. Non volevamo vedere che trattavasi dello stesso fenomeno, stava diventando di massa grazia alla tivù e all'aumentata disponibilità economica.
Oggi, in tempi di crisi, cogliamo i frutti e ci aggiriamo fra i cascami di questi stili e modi di vivere: tutti sempre più individualisti perché ci hanno insegnato che l'altro ti può portare via quello che hai, certo non ti può portare niente di buono. Che ogni investimento materiale ed emotivo crea valore se è fatto su di te e per te, che possiamo indefinitamente prolungare il benessere di un momento dilatandolo fino a trasformarlo in una stagione che vorremmo eterna. Che "io sono io e voialtri non siete un cazzo".
Così, prima o poi arriva l'inedia - quella mancanza di nutrimento al cervello e al cuore - e ti rende depresso, apatico, perpetuamente insoddisfatto e sempre più chiuso al mondo e alla sue esperienze. Riprendersi dalla denutrizione è facile se puoi tornare a mangiare, riprendersi dall'inedia affettiva e culturale è operazione ben più dura. Qualche volta è impossibile ed è per questo che bisogna non cascarci e continuare indefessi a sentirsi parte di un mondo, di una collettività, di una società. Sennò si diventa come quelle ex bellone che, a forza di chirurgia plastica, si sono trasformate in mummie cristallizzate che non conservano sul volto e sul corpo nemmeno più il ricordo di quello che sono state e avrebbero potuto essere.
Mariano
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