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SPERANZE

Una giovane maturanda diciannovenne entra nell’aula per sostenere l’esame orale e …
Il valore del diploma
… con lei entrano i suoi famigliari. Sono venuti ad accompagnarla per trepidare e gioire con lei. Si mescolano fra i compagni della fanciulla, anche loro incuriositi dall’umanità convenuta, un po’ differente dalle solite stracche "facce da maturità" che circolano in questi giorni per le scuole superiori.
C’è il cognato e la sorella, con il ragazzino intimidito che sta addosso al padre e non se ne stacca, c’è la prozia, forse la nonna (non ho capito chi fosse la mamma…), insomma quelli che hanno potuto sono venuti, agevolati dalla giornata: è sabato, c’è ancora chi lavora regolare nella settimana e riposa nel week end.
La maturanda è palesemente emozionata e i suoi famigliari anche, solo che lo sono in modo simpatico, allegro, come se fosse normale che in un giorno così il tratto caratteristico sia proprio l’agitazione, la paura di non essere all’altezza, il timore della domanda che non avevi previsto.

LE RADICI DELLA CORRUZIONE

Le storie di oggi, quelle già note e quelle ancora da scoprire, ci confermano quello che già sapevamo. Solo che interessano solo quando la frittata è fatta…
Oltre gli scandali: la zona grigia delle pubbliche amministrazioni
Qualche tempo fa Paola Caramella Editrice mi chiese un contributo per una pubblicazione che riassumeva l’attività della giurisdizione nel distretto torinese, integrata da riflessioni di carattere più generale intorno ai temi della legalità, della corruzione, dal rapporto fra giustizia, giurisdizione e amministrazione pubblica.
Eccolo qua, più attuale di allora, il breve saggio che Le avevo proposto e che poi ho trovato pubblicato nel testo dalla copertina qui accanto (Leggi).
Tratta delle radici della corruzione, che si sono oramai infilate in tutti gli interstizi della complessa costruzione che è la res publica, proprio come un’edera invasiva che erode lentamente ma inesorabilmente le fondamenta dell’edificio e tutte le sue parti. Racconta delle leggi di vent’anni fa per “semplificare” la burocrazia  e di come esse siano diventate il grimaldello per costruire nuove posizioni di potere, nuove rendite, nuove occasioni per piazzare amici e  clienti. Spiega come si può fare a occupare e gestire il potere in modo torbido, ma senza violare le leggi, in pace con se stessi e il mondo.
Racconta di come la meritocrazia sia diventata uno slogan per coprire ogni sorta di familismo, di come la pratica della raccomandazione avvia trovato nuove forme e colori, adattandosi all’Italia che cambiava tutto per non cambiare nulla. Di come la politica abbia mutuato e perfezionato il linguaggio allusivo, quello dei mafiosi, sostituendolo progressivamente a quello della guerra (battaglia politica, avversario…) di cui la politica è sempre stata sublimazione. Di come la spregiudicatezza unita all’ignoranza abbia finito per produrre una generazione di politici che, quando vincono le elezioni, pensano di aver “preso il piatto”, trattando la cosa pubblica come se fosse loro e piegando le regole alle loro necessità e clientele.
Racconta di come le cose non possono cambiare se lo Stato continuerà a essere immaginato da tutti noi come una specie di banchetto – sempre più povero, ma ancora pieno di cose buone – a cui dare l’assalto, spolpandolo fino all’osso, tanto qualcun altro ci penserà e… un domani. E anche dell’inutilità, a volte del danno, dei professionisti della cosiddetta “cultura della legalità”, della finta trasparenza e della turpe chiacchiera di chi dice una cosa per farne sempre un’altra. Impunemente.
Se vi va, buona lettura. Se poi vorrete, mi farebbe piacere un’opinione.
Mariano

FENOMENOLOGIA DELLA PSEUDO/ROTTAMAZIONE

Sapevamo che Berlusconi sarebbe passato, temevamo però che il berlusconismo di tempo ce ne avrebbe messo di più e con tanti danni ancora…
Berlusconi forever
Un po’ di attenzione a quello che sta succedendo davvero in Italia potrebbe far bene a quel che resta della nostra democrazia e prepararci ad affrontare al meglio l’inevitabile fase del disinganno, altra nostra dolorosa specialità. Dal loden verde alla sobrietà, poi  al “faccio tutto io”, un popolo bambino si illude che i problemi si risolvono affidandosi a chi la spara più grossa e gode dei favori della stampa e della tivu. Ecco le vecchie tecniche che funzionano anche oggi: 
Utilizzare il trucco del gioco delle tre carte, sempre e comunque: funziona benissimo. In primis perché gli Italiani li freghi facendo credere a ciascuno di loro che è il più furbo, poi perché sono sicuri di sapere dove ve la carta buona e guardano il movimento delle mani mentre tu la fai passare dove non se lo aspettano. Così gli 80 euro per qualcuno sono già diventati meno della metà per via delle detrazioni per i famigliari, per altri lo saranno col conguaglio fiscale a fine anno.

I RITI DI PASSAGGIO

Oggi primo giorno dell’ Esame di Stato: prova scritta di Italiano. Anche quest’anno, tutto come da copione, è davvero lo specchio di un paese triste…
Maturi, non marci!
Stamane debutto in un grande istituto tecnico di Torino. Pioggia a intermittenza, cielo fosco, clima fresco. Già alle 8 giovanotti e signorine trepidanti sulla scalinata, noi dentro a cercare di far funzionare il tutto al meglio, un po’ storditi dal nostro primo giorno d’esame e preoccupati di non ricordare procedure e consuetudini che valgono solo una volta l’anno. Si sa, il corpo docente è fra i più vecchi l’Europa ed è del tutto normale che da un anno all’altro dimentichi l’abc del bravo presidente/commissario.
8,30: entrano festanti, ma un po’ frenati. Nessuno con i pantaloncini, poche le natiche scoperte a rivelare il candore o il colore della mutanda siglata, nessuno ombelico che prende aria: sarà il clima non proprio estivo, o l’effetto delle raccomandazioni dei professori di classe (vestitevi bene, cercate di fare una buona impressione alla commissione eccetera)? Si accomodano nei banchi, sbirciando il presidente della commissione e i commissari esterni, che vedono per la prima volta. Sicuramente qualcuno ha già fornito loro tutte le referenze del caso, dunque non vanno proprio al buio, ma lo stesso la tensione si sente.
Posano i telefonini nell’apposita scatola e si lasciano zittire dal presidente che rivolge loro raccomandazioni e richiami (qualche minaccia per chi mai pensasse di copiare) in attesa che le prove d’esame vengano scaricate da intenet e fotocopiate per tutti.
Alle 9 si comincia: sei ore di tempo per svolgere una delle prove di cui si compone l’esame scritto di Italiano. Il grosso dei convenuti sceglie il saggio breve o l’articolo di giornale. Mi viene da ridere al pensiero che alcuni studenti di articoli  ne confezioneranno di pregevoli, certamente migliori e più equilibrati di quelli che scrivono sui giornali nazionali illustri scribacchini di regime. Gli argomenti paiono buoni, ad eccezione dell’analisi del testo poetico: per gli allievi di un istituto tecnico mi sembra davvero fuori luogo una poesia ermetica e difficile da interpretare. Infatti non lo sceglie nessuno. C’è chi si butta sul tema che compara il 1914 e il 2014 (brr!, quante analogie e parallelismi fra i venti di guerra mondiale di allora e quelli che arrivano da est in questi giorni…), chi sceglie di parlare del paesaggio e della qualità dell’intervento umano nel renderlo ancora più fragile e vulnerabile; ma il grosso si butta appunto su saggi brevi e articoli di giornale. Li redigono utilizzando il materiale documentale che sta insieme alle prove.
Mentre le creature lavorano, i commissari ammazzano il tempo sorvegliando, compilando i soliti fasci di documenti, rispondendo ai quesiti degli allievi in dubbio, occupandosi di quello che ancora manca perché l’esame possa svolgersi al meglio. Ogni tanto uno sguardo a che tutto funzioni al meglio e una strana aria negli occhi quando si posano sugli allievi al lavoro: un non so che di nostalgia mischiato a un pizzico di rimpianto. Il tutto ben mescolato con discrete quantità di turbamento.
Li guardi lavorare, sperare, provarci e ti chiedi che cosa abbiamo fatto noi adulti (un po’ passati) per rendere migliore il mondo in cui vivono, per alimentare adeguatamente speranze nel futuro e permettere loro di coltivare progetti sogni e disegni. Ti chiedi perché devono vivere in un posto dove sono già tagliati fuori ancora prima di poter cominciare davvero a far vedere quello che sarebbero capaci di fare; speri che le cose possano cambiare e che loro possano essere una generazione con qualche strada in più da percorrere, vorresti che davvero la politica l’economia e la società si occupassero di loro non solo con le parole o ripetendo formule che hanno già fallito. Temi che le tue siano solo illusioni e ti domandi in quale momento della tua vita hai cessato di credere che le cose si possano davvero cambiare. Non ti rassegni e ti domandi come fare per costruire anche per loro un’occasione vera.
A mezzogiorno – a metà della prova – sei anche a metà della prima giornata di un rito di passaggio, giorni che segneranno la fine di una stagione della loro vita e che ne apriranno un’altra. Il rito di passaggio non è solo degli studenti: guardandoli all’opera ti rendi davvero conto non solo del tempo che passa, ma anche di quanto sia triste e ingiusto questo nostro paese, a cominciare degli egoismi delle persone che lo abitano. Tutte.
Domani, seconda prova. Divertitevi ragazzi!
Mariano

DARE L’ESEMPIO?

In tempi di ideologie in liquidazione, la testimonianza personale sembra essere tornata di moda come strumento del cambiamento. Servirà? Mah!
Fatti, non parole!
Chi, come me, ha sulle spalle una profonda e robusta educazione religiosa – condita, fin dalla tenera età da una poderosa iniezione di senso di colpa variamente distribuito in tutte le aree dell’esistenza – sa bene che non c’è vero perdono dei peccati commessi. L’anima non sarà mai mondata del tutto, mai più tornerà candida e totalmente innocente; al massimo il perdono del Supremo allevierà le pene infernali a cui tutti, chi più  chi meno, siamo inevitabilmente destinati, come il Foille sulle piaghe da scottatura.
Per questo ho sempre invidiato quelli che, forti di un’educazione cattolica più permissiva e consolatoria (una bella confessata, un pentimento sincero, qualche preghiera di punizione e… tutto torna com’era prima del peccato) facevano lo slalom fra peccati clamorosi e mortali, apparentemente sereni e in pace con se stessi e il prossimo. Finché la fede mi ha sorretto, ho sempre pensato che “un peccato è per sempre” alla maniera puritana e che non è possibile che l’Onnipotente non sappia che destino ha riservato a ciascuno di noi. Dunque nasciamo già spacciati e tutto quello che ci affanniamo a fare su questa terra non è che la conferma di quello che ci aspetta dopo la morte.
Poi la fede è svaporata...

DOCENTI A TASSAMETRO

Gli effetti di scelte sbagliate si manifestano solo molto tempo dopo, quando hanno già prodotto i risultati negativi da cui qualcuno all’inizio metteva in guardia. Stavolta tocca alla scuola.
Come affossare la scuola statale
In questi giorni – genitori e studenti non lo sanno – oltre agli scrutini e alla compilazione di scartoffie sempre più inutili ed incomprensibili, gli insegnanti sono alle prese con la dichiarazione delle ore “lavorate” in aggiunta alla propria funzione: corsi speciali, recupero di allievi insufficienti durante l’anno, attività di coordinamento dei consigli di classe, conduzione di attività di stage per gli studenti delle classi terminali e chi più ne ha, più ne metta. Sono tutte voci che servono a  determinare la consistenza del cosiddetto “salario aggiuntivo”, una specie di paghetta per quelli che hanno fatto qualcosa in più degli altri o che hanno seguito qualche progetto di interesse collettivo.
Trattasi di una “grande” conquista sindacale di fine anni ‘80, prima gli insegnanti erano pagati tutti uguali (lo stipendio progrediva per anzianità) e la buona organizzazione della scuola dipendeva dalla capacità dei presidi di motivare e progettare l’impiego ottimale di ogni docente a sua disposizione.
Nella scuola – non in tutte, si sa che in Italia ogni luogo è una repubblica a sé - si facevano più attività di oggi e l’attenzione ai bisogni degli allievi non era certamente più bassa di oggi. Ma il vento stava cambiando: bisognava “valorizzare la funzione docente”, “premiare le funzioni strumentali” e via dicendo, così il Ministero ha cominciato a dotare le scuole del “fondo di istituto”. Si tratta di un fondo, determinato ogni anno dal Ministero stesso, che serve a pagare tutte le prestazioni diverse dalla lezione in classe. L’ammontare del fondo cambia a seconda dell’ordine di scuola e del numero di studenti.
Era la trasposizione scolastica della Milano da bere, dell’Italia che si modernizzava, del “adesso basta con questo egualitarismo, queste sperimentazioni, queste velleità che ci portano lontano dai paesi più evoluti”. Per valorizzare la funzione e il lavoro dei docenti si sceglieva di non intervenire più sulla qualità del servizio erogato, ma sulla monetizzazione (ridicola già allora) di presunte o reali competenze e professionalità. Governi e sindacati insieme di qualunque colore fossero.

Anche allora c’erano le cassandre, facili profetesse di sventura. Sostenevano che, essendo la scuola una “comunità educativa”, non sarebbe stato un bene introdurre forme di competizione esasperata fra gli insegnanti, oltretutto per un pugno di spiccioli. Meglio sarebbe stato fare come già nelle scuole francesi, tedesche e dei nord Europa. Laggiù la funzione docente è una sola e comprende al suo interno anche una serie di attività diverse dalle ore di lezione in classe: preparazione e correzione degli elaborati, espletamento di mansioni utili al buon funzionamento della scuola, colloqui e incontri con i genitori, coordinamento delle attività comuni (per materia e per fascia d’età), recupero degli svantaggi, assistenza e personalizzazione dell’intervento verso i ragazzi con problemi sociali o cognitivi particolari, rapporti col territorio, aggiornamento e così via. Tutte attività da realizzare a scuola con un orario che fosse comprensivo di tutte le funzioni connesse al lavoro del docente. L’insegnante diventava un lavoratore con un orario corrispondente al vero, controlli e  verifiche sulle sue prestazioni, una progressione di carriera legata anche alle sue specializzazioni e  e alla qualità della prestazione che mette a disposizione della scuola tutta e che la qualifica.
Così l’avremmo chiuso la bocca a chi sostiene che gli insegnanti lavorano poco, che sono dei privilegiati e che, perciò, non debbono lamentarsi se i loro stipendi sono quello che sono e il loro prestigio sociale in picchiata. Naturalmente, per un pugno di ceci, anche la gran parte dei colleghi sposò l’opzione sindacale con tipico atteggiamento italico: ottenere più soldi, perché lavoriamo tutti tantissimo e tutti siamo talmente bravi e qualificati che meriteremmo assai di più di quello che abbiamo. Se il nostro vicino di aula sta a bocca asciutta, la cosa non ci riguarda, ha solo da farsi furbo. Se la scuola va a picco, ci lamentiamo un  poco e diamo la colpa a qualcun altro: le famiglie, gli allievi, i nostri colleghi delle scuole primarie che non insegnano bene eccetera.

Per tutti gli anni ‘90 e anche nel nuovo secolo il fondo era abbastanza corposo da ricavarci la paghetta per i più attivi fra i docenti, in questi ultimi anni il fondo si va riducendo drasticamente, anno dopo anno. Gli ultimi due governi hanno preso da lì i soldi per ripristinare gli scatti di anzianità agli insegnanti. Risultato: le ore di lavoro aggiuntivo sono pagate sempre meno, in qualche caso non ci sono più i soldi neanche per un presente. I docenti “a tassametro” cominciano a ridurre le loro prestazioni, i corsi di recupero sono decimati, attività importanti non si fanno più e circola il malumore. Sono le riforme a costo zero che accontentano ora l’uno ora l’altro, sempre a scapito della qualità del servizio e delle risorse disponibili a migliorarlo.
Oramai siamo tutti abituati a fornire prestazione aggiuntive se ci pagano extra, sennò nisba. Dato che “non ci sono soldi” le prestazioni calano sempre di più; dentro a volte ci sono anche cose che abbiamo sempre fatto senza nessun compenso, solo che ce ne siamo dimenticati. Ma l’abitudine al tassametro è talmente entrata nella testa di tutti noi insegnanti che si fa davvero fatica a liberarsene, magari a favore della rivendicazione di una diversa strutturazione del nostro lavoro.

L’opinione pubblica continua a pensare che siamo degli sfaticati. Quelli tra noi che vogliono lo stesso fare le attività che servono alla scuola nel suo complesso e ne qualificano l’intervento combattono con l’ambiguità della scelta, in fondo è come se facessero del lavoro gratis. Chi faceva poco prima, adesso fa ancora meno. Con l’alibi del salario.

Io ero una delle cassandre. Cominciai a disertare il mio sindacato proprio quando prese questa strada, ritenevo che l’ubriacatura individualista avrebbe portato la scuola alla distruzione, soprattutto l’avrebbe resa inidonea a costruire lo Stato attraverso la responsabilizzazione e l’educazione alla cittadinanza. Purtroppo la realtà si sta rivelando perfino peggio delle previsioni che facemmo allora: tempo pieno e tempo prolungato messi pesantemente in discussione e, comunque, formule orarie sempre più vuote dei contenuti didattici ed educativi che le avevano ispirate; scuola superiore di massa con strutture e articolazioni che ricalcano quelli della scuola superiore di noi ultracinquantenni.
La scuola pubblica si rilancia e si impone con un cambio di rotta anche in questi elementi costitutivi. Un po’ di preparazione in più, di serietà nell’approccio, attenzione ai diritti e anche ai doveri, assunzione di responsabilità: è quello che intanto serve per accompagnare e far fruttare gli eventuali investimenti economici. Servirebbe però anche tanto un sindacato all’altezza, capace di  organizzare il personale della scuola per cambiare strada.

Specie nei servizi pubblici, non c’è lotta per i diritti sindacali se non si accompagna alla battaglia per il miglioramento del servizio. Di questi ci siamo dimenticati troppo spesso e  per troppo tempo. Il cambiamento possibile si realizza anche così.

Mariano

BLA BLA BLA…LEGALITA’

La corruzione deruba il paese del poco che gli è rimasto. La chiacchiera della politica, e specialmente dei “migliori” rincara la dose. Fino a  quando?
La farsa e il danno
Seconda infornata di scandali, seconda conferma di ciò che si sapeva già… e tutto nell’arco di un mese scarso. L’Expo prima, il Mose adesso, ingrassavano cordate miste di dirigenti pubblici, autorità di sorveglianza, imprenditori, militari d’alto rango e politici. Mentre tutti gli altri agivano per loro tornaconto, si potrebbe pensare che i politici lo facessero per i partiti di riferimento, come durante la prima Tangentopoli. Quando i loro partiti si affrettano a prendere le distanze, viene voglia di credere che quello che affermano sia vero, dato che di partiti capaci di finanziarsi illegalmente per davvero non ne esistono più. Essendosi essi trasformati in taxi, da cui cordate di interessi scendono e salgono alla bisogna, anche i meccanismi del finanziamento delle attività politiche si sono rimodellati sul nuovo assetto di quelle che ci si ostina ancora a considerare “forze politiche”.
Straordinarie le reazioni dei vertici del PD alle notizie di coinvolgimento di loro eminenti esponenti: la vecchia guardia oscilla fra la silente presa di distanza (Greganti) e la difesa ad oltranza (Orsoni); il "nuovo che avanza", invece, si comporta come se si trattasse di un partito diverso dal suo e di affari che non lo riguarda.
Parlano d’altro,i nuovi, al massimo sparano qualche luogo comune per deplorare, promettere misure draconiane, minacciare chi volesse corrompersi e corrompere. Renzi annuncia qualche provvedimento mirabolante che fa la fine degli altri: lettera morta.

La maggior parte dei giornali – gli stessi che sono stati ben ziti finora e che celebravano acriticamente il nuovo che avanza e l’Italia che si riprende con le grandi opere – riportano le storie di malaffare con dovizia di particolari. Le trattano come cronaca nera, nettamente disgiunta dalla cronaca politica.
Infatti raccontano di come l’Italia non conti più nulla nel mondo (la famosa reputazione internazionale), e danno la colpa alle sperate di Grillo. Scrivono verbi come rubare, corrompere, ma non ci mettono mai il soggetto, specialmente se illustre e del partito giusto. Soprattutto non spiegano mai come e quanto queste continue ruberie nuocciano al prestigio internazionale dell’Italia, accreditando l’idea che all’estero nessuno se ne preoccupi. Se gli investimenti stranieri calano del 54% in un anno sarà colpa delle sparate o delle ruberie miliardarie che lievitano col lievitare dei costi delle grandi opere pubbliche? Sarà colpa della jungla di leggi che permette a chiunque di fare quel che vuole o delle scelte politiche di chi li vuole mandare via tutti e usa lo strumento disponibile in questo momento nel mercato della politica?
Finché la nazione tutta – a me sarebbe piaciuto che lo facesse il centrosinistra, l’ho sempre sperato e non ci credo più – non mette in campo una seria riflessione intorno ai meccanismi culturali, sociali, economici che stanno alla base di questa assenza di moralità a tutti i livelli e in tutti i luoghi… finché questo non lo faremo accadere, nulla cambierà. I più furbi spolperanno ancora quello che resta, ognuno sarà contento di essere convinto aver fregato l’altro. Ognuno andrà a caccia della soluzione personale al problema collettivo, allontanando la ripresa e la rinascita a data da definirsi.

Si comincia da Roma, ma si deve cominciare anche sul nostro posto di lavoro, nel nostro comune, nella nostra regione. Non possiamo più avallare comportamenti truffaldini mascherati da intelligenza politica: quanti sindaci hanno ricevuto finanziamenti per la loro campagna elettorale da operatori economici direttamente interessati agli affari col Comune (proprio come quello di Venezia)? Quanti medici trasformano i loro assistiti (Servizio Sanitario nazionale!) in potenziali loro elettori, magari coinvolgendo i loro colleghi di studio in una umiliante campagna elettorale? Quanti appalti vengono aggiudicato con un concorrente  solo e un’offerta sola, salvo poi ricorrere alle varianti in corso d’opera per “aggiustare” i contratti? Quante associazioni esistono solamente come serbatoio elettorale di questo o quello e perciò vengono foraggiate con soldi pubblici? Quanti politici vanno a spasso con i personaggi chiacchierati, qualche volta malavitosi conclamati, che porteranno loro i voti necessari per essere eletti? Quante promesse, quante clientele?

Ci vuole un po’ di pulizia anche nel linguaggio: le parole debbono tornare a significare qualcosa, la chiacchiera vuota lasciare il posto alla profondità del ragionamento, la serietà degli impegni seppellire la vacua insidia della promessa. La voglia di assumersi responsabilità deve soffocare lo scaricabarile che, a tutti i livelli, paralizza questo paese martoriato.
Questa è la rivoluzione che bisogna fare adesso.

Mariano

MOMENTI DI GLORIA

Si avvicina la Maturità. Da oggi pubbliche le commissioni d’esame, gli studenti di quinta a caccia di informazioni sui commissari esterni
Recensisci il docente!
Ci siamo, fra 15 giorni i maturandi debutteranno con la prima prova, lo scritto di Italiano. Quel giorno conosceranno anche i membri esterni e  il presidente della loro commissione d’esame, quella che, salvo sgradevoli sorprese, li consegnerà al mondo del lavoro, a quello della disoccupazione o a quello dell’università. Armati di un bel voto, in centesimi, per larga parte frutto di quello che hanno combinato nei tre anni precedenti e in piccola parte di come si sono comportati nelle prove d’esame.
Da stamane sono pubbliche le commissioni, dunque ogni studente sa chi sono quelli che, interni ed esterni, lo esamineranno e ne giudicheranno la prestazioni e  la preparazione. Adesso comincia la “caccia al commissario”, per sapere chi è, se è bravo o no, quali sono le sue fissazioni e le sue manie…; questa volta agevolati anche dalle recensioni degli insegnanti, ad opera dei loro allievi, che si trovano sui siti specializzati. Uno per tutti studenti.it.

NON MORIREMO DEMOCRISTIANI…

Una settimana dopo le elezioni, tutto è già metabolizzato. Non vorrei che fossimo...
Già pronti per la prossima illusione?
Passata la tornata elettorale europea, smaltiti quasi tutti i fumi della sbronza, superate sorpresa e incredulità, è tempo di fare un bilancio di come il voto abbia ancora una volta modificato il quadro politico italiano. In poche righe: gli elettori non fidelizzati di Grillo si sono astenuti; quelli del PD no, sono andati a votare massicciamente per Renzi. Lo stesso hanno fatto quelli dell’area moderata che, infatti, dal punto di vista elettorale non esiste quasi più. Il centrodestra tiene larga parte dei suoi voti, sparpagliati fra le formazioni politiche che derivano dalla fallimento del PdL. Il M5S spaventa gli elettori che voleva acquisire e ne lascia a casa un bel po’ di quelli che l’avevano scelto un anno fa.
Su tutto un dato: l’elettorato italiano è diventato estremamente mobile. Cambia spesso, anche alternando voto e non-voto, sceglie pragmaticamente fra i candidati e i partiti quelli che ritiene possano realizzare i suoi interessi contingenti (del futuro gliene frega poco) meglio degli altri.