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FACCE DA MURO

Tempo di elezioni: sui muri, pannelli pubblicitari con facce sconosciute in pose improbabili. Col contorno di simboli svuotati e parole senza alcun nesso con la realtà…
La vanità dell’esserci
Da qualche settimana i tabelloni elettorali sono di nuovo pieni di faccioni anonimi e improbabili, in qualche caso ritoccati con photoshop fino a renderli così diversi dagli originali, da suscitare l’ilarità dei conoscenti e le dichiarazioni dei parenti: “Io quel mostro non lo voto neanche se mi implora!" Sembra la brutta copia di un tronista in disarmo…
In qualche posto c’era stata l’anticipazione delle primarie del PD, una specie di sagra paesana per pochi intimi. Oramai è di moda disertarle perché il bluff è talmente scoperto che nemmeno il post-comunista più sfegatato riesce a farsele andare bene. Allora si fa la gara a chi ha il manifesto più vanitosamente osceno e a chi porta più clientele a esprimere un voto. E’ la riprova che gli ex-comunisti riescono davvero a guastare qualunque cosa tocchino; non c’è bisogno di accusarli d’altro, basta questo a renderli indigesti e a sollecitare una presa di distanza energica. Infatti, chi va con loro, finisce per diventare come loro, anche peggio alle volte.
Dunque, finite le primarie, adesso si passa alle elezioni vere. In almeno tre casi (regionali ed europee, ma anche le liste alle comunali, dove si vota) offrono all’elettore l’oramai rara possibilità di esprimere il voto di preferenza a uno o più candidati. Eccoti scatenati i candidati, la fiera delle vanità si accede delle luci migliori: gente della stessa corrente dello stesso partito si scambia  in segreto nominativi di grafici valenti che “fanno miracoli”, rendendo bello anche il più cesso, trasformano uno sguardo vacuo in una espressione sognante e pensosa, capace di evocare facoltà e competenze che quel candidato nemmeno sapeva di possedere.
Candidati tremebondi percorrono le tipografie, alla ricerca del preventivo migliore e della grafica più accattivante… poi via! Tutti a tappezzare muri e tabelloni con mezzibusti in infinite interpretazioni tutte uguali, a volte condite da slogan scopiazzati in giro, altre nemmeno quelli: ad esempio il candidato di SEL alle primarie di Collegno ha copiato il titolo di un libro che parla della vicina Grugliasco - spudorato e insolente che non è altro – forse per evitarsi la fatica di elaborarne uno suo. Trombatissimo (è arrivato ultimo), però gli hanno fatto tutti i complimenti.
I tabelloni elettorali saranno disponibili solamente quattro settimane prima delle elezioni, dunque adesso gli “anticipatori” si pagano le spese di affissione e utilizzano gli spazi della pubblicità commerciale. Hanno ragione, sono anche loro prodotti da vendere, in molti casi patacche che riveleranno la propria fragilità rompendosi il giorno dopo le elezioni in tante piccole schegge inutili pronte per diventare rifiuti da smaltire. Ovviamente a carico della collettività, quella stessa che guarda distrattamente tutta questa esposizione di facce, lasciando intendere che non gliene importa nulla e che stavolta…

Niente paura, facce da muro: torneranno disciplinati a votarvi, ben sapendo di che pasta siete fatti, non appena avrete sollecitato la loro cupidigia – o semplicemente il loro bisogno -  con qualche promessa clientelare. Sanno bene che non le manterrete, ma vi voteranno lo stesso, non si sa mai.
Avranno a disposizione i prossimi cinque anni per lamentarsi della "brutta politica che distrugge l’Italia e toglie la speranza  ai nostri giovani!"

Parola di ex-faccia da muro.

Mariano

LA CIRCONCISIONE D’INCAPACE

Gli svarioni linguistici quasi sempre nascondono una certa confusione logica e cognitiva. Che sia per quello che li mandiamo in Parlamento?
La politica del prepuzio
Grandi ironie sul deputato grillino Davide Tripiedi (nomen omen?) che comincia il suo intervento alla Camera, forse soprappensiero, con un goliardico “Sarò breve e circonciso”, detto e sentito mille volte, solo in contesti più informali. Non sfugge nemmeno al Tripiedi che, se esordisse nello stesso modo a un colloquio di lavoro, con ogni probabilità resterebbe disoccupato a vita (a meno che Grillo non tolga il vincolo dei due mandati in Parlamento).
Il presidente di turno, Simone Baldelli (FI) lo riprende segnalandogli l’errore e dicendogli che il termine giusto è “coinciso”. Anche lui ha sbagliato, la parole giusta è “conciso”, ma fa lo stesso, siamo in Parlamento, mica all’Accademia della Crusca! Di cosa parlassero, di quali problemi si stessero occupando e con quali posizioni, quale costrutto, poco importa; ciò che è restato è questo scambio di minchiate, questo rincorrere la propria ignoranza rigirandovisi dentro con la goduria di un porco nella mota.

LA SCOSSA

Premiare il merito, chi ha competenze: tutti lo dicono. Ma come sceglierà Renzi i 600 manager pubblici e come scelgono i partiti in giro per l’Italia? Un esempio di questi giorni
Gli eletti e i nominati
Strano paese, il nostro. Dove gli eletti (nelle rare competizioni elettorali in cui agli elettori viene ancora riconosciuto il privilegio di scegliere i propri rappresentanti) sono convinti di non dover rendere mai conto di quello che fanno, delle decisioni che prendono, come se fossero giocatori che hanno vinto il piatto dove banchettano e non invece rappresentanti della collettività che debbono scegliere, decidere e spiegare le ragioni di una scelta piuttosto che dell’altra. A chiunque osi criticare o mettere in dubbio la scelta rispondono, con l’arroganza che maschera l’ignoranza, che “i cittadini li hanno premiati col voto, dunque hanno ragione… e basta!”. Infallibili, dunque, perfino più del papa; per questo pericolosissimi, per le scelte che fanno, ma ancora di più per l’idea di democrazia di cui sono paladini, la stessa che aprì le porte al fascismo.
Con le liste bloccate e gli sbarramenti a mille, Renzi e complici stanno risolvendo il problema, sbattendo fuori dalla rappresentanza così tanti elettori – rendendo vano il loro voto con soglie erette in nome della governabilità - che i sopravvissuti potranno continuare in quest’opera di raffinazione del consenso, fino a rendere inutili le elezioni.
Paradossalmente i guasti principali della politica non sono neppure questi, i danni più grossi li fanno i nominati: gente sovente senza arte né parte che si trova catapultata ai vertici di banche...

FLAT GENERATIONS

Il mondo ha perso una dimensione, la profondità. Le generazioni si incontrano, si scontrano, si confondono e di scambiano. E noi?
Il paradigma del blues
Professore, ascolti questo! Una vera figata, è appena uscito. Nuovo nuovissimo, riprende il blues elettrico delle origini, ma in modo infinitamente più moderno e attuale…”, mi dice uno studente di quinta a cui piace la musica e che sa della mia passione per il blues. Lo interrompo per sapere di chi sta parlando, e, mentre mi sporge un auricolare per farmi ascoltare la sua scoperta musicale, riprende:
E’ un americano, bravissimo, si chiama Seasick Steve, ascolti anche lei! Sono sicuro che le piacerà”. Adesso, con l’auricolare in condivisione, ho capito e sto per dargli una delusione. Cerco di mitigare il colpo e con aria partecipe gli faccio: “Seasick Steve ha 73 anni, suona da una vita e ha calcato le scene con i principali gruppi rock e blues, quelli della mia generazione. Hai presente i Led Zeppelin? Ha suonato anche con loro, ma solo adesso è diventato famoso…”.
Pensavo di sconvolgerlo, invece niente, non batte ciglio a sentire l’età del vegliardo con la chitarra elettrica in mano. Per lui è normale va bene così, riesce ad appassionarsi a quel suo potenziale nonno americano come se fosse un coetaneo particolarmente dotato in fatto di tecnica chitarristica e anima nera da bluesman. Manifesto apprezzamento per i suoi gusti, gli consiglio di ascoltare la buonanima di Costello – non Elvis, Sean: un fenomeno –, ma non riesco a non dirgli:
Possibile che a voi giovani piacciano solo i vecchi? Gruppi, artisti e altro? Non ce li avete i vostri, quelli delle vostra generazione? Perché dovete ricorrere ai nostri?”.
Sguardo attonito – al prof si è fuso il cervello – e rapida retromarcia da parte mia. Siamo noi vecchi che associamo musica, usi e costumi, alle generazioni che passano, ognuno i suoi. Da almeno vent’anni le generazioni si sono appiattite: gli adulti hanno preso a vestirsi come i ragazzini e quest’ultimi a mutuare dai genitori mode, comportamenti, gusti musicali e stili di vita come se fossero i loro, come se non servisse più scandire il passare del tempo con simboli delle fasi della vita e delle generazioni che scorrono.
Adulti sempre più vecchi fanno la vita dei ragazzini, solo con più soldi, si tatuano in ogni dove, assumono linguaggi e pose dalle generazioni venute dopo. Queste ascoltano i Pink Floyd e le infinite riedizioni di plastica delle mode musicali degli anni ‘70 e 80, le ultime ad aver prodotto innovazione, trasgressione, identificazione fra musica e speranze di cambiamento o disperazioni da fallimento.
Le generazioni si appiattiscono fino a perdere la dimensione della profondità – sono diventate flat -nello stesso modo in cui passato e futuro sono diventati fastidiose appendici del presente. A che serve occuparsi del domani se tutto si svolge in un eterno oggi? Nel quale, se ci accorgiamo di invecchiare (dunque di cambiare), andiamo alla ricerca del camuffo, del trucco per fare in modo che non si veda…
Siamo diventati tutti uguali, vecchi e  giovani, chissà se è un bene o un male. Forse è l’effetto del blues, la musica del diavolo. Ma quel mio studente, che bei gusti che ha!
Mariano

UNA PIAZZA COL PIED-A-TERRE

Non è una storia locale, è una delle tante storia di questo paese: sprechi, abusi, incapacità e malafede. Nel silenzio assordante dei mass media. 
I danni delle clientele
I giornalisti lottano alla pari i politici per occupare il fondo della classifica della fiducia degli Italiani. Molti se lo meritano. Nella mia città, per esempio, comincia a circolare un sospetto e  qualche battuta di troppo intorno a un’opera eterna incompiuta e alla paralisi che sembra aver colto tutti i lavori nell’area centrale, insieme all’afasia sul tema dei giornalisti solitamente ben introdotti. Allora, proviamo a raccontarla noi.
Qualche anno fa, diciamo tre, il faccendiere di fiducia del sindaco di allora – quello di adesso era già lì, ma in posizione defilata, si occupava delle Serre - provò il colpo grosso: “Perché non facciamo un progetto generale di sistemazione del centro cittadino, magari con una bella gara dove ci mettiamo dentro il rifacimento di una scuola media, il parcheggio per gli acquirenti delle case appena costruite, la sostituzione del palazzo comunale con un bel condominio e, sotto la piazza, un bel parcheggio di due piani? Adesso sarà di servizio al Comune e e agli acquirenti che vorranno acquisire un box, domani diventerà il parcheggio del nuovo condominio.
Già che ci siamo, proponiamo una bella variante alla Casa di Riposo, così se ne vanno in periferia con i loro vecchie  e ci facciamo qualche altra casa, naturalmente per riqualificare il centro cittadino”. Detto, fatto!

Una bella variante valorizza lo spostamento della casa di riposo in una terra di confine fra l’area industriale di Rivoli e le ultime propaggini della nostra città (leggi). Un bell’incarico all’architetto “amico” produce lo studio di fattibilità (€ 27.000 circa di parcella) del municipio nel parco (leggi), progetto immediatamente abiurato – dopo averlo pagato - viste le levate di scudi di mezza città, perfino di alcuni seguaci del PD e dell’officiante del tempo. Intanto il resto del disegno va avanti. Fanno una gara che però va deserta, già questo avrebbe dovuto allertare gli amministratori e i loro controllori:; ma loro, niente, si va avanti lo stesso, sappiamo noi come fare e chi aggiudicare!

Per quanto riguarda la piazza centrale, che nel progetto avrebbe dovuto essere tutta pedonale (leggi), taglio degli alberi (fanno disordine e tolgono posti alle auto) e realizzazione di una rampa che tutti debbono obbligatoriamente percorrere se passano di lì. La piazza superiore viene “lavorata” a piazza pedonale con pietra e disegni artistici. Per sei mesi ci siamo chiesti perché mancasse l’arredo, poi abbiamo capito: volevano trasformarla in un parcheggio, cosa che hanno puntualmente fatto. Ma allora, perché non asfaltare, destinando diversamente i soldi spesi invano per la pavimentazione?
Sotto alla piazza “bella”, ci sono i box di un condominio di recente costruzione. Il portone da direttamente sulla curva della rampa percorsa dal traffico da e per la piazza: tutto regolare? La piazza “bella” è collegata con l’altra, davanti al palazzo comunale e più grande, da una passerella che scavalca la strada interrata e da una grata in acciaio che circonda tutta la rampa.

Sotto la piazza grande, ora ancora parcheggio a rotazione, sono stati previsti due piani di parcheggio pubblico e privato. Ce ne siamo già occupati (leggi), ma non è successo niente, tutto fermo. Lo stato della scuola è quello di mesi fa (leggi il programma), per un po’ i lavori sono andati avanti a rilento e adesso sembra tutto fermo. Gli allievi, spostati a quasi due chilometri di distanza con la promessa di un celere ritorno, vanno già alle superiori e anche i loro fratelli minori disperano di metterci piede prima dell’età adulta.

Sembra che abbiano finito i soldi e che stiano ripensando al progetto, come se fosse roba loro e non cosa pubblica, contenuta in un contratto con il soggetto che deve realizzare le opere e che ha regolarmente formulato una sua offerta, se la è vista accettare e che adesso deve adempiere a tutte le parti del contratto che ne è disceso. Sono abituati così, alle varianti continue, ai ripensamenti, ai pasticci. E dire che il sindaco è addirittura presidente dell'associazione che raggruppa gli amministratori pubblici che hanno a cuore la legalità...

Giusto per dare qualche numero e qualche data, i lavori della piazza era previsto che costassero € 2.131.816,05 oltre IVA; quelli della scuola € 2.823.226,71 oltre IVA. La conclusione di tutti i lavori (parcheggio a due piani compreso) era prevista per il mese di febbraio 2014. Se qualcuno pensasse che si esagera nelle critiche, negli allarmi e nei cattivi pensieri, si faccia un giro. Anzi, ci porti anche gli elettori di questi incapaci. 

Ironia della sorte: la scuola disfatta si chiama Europa Unita: deve essere in onore delle procedure e delle tempistiche davvero europee adottate per trasformarla in un disastro. La piazza è intitolata a Matteotti, si commenta da sé.
La questione comunque è davvero esplosiva e ne sentirete parlare a lungo. Parola di scout!

Mariano

SCUOLA: TORNA DI MODA?

Insegnanti o "mentori"? Tuttologi o iperspecializzati? Affettuosi o distaccati? Il destino della scuola pubblica statale davvero interessa di nuovo? Per farne cosa?
Renzi’s education act
Al giovanotto fattosi premier si possono imputare parecchie mancanze, non quella di non aver segnalato la centralità del sistema scolastico, universitario e formativo in genere. La sua insistenza sull’importanza della scuola e sulla necessità di qualificarla e valorizzarla ha acceso qualche speranza in noi, insegnanti un po’ frustrati da anni di incuria, riforme solo per tagliare i costi, difficoltà di comunicazione con famiglie che hanno abdicato al ruolo genitoriale per divenire sindacaliste dei figli, in questo in linea con l’andazzo prevalente (la colpa è sempre degli altri).
L’età e le esperienze hanno reso molti di noi piuttosto scettici, ma già solo il fatto di parlare di scuola in epoche diverse dall’inizio delle lezioni e dalla pubblicazione dei tabelloni con gli esiti della Maturità ha sollevato apprezzamenti e qualche speranza.
Renzi, in realtà, ha centrato l’attenzione sull’edilizia scolastica, questione davvero non più rimandabile dato lo stato delle nostre scuole, perché la vede come un’occasione – oltre che per rendere confortevoli e accoglienti gli ambienti in cui i nostri ragazzi passano molto del loro tempo di vita – per rilanciare l’edilizia, in particolare quella manutentiva e ricostruttiva. Un tessuto di piccole e piccolissime imprese artigianali che oggi sono del tutto ferme a fronte della crisi che ha investito quel settore forse perfino più drammaticamente che altri. E fa bene…
Dentro la scuola ci sono gli allievi, gli insegnanti, il personale d’ordine e quello amministrativo: Dentro la scuola ci sono le attività, quelle che si fanno perché parte dei programmi ministeriali, quelle che si facevano e che non si fanno quasi più per via dei taglie ripetuti e indiscriminati a tutto e a tutti. Dentro la scuola c’è un bisogno drammatico di aria nuova, di diversa articolazione dei cicli, di sperimentare forme nuove della scansione del tempo e delle materie, di ripensare al ruolo degli insegnanti, dei laboratori, della tecnologia, della ricerca e della sperimentazione.
E poi c’è da ridisegnare le coordinate di un rapporto con le famiglie degli allievi, di immaginare un coinvolgimento che non sia solo la critica dell’operato dei docenti e la difesa a oltranza dei giovanotti e delle signorine. C’è bisogno di ridefinire il senso di termini quali “serietà”, “rispetto”, “educazione”, “profitto”, “collaborazione”… poi di metterli in pratica per fermare la cafonizzazione inconsapevole di cui sono vittima le giovani generazioni.
I nostri allievi si sono abituati a venire a scuola quando vogliono, a studiare occasionalmente,a  stare attenti solo con chi rispettano, a cercare maestri invece che docenti, a provare il coup de théatre per risolvere a loro favore le situazioni in cui vengono inchiodati alle loro responsabilità. Questo a fronte  di docenti che non sempre amano il loro lavoro e che viaggiano perciò convinti di meritare molto di più di quello che hanno, in termini di salario e di considerazione sociale, salvo sospettare che una verifica più attenta potrebbe riservare loro brutte sorprese. E poi la qualità dell’insegnamento, la qualità della prestazione, la qualità delle strumentazioni, il valore dei laboratori, del lavoro in gruppo, del progetto e del processo…. Insomma, un casino; fecondo, ma un bel groviglio.
Tutti avrebbero bisogno di vivere in ambienti confortevoli, di avere la scuola aperta tutto il giorno per imparare, incontrarsi, studiare, fare i compiti, attività sportiva e culturale, per suonare uno strumento, per fare quello che serve in una società disgregata e profondamente diseguale. Con insegnanti capaci di accogliere, di orientare, di insegnare loro quel famoso metodo di studio e di lavoro senza il quale da internet puoi proprio solo scopiazzare.
Di questo e di molto altro sarebbe bello che il Governo si occupasse. Basta poco, non è vero che occorrono grandi risorse, ma quel poco passa attraverso l’ascolto della voce che viene dalla scuola italiana, dalle sue punte di eccellenza e dalle sue zone più critiche. Ma perché nessun Governo riesce a capire che deve fare come i Francesi qualche anno fa, quando hanno messo in campo la riforma della loro scuola? Hanno deciso che per sei mesi tutto quel mondo avrebbe discusso (on line e con focus live) delle linee-guida proposte dal governo, sotto la direzione e il coordinamento di gruppi di docenti appositamente formati. Poi si sono tirate le somme e le linee-guida riscritte alla luce delle tantissime osservazioni e  critiche ricevute. Infine il Parlamento ha fatto la riforma.
Come ben sanno i nostri studenti, se non hai idee originali, puoi sempre copiare. Basta farlo in modo intelligente e indicando sempre le fonti!

Mariano

ITALIAN CHICKEN

Prendi una scatola vuota, al massimo piena di banalità già dette e sentite troppe volte. Le dai un nome inglese, incisivo e da pronunciare come una frustata, così ottieni…
La stupefazione del pollo
Da quando Renzi ha cominciato la scalata, prima al PD e poi al governo, risuona come un mantra questo benedetto Jobs Act. Tutti ne parlano, pochi conoscono i titoli che lo compongono, nessuno che ne abbia compreso la novità. Solo che si chiama in inglese e richiama il nome – Act - che nei paesi anglosassoni si da alle leggi: Indipendence Act (l’India di Gandhi), le Constitutions Act in Canada e così via. Dunque un Act non è una qualunque cazzabubola, una variante di un analgesico. E’ una cosa davvero molto importante, destinata (proprio come le leggi “storiche”) a cambiare una volta per tutte questo paese e a risollevarlo dalla disperazione in cui è piombato.
Invece quello di Renzi è un documento che riassume in bella copia le innumerevoli ricette che nel tempo gli economisti e i politici hanno maturato, senza che ne abbiano messa in pratica neanche una: riduzione del cuneo fiscale...

L’ATTIVO, IL PASSIVO E IL DEPONENTE

Chi costruisce, chi smonta, chi critica, chi subisce, chi si lamenta…
La meschinità
Disastro nazionale, disastri locali. Dappertutto sono di più le cose che non vanno e quelle che funzionano mostrano vistosi segni di sofferenza: abbiamo tutti la tendenza a dare la colpa agli altri e al destino cinico e baro, ma sono spesso i comportamenti e i sentimenti delle singole persone a segnare lo stato generale. C’è chi lavora e si impegna a migliorare per tutti (attivo), chi se ne sbatte e si fa i fatti suoi (passivo)… e chi cerca di distruggere il lavoro dei primi, mettendoci tutta la forza che ha e tutta l’intelligenza che possiede (deponenti, finti passivi, in realtà molto ma molto attivi).
Situazione tipica in un ambiente di lavoro: l’attivo – alle volte pure un po’ rompicoglioni e non sempre distinguibile dall’arrivista – sfrutta il suo ruolo per migliorare le prestazioni, per soccorrere i colleghi, per realizzare qualcosa di buono che segni un passo avanti di tutta la struttura di cui fa parte.

Si realizza se vede che i suoi sforzi producono qualche risultato, cerca spesso l’approvazione degli altri e si mette volentieri a disposizione per poi arrabbiarsi se si accorge che ci si approfitta della sua disponibilità. L’attivo produce miglioramenti e, di solito, è generatore di ottimismo e di buone relazioni fra i colleghi. A lungo stufa, ma lo si sopporta perché è lungimirante. Siccome sa guardare avanti, vede prima degli altri i muri contro cui potrebbero andare a sbattere e prova a costruire le condizioni per evitarli, tutti insieme.
L’attivo sa che i passivi fanno zavorra e cercano di trascinare lui e gli altri nel vortice del menefreghismo: “Non sono fatti nostri”, “Non sono mica pagato per questo, preferisco occuparmi delle mie cose”, “Se mi metto a fare di più, dopo lo pretenderanno e io… non sono mica scemo”. Però se ne sbatte, considera questo atteggiamento come uno degli ostacoli che vuole contribuire a superare. Il passivo ha una discreta conoscenza dei suoi diritti, che cerca di far rispettare con uno scrupolo che gli impegna una bella fetta del tempo di lavoro, per i doveri si guarda a quelli degli altri; pensa a quelli che fanno volontariato come  marziani, pure un po’ tocchi; allo scoccare dell’ora di uscita scatta in piedi e fugge, a volte senza neppure salutare i colleghi, a meno che non l’abbia già fatto prima dell’ora fatidica, magari lamentandosi del tempo di lavoro che non passa mai e di come la vita si consumi in attività inutili e nocive per la salute. Il passivo svolge sempre una mansione inferiore a quella a cui avrebbe diritto e merito: se ne lamenta discretamente e giustifica così una certa passività anche nella prestazione lavorativa.
I passivi sono massa apparentemente ferma, ma in realtà in continuo movimento, seguono l’aria, cercano di interpretare il tempo, la convenienza e l’opportunità. Sono rivoluzionari se la rivoluzione la fanno gli altri e loro ci si mettono solo un momento prima della vittoria. Sono conservatori perché temono sempre di perdere quello che hanno, forse perché in cuor loro sanno di non meritarselo del tutto. Sono bianchi e sono neri, normalmente sono di grandi principi e si abbandonano volentieri a considerazioni sulle ingiustizie del mondo, fanno nazionali di calcio e discettano di scenari politici fantasmagorici. Sovente sono vittime dei deponenti.
Loro, i deponenti, sono la gente più schifosa: si interessano delle cose, si danno da fare, alimentano speranze e cercano di costruire di sé l’idea di essere davvero partecipi dei processi collettivi, disponibili al mondo e pronti a mettere a disposizione la loro energie e competenze. Solo che tutto questo è falso, come loro: le energie le dedicano a cercare di distruggere e smontare quello che fanno gli altri; perfino quando ne ricavano anche loro un danno, non demordono lo stesso. Se un collega è in pericolo, lo incoraggiano a perseverare per poi parlarne come di un mentecatto una volta che il danno è fatto. Guardano gli attivi darsi da fare cercando (e spesso trovando) i punti deboli, quelli che diventeranno le leve della attività di smontaggio dei risultati. Godono nel vedere i fallimenti altrui perfino quando non alimentano loro successi. Che cosa li spinge? L’invidia? La pochezza delle loro persone? La cultura? La natura?
Non sono note le ragioni di questo comportamento, quello che si vede bene in ogni angolo del nostro paese, è che i deponenti hanno da tempo preso il sopravvento. Distruggono ciò che gli attivi mettono faticosamente in campo, manovrano molto bene i passivi (che non vedono l’ora) e ci aiutano a determinare le condizioni per cui affermare che “Viviamo proprio in un paese di merda”. Naturalmente per colpa degli altri.
Mariano

L’UMIDO DA ESPORTAZIONE

Ogni giorno dall’ovest del Piemonte partono alla volta del Veneto almeno 5 TIR carichi della frazione umida dei rifiuti urbani. L’impianto di trattamento c’è, è anche bello caro, ma…
Punto Ambiente e le aziende "di famiglia"
Uno degli impianti per il trattamento dei rifiuti umidi provenienti dalla raccolta differenziata del CIDIU - se ne occupa per conto di ben 17 comuni a Ovest di Torino, per un totale di circa 260.000 abitanti serviti, l’11% circa della Provincia di Torino – ha segnato un record che in tanti stanno cercando di smontare: quello dell’impianto più costoso e inefficiente di sempre.
Venne realizzato nel Comune di Druento negli anni fra il 2002 e il 2005 a partire da una gara di evidenza pubblica quantomeno chiacchierata e abbastanza indagata che portò alla creazione della solita società mista pubblico- privata (il pubblico mette i soldi, il provato finge di investire in cambio di un mercato garantito…). Me ne occupai anche io nel 2004, presentando un esposto proprio sulla correttezza del bando che aveva portato alla scelta dei partner e del sito.. Nome della nuova società (e quindi dell’impianto): Punto Ambiente.