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CONTI E CORTI

Lungo via Roma, un lunedì mattina. Con in mano un plico e qualche pensiero che ronza…
Rendere conto
Oltre vent’anni fa una batteria di leggi di riforma riduceva ai minimi termini il sistema dei controlli sull’operato delle Pubbliche Amministrazioni. Aboliti i Co.Re.Co. (Comitati regionali di Controllo) e tutto l’insieme dei sistemi che rendevano farraginosa e lenta l’attività amministrativa. L’abolizione dei controlli accompagnava la riforma della politica locale e nazionale con la legge sull’elezione diretta dei sindaci, il Mattarellum con i collegi uninominali e con l’introduzione delle Bassanini, che sancivano la separazione fra struttura burocratica e direzione politica.
L’affermazione del principio di responsabilità personale – il politico ci metteva la faccia e gli elettori sceglievano la persona, non solo il partito, sia nel governo della loro città, sia nella rappresentanza in Parlamento – sembrava rendere inutile qualunque forma di controllo burocratico, tanto che perfino il segretario generale del Comune (emanazione delle Prefetture, cioè del Ministero dell’Interno e perciò indipendente dal potere politico locale) venne subordinato al gradimento del sindaco eletto. Insomma, in nome di uno snellimento del sistema di governo, del quadro di regole necessarie al funzionamento della macchina amministrativa, della celerità delle realizzazioni e poi anche della stabilità politica, il ridisegno del sistema politico e amministrativo sembrava dare soddisfazione alle rivendicazioni dei cittadini più attenti alla crisi che la politica stava attraversando nell’era di Tangentopoli.
Il paese non poteva più permettersi livelli di inefficienza scandalosi e una corruzione così pervasiva che sembrava strozzare il sistema economico e accompagnarlo lungo una china che preludeva alla crisi vera e propria.
Dunque sveltire… dare stabilità politica facendo scegliere il sindaco e il deputato direttamente ai cittadini, basta con le pastoie della brutta politica, basta con l’opacità nell’individuazione delle responsabilità. Finalmente la nuova era - modellata sulle democrazie anglosassoni, mai così tanto ammirate – avrebbe ridato al nostro paese quello smalto e quella capacità di movimento che la decadenza della prima repubblica gli aveva tolto (a chi avesse voglia di approfondire , consiglio “Oltre gli scandali: la zona grigia nelle pubbliche amministrazioni” in “L’amministrazione della giustizia nel distretto di Torino” di Barbuto, Caselli, Maddalena, Turigliatto).
Soprattutto nelle amministrazioni locali, le leggi di vent’anni fa hanno effettivamente prodotto stabilità e migliore qualità dell’amministrazione nel suo complesso:, il sacrificio è consistito nell’abbassamento della qualità della democrazia e della partecipazione, nella trasformazione delle organizzazioni politiche in comitati di eletti o di aspiranti tali. Forse il sacrificio è stato eccessivo, forse no: difficile oggi attribuire a questo salto la crisi strutturale delle organizzazioni politiche, forse più sconvolta dalla mancanza di vera intelligenza politica che dalle trasformazioni degli ordinamenti di allora.
Quello che non ha davvero funzionato è il resto: gli apparati pubblici sono diventati ancora più dipendenti dalla politica, con dirigenti le cui carriere dipendono dal gradimento degli amministratori eletti, esternalizzazioni di funzioni e servizi importanti e perdita della centralità della struttura comunale, provinciale… nel governo dei processi che interessano il territorio, moltiplicazione esponenziale dei costi e delle procedure, fino alla paralisi generata dall’avvitamento burocratico.
La struttura politica dei paesi anglosassoni si basa sul principio per cui chi decide deve anche “rendere conto” delle ragioni della scelta, così che chiunque possa ripercorrerne le tappe e comprenderne le motivazioni. Da noi sindaci, capi e capetti motivano le loro decisioni con l’investitura popolare, rendendo opache pratiche che meriterebbero ben altra chiarezza e distruggendo risorse pubbliche in quantità affidando municipalizzate e partecipate e imbecilli che stanno nel partito giusto, nella corrente giusta e al momento giusto. Dei guasti che questi ignoti personaggi producono nessuno chiede mai conto a chi li ha nominati…
Senza tornare ai rigori del passato e senza trasformare anche questa necessità  nell’ennesimo mostro burocratico, credo proprio che i controlli ci debbano essere. Credo che debba esistere un organo che, svincolato dalle contingenza politiche e possibilmente più attento a “stare sul pezzo” che a “stare sulla prima pagina”, prende in mano i conti, analizza gli effetti delle decisioni della politica, rivendica regole quando non ce ne sono. Specialmente quando si tratta di danaro pubblico speso a piene mani da strutture politiche deresponsabilizzate.
A questo pensavo mentre lunedì portavo felice alla Corte dei Conti di Torino la documentazione che mi ha richiesto. Si riferisce alla gestione del Gruppo regionale di cui ero presidente negli anni dal 2005 al 2008.

Mariano

ITALIAN DECADENCE

Napolitano, Renzi, Vendola… fra poco Grillo e perfino Fazio. La decadenza italica consuma i personaggi come se fossero kleeenex, lasciando rovine e macerie
Il crollo delle reputazioni
Poco più di un anno fa Napolitano si apprestava a passare alla storia come il “salvatore dell’Italia”, osannato perfino da una copertina di Time con l’appellativo di King George. Oggi è un presidente sempre più criticato, malsopportato e sospettato di essere il garante della cricca e dei poteri forti che tentano di mantenere il controllo del paese. A mano a mano che si scoprono le sue manovre per essere rieletto, a dispetto delle dichiarazioni di qualche giorno prima, i sospetti aumentano di spessore. Probabilmente alla storia ci passerà, ma anche come quello che ha cambiato governi con la stessa disinvoltura con cui i bolscevichi cambiavano leader, cancellandolo dalle foto, segno questo di frequentazioni ideologiche che, con minimi aggiustamenti, il Nostro mette in pratica anche oggi. Allora e altrove erano le gloriose e radiose sorti della classe operaia, qui da noi sono “le sorti del paese”. Che, infatti, nonostante le manovre occulte, va sempre più a fondo.

LA PARLANTINA

In tempi di rottamazione e di giovanilismo uber alles, non sempre sono chiari i requisiti che il giovane deve possedere per riscuotere successo…
Parlare bene, razzolare…
Le giravolte logico-verbali del giovane Renzi – prima affermare perentoriamente una cosa e poi contraddirla senza nemmeno il bisogno di spiegare il perché – sono una delle cose che resteranno nel ricordo futuro di questi giorni convulsi.
Chi si occupa di politica sa perfettamente che è quasi impossibile mantenere fede agli enunciati perentori che, a volte, escono da soli dalla bocca per dare modo a chi li produce di pentirsene subito dopo. Dunque, non credo che Renzi debba essere messo sotto processo per la scarsa coerenza, anche se qualcosa vorrà pur dire anche questa sua leggerezza nel dire e disdire perfino di cose troppo serie per essere trattate così. Quello che mi interessa analizzare sono  da un lato gli attributi del giovane che va di moda oggi; dall’altro gli effetti che tutto questo produce sul paese, sulla politica, sulla credibilità generale del sistema.
Quanto agli attributi, il giovane (politico e non) che piace oggi a giornalisti e opinione pubblica deve essere atletico, non troppo palestrato, sempre in ordine e con cravatta (ammessa la camicia aperta sul collo nei momenti più informali…). Se femmina,

LA GRATIFICAZIONE DI FARE BENE

Ogni tanto vedi che il mondo non va così male come pensi e senti. Oltre la sciatteria, la prepotenza e l’individualismo c’è anche altro… e non sempre vince il peggio!
Orgoglio di classe
La settimana scorsa una troupe televisiva si aggirava nella scuola dove lavoro da trent’anni: per un attimo ho temuto che riprendesse i segni della fatiscenza della struttura o andasse alla ricerca di qualche studente o docente lamentoso – vittime di un mondo crudele che non li capisce e che ne ha fatto capri espiatori dei suoi mali - con qualcosa di clamoroso da denunciare. Di solito le telecamere servono a questo, stavolta no.
Erano di TG3 Leonardo ed erano venuti a raccontare e a documentare una delle attività di eccellenza della nostra scuola (guarda).
Non è l’unica, ce ne sono altre che sono così ben documentate dal sito dell’ITIS Majo che non voglio richiamarle qui (leggi). Sabato mattina, ultima giornata di accoglienza degli aspiranti primini e delle loro famiglie, l’ultima di una lunga serie: preside, vice, docenti e personale a disposizione
per illustrare le offerte formative, gli indirizzi di studio e per introdurre i nuovi potenziali allievi ai “piaceri” della scuola e anche ai suoi “doveri”. Felici di essere lì (per parecchi di loro il sabato è festivo e non prendono straordinari…) a svolgere una funzione che sentono connaturata al loro lavoro: accogliere, includere, accompagnare al successo, senza regalare niente. 
Felici di trasmettere ai “forestieri” la passione per una lavoro, per un ambiente, per le attività che contiene e per il piacere di concorrere a fare qualcosa di buono per il futuro del paese e delle nuove generazioni. Dato che siamo più portati a dare retta a chi si lamenta, a chi rivendica (naturalmente sempre per sé, mai per tutti), a chi vanta crediti e diritti senza mai ricordarsi dei doveri… qualche considerazione su queste belle cose aiuta a capire che l’Italia per fortuna è anche questo.
Perfino noi dell’ITIS (tutti), che continuiamo a fare la pipì nei cessi di quarant’anni fa - mai rifatti dalla Provincia che da così una prova provata della sua inutilità e offre buone ragioni a chi le province le vuole chiudere –, che non abbiamo nemmeno l’insegna bella, che lottiamo tutti i giorni con una struttura abbisognante di manutenzioni straordinarie, che sgridiamo gli studenti smutandati che  sputano per terra in cortile come vedono fare dai calciatori, che vorremmo maggiori gratificazioni, che desidereremmo più studentesse femmine a equilibrare il potenziale umano dell’istituto… persino noi  ci eccitiamo come fanciulli in overdose di ormoni quando vediamo qualche risultato del lavoro che facciamo. Ogni riconoscimento ci rende più ricchi di energia (ci da molte “vite”, come direbbero i nostri allievi), ci motiva a dare il meglio e a essere un po’ orgogliosi di quello che produciamo.
Così, anche il passo nel corridoio si fa più tonico e la favella sforna meno frasi con dentro “Io” e qualcuna in più con dentro “noi”.

Mariano

LA ROTTAMAZIONE DELL’ITALIA

Letta si dimette, Renzi si appresta a ricevere l’incarico di fare e presiedere un governo fino al 2018. E noi… non stiamo affatto bene!
Affari loro
Il governo di una nazione di 60 milioni di abitanti - con poche tradizioni democratiche da difendere, ma con numerose velleità di cambiamento (basta che i sacrifici tocchino agli altri) e sogni di riscossa a fronte di un passato recente poco edificante e che certamente ha portato sciagure e miserie ai più – se lo vedono loro. Noi non dobbiamo impicciarci, è affare loro: del PD e di Napolitano, al massimo di qualcuno degli opinion leaders che scrivono sulle prime pagine dei giornali di de Benedetti.
Oggi si sono riuniti nella loro direzione, Letta ha capito che non ce n’era più e si è dimesso, hanno disciplinatamente votato e a stragrande maggioranza hanno deciso che tocca a Renzi. Il Parlamento? Che vada a al diavolo. Gli elettori?
Chissenefrega, tanto quelli il PD lo votano sempre e comunque, mai abbastanza da consegnargli la vittoria, ma a sufficienza per permettergli di mandare a Roma una discreta pattuglia di parlamentari a cercare un po’ di consociativismo perché non cambi nulla e le imprese “amiche” siano tutelate il giusto.
Il Nostro, a furia di rottamare, è arrivato al vertice, ora gli manca solo più la rottamazione di Napolitano e poi è abbastanza a posto col lavoro. Il suo repentino cambiamento di linea credo che sia dovuto alla constatazione che, da segretario del PD, era già impantanato nelle solite manfrine che hanno affondato corazzate ben più robuste della sua. Magari davvero questa sua scelta, l’affondo finale a Letta, era l’unica alternativa possibile per dare uno scossone alle riforme promesse e ancora ben lontane dalla meta. Se così non fosse, vorrebbe dire che stiamo assistendo al più clamoroso suicidio politico che si sia verificato nella storia repubblicana. Non solo del Renzi, ma di tutto il suo partito, delle promesse, dei progetti, delle speranze che ha suscitato.
Siccome non posso crederci, preferisco per qualche giorno ancora pensare che sia stata la lucida manovra della disperazione, quella di chi si gioca il tutto per tutto correndo da una tappa all’altra di un percorso che doveva cambiar l’Italia e che rischia di affossarsi ancora prima di cominciare.
Alla felicità della fine dei governo Letta, uno dei più inutili visti sulle scene, si sovrappone l’angoscia di cosa ci aspetti adesso: il PD ha appoggiato e fatto ogni sorta di governo in questi ultimi anni. Ognuno era peggio del precedente, speriamo che la tradizione non venga rispettata. Mi piacerebbe tanto che i 5 Stelle facessero politica parlamentare. Non approvo, ma capisco che preferiscono che faccia tutto il PD: passeranno poi all’incasso alla prima tornata elettorale utile, senza nemmeno affaticarsi troppo. Berlusconi gongola e, ancora una volta, dimostra al mondo chi è lo stratega. Brrr!
Due pensieri mi girano per la testa, una domanda antica e una quasi-certezza recente:
1) ma come fanno gli Italiani a continuare a votare per un partito che offre spettacoli come quelli a cui stiamo  assistendo?
2) non sarà che “Cambiamo verso” finirà per trasformare sospiri di attesa in sonore pernacchie e che i demos ci spiegheranno che eravamo noi a non aver capito che si passava dal “Bau bau” al “Miao miao”?
Mariano

RESISTERE E RILANCIARE

82 lavoratori a spasso dall’oggi al domani e senza neanche sapere perché. Una richiesta agli amministratori collegnesi, perché oltre le parole si cominci a produrre anche qualche fatto
Con chi lavora
La storia della Agrati (ex FIVIT Colombotto) di Collegno, che chiude da un giorno all’altro e lascia a casa 82 lavoratori, la dice lunga sullo stato comatoso dell’Italia di oggi. Ma canta anche una bella canzone di resistenza e rilancio da parte dei dipendenti che non ci stanno… La politica locale è con loro per chiudere nel migliore dei modi questa brutta parentesi?
Alla fine di gennaio ricevono addirittura il premio di risultato in busta paga. Mai un giorno di cassa integrazione, mai una chiusura, nessuna avvisaglia di una crisi in arrivo, investimenti sul rinnovo degli impianti sempre puntuali e precisi. Insomma, una fabbrica coi fiocchi.
Il I febbraio una secchiata di acqua gelida sui dipendenti: con una lettera, il management della sede centrale della multinazionale annuncia la chiusura dello stabilimento. Né trattative, né incontri, né ammortizzatori sociali, nulla di nulla: a casa senza stipendio e senza prospettive. Voci non verificate, ma abbastanza attendibili, parlando di difficoltà negli stabilimenti francesi del gruppo: quelli però non sono in discussione, il governo francese ha ben altra credibilità e strumenti per far valere gli interessi collettivi su quelli individuali.

IL PAESE REALE

Anche se non appare mai, anche oggi un paese reale c’è: è fatto di persone che affrontano la vita come meglio riescono, che si disorientano per poi trovare la strada. Attenti a difendersi dai
Ladri di futuro
Sigle in inglese e slogan ripetuti ossessivamente a coprire un vuoto di pensiero, l’assenza di progetto, la capacità di mettersi a disposizione con il disinteresse e il coraggio che serve a cambiare un paese. Questo manca a Enrico e forse anche a Matteo: loro si chiamano così, per nome, dicendosene peraltro di tutti i colori e  mandandosi messaggi così violenti da richiedere il mascheramento della finta cortesia, quella ipocrita delle madame che spettegolano l’una dell’altra davanti a the e pasticcini, all’inglese.
Interminabili radio e telecronache di bisticci, di analisi delle dichiarazioni dell’uno e dell’altro e delle repliche dei comprimari. Proposte sempre più fumose e talmente rilanciate dei megafoni di questo regime sempre più asfissiante da essere oramai divenute vuote evocazioni di quello che potrebbe essere e non è.
Ladri e profeti di futuro mi hanno portato via parecchio, il giorno è sempre un po' più oscuro, sarà forse perché è storia, sarà forse perché invecchio...”, cantava trent’anni fa Guccini e ben rappresentava la progressiva cupezza che cominciava a calare su questo paese, dopo la stagione della gioia e della rivolta, dei diritti allargati, delle lotta democratiche, della liberazione della società.

IL PRANZO DEI CRETINI 4

Una nuova puntata arricchisce la telenovela della mensa scolastica, naturalmente a carico dei cittadini ignari di cotanta incompetenza…
Lo scodellamento
Davvero non si stancano di superarsi, il portaborse fatto sindaco e i suoi accoliti che governano la città in cui abito. Dopo aver deciso senza sapere cosa facevano (leggi), minacciato mezzo mondo per tornarsene a casa con le pive nel sacco (leggi) e dopo aver scritto ai genitori dei giovani allievi della scuole una lettera incomprensibile (leggi), eccoli con l’ennesima trovata: lo sconto da scodellamento.
Ricordate la supercazzola di Amici miei, con lo scappellamento a sinistra? Dilettanti, quelli. Ma veniamo al dunque.
Dopo mesi di sciopero del panino, assemblee con genitori e insegnanti, ritiri di allievi dalle scuole locali per farli migrare altrove, minacce e blandizie con il solito stile paramafiosi dei nostri amministratori, lettere patetiche agli amministratori dei comuni limitrofi, ecco l’annuncio: il costo del pasto scende di 30 centesimi, passando da € 7,10 a € 6,80. Di conseguenza scendono le tariffe.
“Evviva” esclameranno giulivi i diretti interessati, magari per niente contenti dell’esiguità della riduzione, ma almeno felici perché possono toccare con mano che muoversi, organizzarsi e protestare produce qualche effetto. Speriamo che non scoprano la ragione dello sconto, sennò c’è il rischio che si incazzino per davvero.