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I RITI DI PASSAGGIO

Oggi primo giorno dell’ Esame di Stato: prova scritta di Italiano. Anche quest’anno, tutto come da copione, è davvero lo specchio di un paese triste…
Maturi, non marci!
Stamane debutto in un grande istituto tecnico di Torino. Pioggia a intermittenza, cielo fosco, clima fresco. Già alle 8 giovanotti e signorine trepidanti sulla scalinata, noi dentro a cercare di far funzionare il tutto al meglio, un po’ storditi dal nostro primo giorno d’esame e preoccupati di non ricordare procedure e consuetudini che valgono solo una volta l’anno. Si sa, il corpo docente è fra i più vecchi l’Europa ed è del tutto normale che da un anno all’altro dimentichi l’abc del bravo presidente/commissario.
8,30: entrano festanti, ma un po’ frenati. Nessuno con i pantaloncini, poche le natiche scoperte a rivelare il candore o il colore della mutanda siglata, nessuno ombelico che prende aria: sarà il clima non proprio estivo, o l’effetto delle raccomandazioni dei professori di classe (vestitevi bene, cercate di fare una buona impressione alla commissione eccetera)? Si accomodano nei banchi, sbirciando il presidente della commissione e i commissari esterni, che vedono per la prima volta. Sicuramente qualcuno ha già fornito loro tutte le referenze del caso, dunque non vanno proprio al buio, ma lo stesso la tensione si sente.
Posano i telefonini nell’apposita scatola e si lasciano zittire dal presidente che rivolge loro raccomandazioni e richiami (qualche minaccia per chi mai pensasse di copiare) in attesa che le prove d’esame vengano scaricate da intenet e fotocopiate per tutti.
Alle 9 si comincia: sei ore di tempo per svolgere una delle prove di cui si compone l’esame scritto di Italiano. Il grosso dei convenuti sceglie il saggio breve o l’articolo di giornale. Mi viene da ridere al pensiero che alcuni studenti di articoli  ne confezioneranno di pregevoli, certamente migliori e più equilibrati di quelli che scrivono sui giornali nazionali illustri scribacchini di regime. Gli argomenti paiono buoni, ad eccezione dell’analisi del testo poetico: per gli allievi di un istituto tecnico mi sembra davvero fuori luogo una poesia ermetica e difficile da interpretare. Infatti non lo sceglie nessuno. C’è chi si butta sul tema che compara il 1914 e il 2014 (brr!, quante analogie e parallelismi fra i venti di guerra mondiale di allora e quelli che arrivano da est in questi giorni…), chi sceglie di parlare del paesaggio e della qualità dell’intervento umano nel renderlo ancora più fragile e vulnerabile; ma il grosso si butta appunto su saggi brevi e articoli di giornale. Li redigono utilizzando il materiale documentale che sta insieme alle prove.
Mentre le creature lavorano, i commissari ammazzano il tempo sorvegliando, compilando i soliti fasci di documenti, rispondendo ai quesiti degli allievi in dubbio, occupandosi di quello che ancora manca perché l’esame possa svolgersi al meglio. Ogni tanto uno sguardo a che tutto funzioni al meglio e una strana aria negli occhi quando si posano sugli allievi al lavoro: un non so che di nostalgia mischiato a un pizzico di rimpianto. Il tutto ben mescolato con discrete quantità di turbamento.
Li guardi lavorare, sperare, provarci e ti chiedi che cosa abbiamo fatto noi adulti (un po’ passati) per rendere migliore il mondo in cui vivono, per alimentare adeguatamente speranze nel futuro e permettere loro di coltivare progetti sogni e disegni. Ti chiedi perché devono vivere in un posto dove sono già tagliati fuori ancora prima di poter cominciare davvero a far vedere quello che sarebbero capaci di fare; speri che le cose possano cambiare e che loro possano essere una generazione con qualche strada in più da percorrere, vorresti che davvero la politica l’economia e la società si occupassero di loro non solo con le parole o ripetendo formule che hanno già fallito. Temi che le tue siano solo illusioni e ti domandi in quale momento della tua vita hai cessato di credere che le cose si possano davvero cambiare. Non ti rassegni e ti domandi come fare per costruire anche per loro un’occasione vera.
A mezzogiorno – a metà della prova – sei anche a metà della prima giornata di un rito di passaggio, giorni che segneranno la fine di una stagione della loro vita e che ne apriranno un’altra. Il rito di passaggio non è solo degli studenti: guardandoli all’opera ti rendi davvero conto non solo del tempo che passa, ma anche di quanto sia triste e ingiusto questo nostro paese, a cominciare degli egoismi delle persone che lo abitano. Tutte.
Domani, seconda prova. Divertitevi ragazzi!
Mariano
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