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IL PAESE REALE

Anche se non appare mai, anche oggi un paese reale c’è: è fatto di persone che affrontano la vita come meglio riescono, che si disorientano per poi trovare la strada. Attenti a difendersi dai
Ladri di futuro
Sigle in inglese e slogan ripetuti ossessivamente a coprire un vuoto di pensiero, l’assenza di progetto, la capacità di mettersi a disposizione con il disinteresse e il coraggio che serve a cambiare un paese. Questo manca a Enrico e forse anche a Matteo: loro si chiamano così, per nome, dicendosene peraltro di tutti i colori e  mandandosi messaggi così violenti da richiedere il mascheramento della finta cortesia, quella ipocrita delle madame che spettegolano l’una dell’altra davanti a the e pasticcini, all’inglese.
Interminabili radio e telecronache di bisticci, di analisi delle dichiarazioni dell’uno e dell’altro e delle repliche dei comprimari. Proposte sempre più fumose e talmente rilanciate dei megafoni di questo regime sempre più asfissiante da essere oramai divenute vuote evocazioni di quello che potrebbe essere e non è.
Ladri e profeti di futuro mi hanno portato via parecchio, il giorno è sempre un po' più oscuro, sarà forse perché è storia, sarà forse perché invecchio...”, cantava trent’anni fa Guccini e ben rappresentava la progressiva cupezza che cominciava a calare su questo paese, dopo la stagione della gioia e della rivolta, dei diritti allargati, delle lotta democratiche, della liberazione della società.
Il Nostro non sapeva se attribuire l’oscurità calante all’azione dei “ladri di futuro” o all’azione del tempo: invecchiare ti presenta sistematicamente la vita sotto una prospettiva nuova. Finiva, allora, la stagione pacifica, era cominciato il terrorismo, le manifestazioni di piazza si facevano sempre più violente, le stragi di stato avevano già lasciato una parte della loro scia di sangue e l’idea che si andasse verso una nuova stagione, meno felice, era oramai opinione comune.
Il contesto è davvero cambiato, siamo in un altra epoca e ricercare analogie e similitudini è solo un esercizio che non serve. Ma i ladri di futuro sono oggi all’opera più che mai: hanno preso il sopravvento su ciò che rimane di quel senso collettivo, di quella coscienza sociale che ha spinto tanti a scegliere una vita piuttosto che un’altra, a essere diversi da quello che avrebbero potuto e, magari, avrebbero voluto i loro genitori. E che ancora oggi hanno il dubbio di aver sbagliato.
Negli anni della canzone i ladri di futuro erano certamente i politici, ma anche quelli che predicavano la scorciatoia della lotta armata, i grossi trafficanti che sostituivano le droghe leggere con l’eroina che distruggerà parti importanti di un’intera generazione  i leaders dei partiti che cominciavano a usare gli ideali cari a tanti per costruire fulgide carriere personali; erano ladri di futuro i falsi profeti, gli imbonitori, quelli che mandavano avanti gli altri, quelli per cui c’era sempre una giustificazione alle scelte che compivano e mai a quelle degli altri.
Oggi i ladri di futuro sono sempre loro, magari travestiti da quarantenni di chiacchiera fine e di aplomb anglosassone, politicamente corretti e sempre pronti a indignarsi e a spiegarci che siamo noi che non abbiamo capito. Il vero pericolo non sono tanto loro, ma le corti sterminate che li vezzeggiano a pagamento, che amplificano le loro illusioni, che fanno il coro alle loro dichiarazioni, ai loro bisticci e alle rare imprese. Succhiano via il futuro a una nazione che oramai aspetta, aspetta, aspetta qualcosa che non arriva mai. L’Italia se ne sta lì con l’ansia che rode, la disperazione che avanza e il fallimento nel cuore: aspetta che succeda qualcosa di quello che le hanno promesso, che le primarie facciano effetto, che arrivino le elezioni, che si crei un po’ di lavoro, che si costruisca una prospettiva, che ci si occupi della vita della gente normale, insomma del paese reale. Niente, solo “dazioni” continue di un paese sfibrato alle sue classi dirigenti che si alimentano di quello che resta per mantenere le forze necessaria a non essere spazzati via.
Potremmo essere arrivati al punto più basso, potrebbe essere l’inizio di una nuova epoca: in tanti hanno oramai maturato la cognizione che, per cambiare, occorrono scelte radicali – non estreme, radicali, alla radice! -  sorrette da una nuova partecipazione e dal coinvolgimento dei tanti che stanno a guardare, disillusi e disingannati dalle esperienze politiche di questi anni, ma pronti a partire, se solo la credibilità degli interlocutori accende la speranza.
La strofa successiva della canzone di Guccini così dice: “Ma le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno urla più forte, son caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte….”
Forse è il momento che il paese reale rimetta al loro posto quei fiori, magari impugnandoli per accarezzare chi sta peggio. Ai moderni simboli di morte – fabbriche che chiudono, giovani senza speranze, istituzioni che non funzionano più, rapporti umani deteriorati e fumi e veleni che ammorbano la vita – possiamo sostituire la consapevolezza che cambiare si può e che occorre anche partire da noi. Per non essere uguali a quelle donne in politica che fanno come i maschi e ai quarantenni che erano già vecchi prima di diventare giovani, già profittatori prima di venire al mondo, ladri di futuro prima di conoscere la delicatezza della merce che trafficano.

Mariano
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