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I FIGLI DEL MINOTAURO

La requisitoria di Caselli e il richiamo a una classe politica senza etica raccolgono apprezzamenti unanimi. Solo che bisognerebbe accompagnare le parole ai fatti…
Che ‘tte serve?
minotaurusC’è una scarsissima sensibilità di gran parte del ceto politico e intellettuale verso un’emergenza che non può più essere considerata un’emergenza ma è diventata una realtà radicata”, queste le parole del procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli durante la requisitoria finale del processo a oltre settanta imputati accusati di vari reati e di associazione mafiosa. Non si è sottratto neppure dal fare nomi e cognomi di politici che occupano posizioni di responsabilità a Roma come a Torino, coinvolti in rapporti un po' troppo amichevoli con appartenenti alle ‘ndrine locali, qualche volta addirittura con i loro responsabili.
Stupefacenti le loro giustificazioni, tutte riconducibili a: “non sapevo che fosse un malavitoso, anzi ero convinto/a che si trattasse di persona rispettabile alla quale sono unito/a anche dalla comune provenienza…”, o a che a “in campagna elettorale ti portano dai possibili grandi elettori per chiedere voti; sovente non sai neanche dove sei, figuriamoci se puoi sapere con chi hai a che fare…”.
Insomma, siamo alla versione contemporanea del “io non c’ero e, se c’ero, dormivo” che ha caratterizzato non solo un’epoca e un luogo, ma una vera e propria attitudine italica: vedi qualcosa che non dovresti?  Gira la testa dall’altra parte e fai finta di nulla!
Ancora una volta si ripropone il tema del comportamento del politico, delle sue relazioni, del modo con cui cerca e consolida il consenso, elettorale e non; del suo stesso essere al contempo rappresentante dell’interesse pubblico e soggetto politico che deve comporre alleanze e sottoporsi a compromessi e  mediazioni.
Si scambiano con disinvoltura giravolte personali e sottomissioni umilianti con le dure necessità della politica, presentandosi come indispensabili allo sviluppo di questioni che diversamente sarebbero bloccate. Si costruisce il consenso non sulle idee, ma sull’essere “compaesani”, magari attraverso le associazioni di ex-immigrati dal sud così ben integrate da ricevere finanziamenti per le loro attività da quegli stessi a cui garantiscono voti (qualcosa la vicenda dell’attentato a Musy ce lo ha raccontato). Insomma, ogni occasione diventa buona per coltivare consenso e raccattare voti, come ben sa quell’onorevole che, nelle cronache televisive dal parlamento, appariva quasi tutte le sere perché sedeva giusto dietro a Bersani. Ogni occasione è buona per accreditarsi come interlocutori istituzionali affidabili e capaci di “portare a casa” risultati: provvedimenti favorevoli, soldi, investimenti.
Ho sempre criticato quei sindaci che vanno a cena con i costruttori – magari impegnati in qualche cantiere pubblico nella loro città – o che intrattengono con gli imprenditori locali e i grandi elettori relazioni diverse da quelle che hanno con gli altri concittadini, che ascoltano poco la città e molto i cittadini più fortunati e abili. Le amicizie vanno coltivate una volta finito il mandato, le allegre tavolate vanno lasciate a chi se lo può permettere perché non ricopre cariche pubbliche, non è ricattabile e non è influenzabile nelle decisioni che prende.
Soprattutto non bisognerebbe accreditare l’idea che la politica è proprio “sporca”, seduti al tavolo con il più grosso evasore della città a programmare le prossime allegre serate con i supporter. Magari inventandosi una vocazione benefica o adombrare la celebrazione della dea legalità, sporcando così anche anche questa parola e il valore che esprime.
Pensate come sarebbe bello se chi sa e vede queste ed altre cose si risolvesse a non girare più la testa dall’altra parte; non sarebbero necessari atti di eroismo, basterebbe prendere le distanze da chi, oggi più che mai, interpreta il suo ruolo in politica come quegli sciagurati che il procuratore Caselli ha ben descritto nella sua requisitoria.

Mariano 
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