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LE CONSEGUENZE DEL VELENO

Quando un organismo viene scientemente intossicato con dosi sempre crescenti di veleno, sembra sopportarlo così bene da esserne addirittura irrobustito. Poi, un giorno…
Il collasso
Quella di avvelenare lentamente un organismo - facendo bene attenzione a non farlo morire e dunque tenendolo costantemente “al limite”, cambiando la dose quando sembra che vi si adatti – è un bel modo per governarlo, mantenendolo in bilico fra dipendenza e disperazione, ma senza mai porlo nella condizione di liberarsi per davvero del veleno. La dipendenza perché senza veleno non riesce più a vivere, la disperazione perché c’è sempre qualche emergenza che impedisce (guarda un po’!) di uscire dalla dipendenza. Questa si chiama “tecnica dello spacciatore” ed è ben nota nel mondo della droga, serve a tenere i tossici sempre sulla corda, fedeli e obbedienti al pusher e disponibili a qualunque servizio in cambio di una dose e della sua benevolenza.
Noi viviamo in un paese che è in questo stato, quello del tossico tenuto in tiro dal pusher,  da ormai così tanto tempo che non riesce nemmeno più a ricordare quando è stato davvero bene, in pace con se stesso e  con gli altri, alimentato dalla sana e onesta speranza di un domani migliore dell’oggi. Quello speranza che poi sarebbe la spinta che ci viene dalla nostra umanità, dal nostro essere persone e cittadini.

E allora rabbia (c’è sempre qualcuno che ci ha fatto dei torti, che ce l’ha con noi) condita di vittimismo (perché a lui sì e a me no? ce l’hanno tutti con me!), invidia mischiata a una grettezza che si fa fatica pensarla, cupidigia e voglia di ammucchiare anche quando non serve, alla fine paura: di perdere quello che si è faticosamente messo da parte, di essere offesi negli affetti, di tutto quello che esce dalla quotidianità, che il nostro mondo crolli sotto la spinta delle minacce che vengono da “fuori”, non importa quale.
Su questo hanno giocato per troppi anni avvelenatori professionisti e dilettanti che li imitavano e ancora li emulano. Ci hanno giocato anche i venditori di antidoti, quelli che, in nome del contrario, hanno spacciato illusioni e false speranze che hanno fatto le loro fortune debilitando ancora di più l’organismo già provato. Il resto della società, un po’ per convenienza un po’ per cecità, ha avallato questi soggetti trasformandoli nei simboli della nuova politica, della nuova economia, del nuovo che avanza del cambiamento che si può fare perché comunque lo pagano gli altri.

Oggi nulla sta più insieme: anni di tossine e di antidoti peggiori del veleno hanno indebolito l’organismo portandolo al collasso. A spacciatori consumati se ne stanno sostituendo altri, che loro hanno allevato perché nulla cambiasse. Alle soluzioni scorciatoie del recente passato se ne vanno sostituendo di nuove in un incessante vorticare di facce che sono già diventare tutte uguali, con al centro bocche che dicono tutte le stesse cose.
Vent’ani di B e di anti B hanno avvelenato il paese. Non solo nelle alte sfere dell’attività politica, ma in ogni nodo della rete che percorre il paese. Così la politica, che oggi più che mai dovrebbe costruire idee e speranze, preferisce andare a caccia di nemici a cui addebitare fallimenti e sofferenze, senza che mai qualcuno si alzi a chiedere il conto a chi doveva sapere, doveva e poteva fare e… non ha fatto. E così l’IMU diventa il paravento per un allusivo richiamo alla pancia degli avvelenati che suggerisce loro che sarebbe meglio se la pagasse il loro vicino e che, se qualcuno promette questo, perché non dargli credito?
E così tanti esempi grandi e piccoli, nel locale e nel generale, ci fanno ben comprendere che, nemmeno adesso che siamo al collasso, si pensa di cambiare rotta: a fronte dell’acutizzarsi della crisi di astinenza un’altra dose di veleno lenirà la sofferenza… alla crisi prossima ventura ci si penserà. Se poi qualcuno si desta dal “viaggio” e comincia a chiedere conto? Nessun problema, di capri espiatori, buoni per una passata sola (perché non ci crede quasi più nessuno), ce ne sono a volontà. Basta evocarli e il popolo magari se la beve ancora.
Per opportunismo o per disperazione (si sa che è meglio credere in qualcosa di fasullo piuttosto che in niente) la dose funzionerà. Fino alla prossima crisi. A Roma, come a Grugliasco.

Mariano
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