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COMPARSE A PAGAMENTO

Secchiate di indignazione alla scoperta che i politici regionali pagano per andare in televisione… In arrivo giustificazioni e assoluzioni.
L’anima del commercio
Pavone Lunedì scorso ho partecipato a una trasmissione su una nota emittente locale. Si commentava la situazione dell’Italia di oggi, stimolati dalle chiamate dei telespettatori e dalle suggestioni che il conduttore introduceva di volta in volta, quando a suo giudizio la tensione si allentava troppo. Lunedì prossimo ci tornerò a ragionare di scuola, portando l’esperienza e la parzialità di una vita sulle cattedre.
Come me tante altre persone – note per qualche loro competenza professionale, perché telegeniche, dalla parlantina sciolta, simpatiche o antipatiche, di destra o di sinistra o vai sapere di cos’altro dotate – vengono invitate a partecipare a trasmissioni televisive nelle emittenti locali che ancora fanno informazione.
Qualche volta l’informazione la fanno bene, altre meno. Se paragonate, per mezzi e disponibilità, alle reti nazionali, comunque, tanto di cappello perché lavorano in condizioni precarie e sempre con la spada di Damocle della raccolta pubblicitaria: senza quella non vanno avanti e in tempi di crisi tutto si complica.

In passato ho sempre collaborato con le emittenti locali, partecipando a trasmissioni, mandando notizie, mettendole in contatto con soggetti e realtà che potevano servire  a migliorare la qualità del loro servizio o, semplicemente, dare amplificazione alle idee e realizzazioni che diversamente non sarebbero salite all’attenzione pubblica. Non sono mai stato pagato per questo e non ho mai pagato per comparsate o inviti a trasmissioni di qualsivoglia natura. E non mi sarebbe mai venuto in mente che questo potesse accadere, per di più a spese dei contribuenti.

Non mi meraviglia, infatti, che un politico sia addirittura disposto a pagare per sedere in uno studio televisivo per dare massima prova di sé davanti alle telecamere, ma mi piacerebbe che questo sfizio se lo pagasse coi soldi che guadagna. Cioè, che trattasse la spesa come quella per comprarsi le mutande, per pagare il ristorante e il caffè al bar, come quella per l’affitto della casa il mutuo, come quella per l’estetista (in fondo è quasi la stessa cosa).

Poi ci sono i giornalisti: c’è bisogno di ricordare che, se la nostra repubblica è a questo punto, una ragione ci sarà pure? A forza di assumere il teatro della politica come l’unica rappresentazione possibile della realtà, hanno finito anche loro per diventare parte della finzione, fermamente convinti di “essere sul pezzo” e pieni della boria che ne consegue. I pochi che non si adeguano, come nella politica e nell’economia e nel lavoro, fuori dalle balle a coltivare la loro nicchia, così non disturbano le manovre di quelli che sanno e possono. Ma farsi pagare per le ospitate dei politici è davvero un po’ troppo: non potevano chiedere di lavorare direttamente nei loro uffici stampa?

Infine gli editori, quelli che hanno stabilito tariffe e modalità: ragazzi che paese! Ma siamo sicuri che la benevolenza che le pagine locali dei quotidiani nazionali riservano agli amministratori - oltre che alla naturale contiguità con gli uffici stampa che passano loro le veline - non sia data anche della pagine di pubblicità che comune e provincia acquistano con una certa generosità?

Gli urlatori e i cultori della purezza rivoluzionaria stanno dando del loro meglio: dato che hanno fatto il dibattito sul web, anche loro possono pagare (coi soldi dei contribuenti) per andare in televisione, sennò come fanno a pubblicizzare ciò che fanno?

Mariano

PS Lunedì ore 13, Videogruppo
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