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AMIANTO: SENTENZA MODELLO

In questi giorni fioccano i commenti alla sentenza esemplare e alle condanne comminate dal Tribunale di Torino ai responsabili delle morti dei lavoratori e di chi ci stava vicino. Convivere con l'amianto

Ho cominciato il mio lavoro di maestro elementare nell’aprile del 1973 (trentanove anni fa!), assunto dal Comune di Grugliasco per i corsi del doposcuola che funsero da “apripista” all’istituzione della scuola a Tempo Pieno. La mia scuola di destinazione fu la “Bruno Ciari”, in borgata Fabbrichetta.
Dopo pranzo portavamo i bambini in cortile per la ricreazione: era il prato che confinava con gli stabilimenti della S.I.A. (Società Italiana per l’Amianto) che era una delle industrie più importanti dell’area. Lavorare alla S.I.A. era segno di avercela fatta, pagavano bene e c’era il medico in fabbrica, la salute dei dipendenti era sotto controllo con visite frequenti e interventi di profilassi che compensavano la polvere in cui si lavorava per le otto/nove ore canoniche. Poi, andando a casa, gli operai passavano accanto alla bealera, che cambiava colore a seconda della tintura del momento nel Cotonificio Valle Susa del Villaggio Leumann e che poi andava a scaricare sotto la FIAT direttamente nel Sangone, dopo aver tagliato tutte le aree fertili della zona sud ovest di Torino.
Che l’amianto fosse un pericolo lo sapevamo anche allora, infatti consideravamo fortunati i nostri colleghi che, per via dell’ubicazione delle aule, potevano usufruire del cortile davanti alla scuola invece che del retro, come noi.
C’era un piccolo camino che usciva dallo stabilimento con un filo di fumo e consigliavamo agli allievi di stare lontani da quell’angolo; qualcuno di noi si metteva strategicamente nei paraggi per allontanare i testoni che non ascoltavano.
La fabbrica stava già chiudendo, la smobilitazione avveniva per tappe, a mano a mano che l’area si urbanizzava riempiendosi di case di edilizia convenzionata.
Tredici anni dopo, era il 1986, lo stabilimento aveva smesso del tutto di funzionare, ma era ancora tutto lì, con la sua palazzina degli uffici abbandonata ai vandali, i capannoni ancora pieni di macchinari e  manufatti lasciati all’abbandono. Lentamente il sito stava diventando un “luogo maledetto”, quei posti che le madri indicano ai bambini come terra del babau per impedire che ci vadano. Mentre si costruivano le case nuove, una parte degli immobili della S.I.A. venivano abbattuti, ma mentre si realizzava un giardino spuntò dalla terra un vascone pieno di olio esausto che stava lì da chissà quanto tempo. Me ne occupai da consigliere comunale, nel frattempo stavo andando via dalla scuola “Bruno Ciari” perchè avevo superato un concorso pubblico per insegnare nelle superiori.

La gente moriva di mesotelioma, non solo gli ex-dipendenti, ma anche i famigliari che mai avevano lavorato nella fabbrica maledetta, ma che avevano respirato l’amianto dai vestiti dei loro cari che venivano a casa con la tuta del lavoro. Cominciava la mobilitazione per ottenere giustizia, nasceva l’Associazione Esposti Amianto, che riuscì a radunare i tanti che soffrivano in silenzio da soli, per farli diventare una collettività che rivendicava il riconoscimento del danno subito e anche la gravità del trattamento che i responsabili della fabbrica avevano riservato a loro e alle loro famiglie. Essi sapevano, ma minimizzavano, negavano l’evidenza, ricattavano chi protestava con la minaccia del trasferimento altrove.

Quando nel 1994 sono stato eletto sindaco, in Italia l’amianto era fuorilegge da due anni, ma la fabbrica era ancora sempre lì, tutta da bonificare e da riconvertire a funzioni nuove, visto che oramai si trovava in mezzo alle case, sorte come funghi nel frattempo. Nella palazzina degli uffici l’archivio medico – documento di grande importanza anche nei processi che si celebrano adesso – era tutto sparpagliato fra i residui di lavorazione, dunque irrecuperabile senza una bonifica preventiva. I capannoni erano ancora nello stato in cui erano stati lasciati quasi 15 anni prima. Con l’aiuto della Procura l’archivio venne raccolto, bonificato, ordinato e oggi è a disposizione degli studiosi e delle autorità giudiziarie, il Comune ha poi varato un piano di riconversione degli edifici. Oggi nella palazzina degli uffici della S.I.A. c’è il Comando dei Vigili Urbani di Grugliasco, in ciò che resta del capannone principale un centro sportivo, negli ex-depositi l’Ecomuseo.

La gente continua a morire, recentemente se ne è andato Dino, una persona cara ammalata di mesotelioma da esposizione all’amianto. Ha raggiunto i tanti che sono morti per aver lavorato tanto e bene, per aver creduto alle bugie della proprietà, per aver  messo il lavoro davanti alla salute. Questa sentenza rende giustizia anche a loro che sono morti, speriamo che i vivi la capiscano la lezione…..

Mariano
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