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USCIRE DALLA CRISI?

Dopo la crisi: ricette e strumenti per uscirne con un mondo migliore.
L'economia di domani

Crack finanziario Nei giorni scorsi Jeremy Rifkin, economista e futurologo americano, ha rilasciato un’intervista a “La Stampa” in cui analizza le cause" “epocali” della crisi di oggi e indica alcune strade possibili per uscirne in modo strutturale.
Rifkin sostiene che alla fine degli anni ‘70 si è conclusa la Prima rivoluzione industriale. Le civiltà occidentali hanno smesso di vivere della ricchezza che producevano; l’attività produttiva, centrale fino a quel momento, cede il passo al consumo. Famiglie e nazioni entrano in una nuova epoca e cominciano a spendere i risparmi accumulati per poter consumare sempre di più (ad esempio negli USA il tasso di risparmio famigliare passa dal 9% del 1991 allo 0 del 2001). Comincia la Seconda rivoluzione industriale e si avvia la globalizzazione dei mercati che gli occidentali interpretano come un’opportunità ulteriore di consumo invece che di produzione.

I paesi “emergenti” aumentano la produzione per far fronte alle richieste dei paesi avanzati, aumenta perciò la domanda di materie prime e, di conseguenza, il loro costo. I paesi avanzati smettono di produrre (la delocalizzazione…) e aumentano progressivamente i livelli di consumo prima erodendo i risparmi, poi cominciando a indebitarsi. E’ il fenomeno delle “carte di credito”, che consentono l’’aumento del consumo oggi a fronte dell’indebitamento nel tempo: le persone hanno cominciato ad attingere al debito per far fronte alle crescenti esigenze ( mutui per la casa, rate per i mobili, per l’auto…).
I governi hanno fatto la stesa cosa: hanno puntato sull’ampliamento del debito pubblico per per fare fronte alle spese per l’attività pubblica. Questo fattore - sommato all’aumento del costo delle materie prime che anche l’occidente deve acquistare sui mercati, accettando prodotti finanziari che amplificano il debito mascherandolo – ha determinato la crisi profonda di questi giorni, segnando anche le condizioni perché sia chiaro a tutti che non si può sperare in soluzioni soft.
Finora i governi, in tempi di crisi, hanno risposto all’emergenza gettando sul piatto risorse pubbliche e tagliando la spesa.  In pratica hanno tolto soldi alla domanda di beni (così allontanando la ripresa e riducendo le entrare fiscali che possono sostenere la spesa pubblica e ridurre il debito) e aumentando il debito pubblico, una delle cause della crisi.
Rifkin sostiene che questo modo di affrontare le crisi non funziona perché bisogna uscire dal meccanismo che le ha prodotte e cambiare il modello economico che le ha generate. Occorre entrare nella Terza rivoluzione industriale i cui caratteri sono la liberazione della dipendenza dal petrolio a favore di energie rinnovabili, tema capace da solo di generare la nuova economia verde e il lavoro che oggi manca, la ripresa della produzione. Il cambiamento di modello ha come conseguenza la fine della finanziarizzazione dell’economia a favore della liberazione della creatività che, come agli inizi delle altre due rivoluzioni, ha moltiplicato tipologie e numeri di posti di lavoro, inventando servizi e produzioni a cui nemmeno si pensava prima.
L’intervista di Rifkin è interessante soprattutto perché, anche in questi giorni, al dramma della crisi sentiamo spesso opporre da destra a sinistra soluzioni vecchie, che hanno già rivelato la loro incapacità di aggredire i problemi alla radice, gettando le basi per uno sviluppo giusto, sostenibile e rispettoso del pianeta e di quelli che ci vivono.
Mariano
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